ISLAM, SONNO DELLA
RAGIONE
«Nei Paesi musulmani le folle sono facilmente
condizionabili perché educate a obbedire, non a interpretare»
L'analisi di Samir Khalil Samir [Intervista pubblicata da Avvenire del
17 febbraio 2006]
Le manifestazioni contro le vignette
satiriche su Maometto e le violenze che le accompagnano dimostrano
quanto sia facile infiammare le piazze islamiche e mobilitare le folle.
C'è di mezzo certamente la strumentalizzazione operata dai gruppi
fondamentalisti e da alcuni governi - con Siria e Iran in prima fila -,
ma al fondo della questione c'è un problema di natura educativa. «Se
non si metterà mano a una profonda revisione dell'educazione che viene
impartita nelle scuole, nelle università e nelle famiglie, il mondo
musulmano continuerà a vivere in maniera autoreferenziale e ad
affrontare in maniera conflittuale il rapporto con tutto ciò che sta
fuori da esso». Ne è convinto Samir Khalil Samir, gesuita, docente
alla Saint Joseph University di Beirut e al Pontificio Istituto
Orientale di Roma e profondo conoscitore di ciò che si muove nella umma
islamica.
Cosa c'entra l'educazione con le proteste di piazza?
«Nei Paesi islamici la gente è facilmente condizionabile dalle parole
d'ordine dei radicali. I quali si stracciano le vesti per l'oltraggio
consumato nei confronti di Maometto (a cinque mesi dalla pubblicazione),
strumentalizzano il sentimento religioso per finalità politiche e
additano l'Occidente come il grande Satana. Ma tutto questo è il frutto
avvelenato di dinamiche mentali che vengono da molto lontano».
E da dove vengono?
«Dal modo malato con cui si guarda alla realtà. Per esempio,
attribuendo al gruppo responsabilità che sono anzitutto individuali.
Chi in questi giorni protesta non se la prende solo con gli autori delle
vignette ma con i governi dei Paesi in cui sono state pubblicate, e
addirittura con l'Occidente o con i cristiani, con le tragiche
conseguenze a cui abbiamo assistito, come l'omicidio di don Santoro. E
questo è tipico di una mentalità che dimentica il valore della persona
annegandola nel gruppo. Bisogna esercitare la ragione, non farsi
determinare dall'emozione. Purtroppo nei Paesi islamici si sta vivendo
il sonno della ragione».
Ma perché è così facile trascinare le folle e strumentalizzare
l'opinione pubblica?
«Le faccio alcuni esempi che aiutano a capire. A scuola i metodi
d'insegnamento sono basati sulla ripetizione e sulla memorizzazione
piuttosto che sull'argomentazione logica. In famiglia l'obbedienza che i
genitori esigono dai figli non è accompagnata quasi mai dall'offerta di
motivazioni ma piuttosto da imposizioni, anche violente. E sotto il
profilo strettamente religioso, il Corano viene imparato a memoria e
applicato in maniera meccanicistica e letterale, con una convinzione:
visto che il testo sarebbe stato trasmesso direttamente da Dio a
Maometto, esso contiene già tutto quanto serve per vivere e non è
ammesso l'utilizzo di alcuna categoria interpretativa. E se qualcuno fa
notare che - rispetto ai principi contenuti nel libro sacro e agli hadith
(i detti attribuiti al Profeta, l'altra grande fonte della tradizione
islamica) - bisogna sforzarsi di cercare l'applicazione più adeguata
alla realtà attuale, viene accusato di essere un traditore dello
spirito più autentico dell'islam e additato alla pubblica riprovazione,
fino all'accusa di apostasia. Il risultato è un mondo statico,
autoreferenziale, timoroso di confrontarsi con la modernità. La quale
viene vissuta come qualcosa che mette in pericolo la conservazione della
"vera religione"».
Non le sembra che il problema di fondo risieda nel fatto che nel
Corano si può trovare tutto e il contrario di tutto? Alcune sure
esortano alla preghiera, alla concordia con le altre religioni
monoteiste e alla pacificazione, altre invitano a combattere gli
infedeli con ogni mezzo. Il risultato è che c'è chi presenta l'islam
come religione di pace e chi brandisce il Corano per giustificare le
gesta dei kamikaze.
«Proprio perché nel Corano si leggono frasi che vanno in direzioni
molto diverse, è necessario che non si faccia un uso letterale e
de-contestualizzato di quanto vi è scritto. Nella penisola araba del
VII secolo la guerra era un evento diffuso, faceva parte dei costumi e
della mentalità del tempo. Maometto ne ha combattute 19 in dieci anni,
e si deve riconoscere che la velocità con la quale l'islam si è
diffuso in Medio Oriente, in Asia e in Nordafrica è largamente
debitrice alle conquiste militari sue e dei suoi successori. Perciò
risulta poco credibile chi continua a ripetere che l'islam è una
religione di pace dimenticando l'altra faccia della medaglia. Bisogna
avere l'onestà intellettuale di riconoscere che le esortazioni alla
pace si mescolano con la legittimazione dell'uso della forza, e fare in
modo che le parti più violente non prevalgano nella vulgata che viene
diffusa nelle moschee e tra la gente. Ma per fare questo è per
l'appunto necessario superare un approccio letteralista del testo,
anziché considerare il Corano una specie di "surgelato
religioso"».
Ammetterà però che questa posizione, che pure esiste nel mondo
islamico, rimane largamente minoritaria… Come se ne esce?
«Purtroppo da vari decenni (anche con l'aiuto di certi governanti) si
stanno diffondendo le posizioni più chiuse e antimoderne, mentre i
liberali che vorrebbero "aprire" l'islam alla modernità sono
in difficoltà. Credo che un Occidente illuminato e lungimirante
dovrebbe aiutarli a fare sentire la loro voce nell'opinione pubblica di
quei Paesi, oltre che contribuire alla diffusione delle loro idee. Come?
Ad esempio favorendo la circolazione e la traduzione delle loro opere, o
invitandoli a parlare in Europa, anche per farli conoscere ai
connazionali che vivono in emigrazione e vengono ammaliati dalle parole
d'ordine di imam fondamentalisti. Ma soprattutto c'è un gigantesco
lavoro da fare a livello educativo, nelle scuole e nelle università,
agendo sui testi e sulla formazione degli insegnanti. Un lavoro che
richiederà generazioni, perché possa lentamente cambiare una
mentalità che ha paura della realtà invece che misurarsi con essa.
Come ci insegna il cristianesimo, la ragione non è nemica, ma alleata
della fede».
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