«Tutti contro tutti: il
dopoconcilio raccontato da Ratzinger teologo e Papa»
Sandro Magister, www.chiesa 27 luglio 2007
Il seguito del Vaticano II ricorda a Benedetto XVI il
"caos totale" succeduto al Concilio di Nicea, il primo della storia. Da
quel tempestoso Concilio venne però il "Credo". E oggi? Ecco cosa ha
risposto il papa ai preti di Belluno, Feltre e Treviso
Come due estati fa ad Aosta, anche
quest'anno Benedetto XVI, durante la sua vacanza sulle Alpi, ha voluto
incontrare i preti del luogo e rispondere alle loro domande. L'ha
fatto la mattina di martedì 24 luglio ad Auronzo di Cadore, nella
chiesa di Santa Giustina Martire, nello scenario delle Dolomiti.
L'incontro è avvenuto con circa duecento preti delle diocesi di
Belluno, Feltre e Treviso, a porte chiuse. Ma l'indomani l'ufficio
stampa del Vaticano ha diffuso il testo della registrazione.
Il papa ha risposto in forma spontanea a dieci domande sugli argomenti
più svariati.
Ad esempio, a proposito della crescente presenza in Italia e in Europa
di immigrati non cristiani, ha spiegato come conciliare annuncio del
Vangelo e dialogo con le altre religioni, cominciando da un "consenso
sui valori fondamentali espressi nei dieci comandamenti, riassunti
nell’amore del prossimo e nell’amore di Dio".
A proposito dei cattolici divorziati e risposati, ha raccomandato
anzitutto di preparare le coppie a un "matrimonio naturale, secondo il
Creatore", liberandole dall'idea corrente secondo cui "è normale
sposarsi, divorziare, risposarsi e nessuno pensa che sia una cosa che
va contro la natura umana", E in caso di fallimento, ha incoraggiato a
far sì che i divorziati si sentano sempre "amati da Cristo e membri
della Chiesa, anche se in una situazione difficile".
A proposito dello scontro tra creazionismo ed evoluzionismo "come
fossero alternative che si escludono", ha spiegato che "questa
contrapposizione è un'assurdità perché da una parte ci sono tante
prove scientifiche a favore dell'evoluzione", ma d'altra parte "la
dottrina dell'evoluzione non risponde al grande quesito: da dove viene
tutto?". E ha invitato a rileggere la sua lezione di Ratisbona:
affinché "la ragione si apra di più".
Ma la risposta più interessante è stata l'ultima delle dieci. A un
sacerdote che gli ha detto la sua delusione per i tanti sogni
suscitati in lui dal Concilio Vaticano II ma poi svaniti, Benedetto
XVI ha risposto raccontando la propria esperienza e i propri giudizi
sul Concilio e sul dopoconcilio: gli entusiasmi iniziali, le opposte
spinte tra chi interpretava il vero "spirito" del Concilio come una
sorta di rivoluzione culturale e chi invece reagiva contro il Concilio
stesso, le cesure epocali del 1968 e del 1989, la capacità della
Chiesa di proseguire nonostante tutto sul giusto cammino, con silenzio
e umiltà...
Ecco qui di seguito la trascrizione integrale della risposta di
Benedetto XVI sul Concilio e il dopoconcilio:
"Abbiamo tanto sperato, ma le cose si sono rivelate più difficili..."
di Benedetto XVI
Anch'io ho vissuto i tempi del Concilio Vaticano II, essendo nella
basilica di San Pietro con grande entusiasmo e vedendo come si aprivano
nuove porte. Pareva realmente essere la nuova Pentecoste, dove la Chiesa
poteva nuovamente convincere l’umanità. Dopo l’allontanamento del mondo
dalla Chiesa nell’Ottocento e nel Novecento, sembrava che si
rincontrassero di nuovo Chiesa e mondo e rinascessero nuovamente un
mondo cristiano e una Chiesa del mondo e veramente aperta al mondo.
Abbiamo tanto sperato, ma le cose in realtà si sono rivelate più
difficili. Tuttavia rimane la grande eredità del Concilio, che ha aperto
una strada nuova, è sempre una "magna charta" del cammino della Chiesa,
molto essenziale e fondamentale.
Ma perché è andata così? Prima vorrei cominciare con un’osservazione
storica. I tempi di un postconcilio sono quasi sempre molto difficili.
Dopo il grande Concilio di Nicea – che per noi è realmente il fondamento
della nostra fede, di fatto noi confessiamo la fede formulata a Nicea –
non è nata una situazione di riconciliazione e di unità come aveva
sperato Costantino, promotore di tale grande Concilio, ma una situazione
realmente caotica di lite di tutti contro tutti.
San Basilio nel suo libro sullo Spirito Santo paragona la situazione
della Chiesa dopo il Concilio di Nicea a una battaglia navale nella
notte, dove nessuno più conosce l’altro, ma tutti sono contro tutti. Era
realmente una situazione di caos totale: così descrive con colori forti
il dramma del dopoconcilio, del dopo Nicea, san Basilio.
Poi 50 anni dopo, per il Concilio primo di Costantinopoli, l’imperatore
invita san Gregorio Nazianzeno a partecipare al concilio e san Gregorio
Nazianzeno risponde: no, non vengo, perché io conosco queste cose, so
che da tutti i Concili nascono solo confusione e battaglia, quindi non
vengo. E non è andato.
Quindi non è adesso, in retrospettiva, una sorpresa così grande come era
nel primo momento per noi tutti digerire il Concilio, questo grande
messaggio. Immetterlo nella vita della Chiesa, riceverlo, così che
diventi vita della Chiesa, assimilarlo nelle diverse realtà della Chiesa
è una sofferenza, e solo nella sofferenza si realizza anche la crescita.
Crescere è sempre anche soffrire, perché è uscire da uno stato e passare
a un altro.
E nel concreto del dopoconcilio dobbiamo constatare che vi sono due
grandi cesure storiche.
La prima è la cesura del ‘68, l’inizio o l’esplosione – oserei dire –
della grande crisi culturale dell’Occidente. Era finita la generazione
del dopoguerra, una generazione che dopo tutte le distruzioni e vedendo
l’orrore della guerra, del combattersi, e constatando il dramma delle
grandi ideologie che avevano realmente condotto le persone verso il
baratro della guerra avevamo riscoperto le radici cristiane dell’Europa
e avevamo cominciato a ricostruire l’Europa con queste ispirazioni
grandi. Ma finita questa generazione si vedevano anche tutti i
fallimenti, le lacune di questa ricostruzione, la grande miseria nel
mondo, e così comincia ed esplode la crisi della cultura occidentale,
direi una rivoluzione culturale che vuole cambiare radicalmente tutto.
Dice: in duemila anni di cristianesimo non abbiamo creato il mondo
migliore, dobbiamo ricominciare da zero in modo assolutamente nuovo. Il
marxismo sembra la ricetta scientifica per creare finalmente il nuovo
mondo.
In questo – diciamo – grave, grande scontro tra la nuova, sana modernità
voluta dal Concilio e la crisi della modernità, tutto diventa difficile
come dopo il primo Concilio di Nicea.
Una parte era del parere che questa rivoluzione culturale era quanto
aveva voluto il Concilio. Identificava questa nuova rivoluzione
culturale marxista con la volontà del Concilio. Diceva: questo è il
Concilio; nella lettera i testi sono ancora un po’ antiquati, ma dietro
le parole scritte sta questo "spirito", questa è la volontà del
Concilio, così dobbiamo fare. E dall’altra parte, naturalmente, la
reazione: così distruggete la Chiesa. La reazione – diciamo – assoluta
contro il Concilio, la anticonciliarità, e – diciamo – la timida, umile
ricerca di realizzare il vero spirito del Concilio. E come dice un
proverbio: "se cade un albero fa grande rumore, se cresce una selva non
si sente niente", durante questi grandi rumori del progressismo
sbagliato e dell’anticonciliarismo assoluto cresceva molto
silenziosamente, con tante sofferenze e anche con tante perdite nella
costruzione di un nuovo passaggio culturale, il cammino della Chiesa.
E poi la seconda cesura nell’89, il crollo dei regimi comunisti. Ma la
risposta non fu il ritorno alla fede, come si poteva forse aspettare,
non fu la riscoperta che proprio la Chiesa con il Concilio autentico
aveva dato la risposta. La risposta fu invece lo scetticismo totale, la
cosiddetta post-modernità. Niente è vero, ognuno deve vedere come
vivere. Si afferma un materialismo, uno scetticismo pseudo-razionalista
cieco che finisce nella droga, finisce in tutti questi problemi che
conosciamo e di nuovo chiude le strade alla fede, perché è così
semplice, così evidente: no, non c’è nulla di vero; la verità è
intollerante, non possiamo prendere questa strada.
Ecco: in questi contesti di due rotture culturali, la prima, la
rivoluzione culturale del ’68, la seconda, la caduta nel nichilismo dopo
l’89, la Chiesa con umiltà, tra le passioni del mondo e la gloria del
Signore, prende la sua strada.
Su questa strada dobbiamo crescere con pazienza e dobbiamo adesso in un
modo nuovo imparare che cosa vuol dire rinunciare al trionfalismo.
Il Concilio aveva detto di rinunciare al trionfalismo – e aveva pensato
al Barocco, a tutte queste grandi culture della Chiesa. Si disse:
cominciamo in modo moderno, nuovo. Ma era cresciuto un altro
trionfalismo, quello di pensare: noi adesso facciamo le cose, noi
abbiamo trovato la strada e troviamo su di essa il mondo nuovo.
Ma l’umiltà della Croce, del Crocifisso esclude proprio anche questo
trionfalismo. Dobbiamo rinunciare al trionfalismo secondo cui adesso
nasce realmente la grande Chiesa del futuro. La Chiesa di Cristo è
sempre umile e proprio così è grande e gioiosa.
Mi sembra molto importante che adesso possiamo vedere con occhi aperti
quanto è anche cresciuto di positivo nel dopoconcilio: nel rinnovamento
della liturgia, nei sinodi, sinodi romani, sinodi universali, sinodi
diocesani, nelle strutture parrocchiali, nella collaborazione, nella
nuova responsabilità dei laici, nella grande corresponsabilità
interculturale e intercontinentale, in una nuova esperienza della
cattolicità della Chiesa, dell’unanimità che cresce in umiltà e tuttavia
è la vera speranza del mondo.
E così dobbiamo, mi sembra, riscoprire la grande eredità del Concilio,
che non è uno "spirito" ricostruito dietro i testi, ma sono proprio i
grandi testi conciliari riletti oggi con le esperienze che abbiamo avuto
e che hanno portato frutto in tanti movimenti, in tante nuove comunità
religiose. In Brasile sono arrivato sapendo come si espandono le sette e
come sembra un po’ sclerotizzata la Chiesa cattolica; ma una volta
arrivato ho visto che quasi ogni giorno in Brasile nasce una nuova
comunità religiosa, nasce un nuovo movimento, non solo crescono le
sette. Cresce la Chiesa con nuove realtà piene di vitalità, che non
riempiono le statistiche – questa è una speranza falsa, la statistica
non è la nostra divinità – ma crescono negli animi e creano la gioia
della fede, creano presenza del Vangelo, creano così anche vero sviluppo
del mondo e della società.
Quindi mi sembra che dobbiamo imparare la grande umiltà del Crocifisso,
di una Chiesa che è sempre umile e sempre contrastata dai grandi poteri
economici, militari ecc.. Ma dobbiamo imparare, insieme con questa
umiltà, anche il vero trionfalismo della cattolicità che cresce in tutti
i secoli. Cresce anche oggi la presenza del Crocifisso risorto, che ha e
conserva le sue ferite. È ferito, ma proprio così rinnova il mondo, dà
il suo soffio che rinnova anche la Chiesa nonostante tutta la nostra
povertà. In questo insieme di umiltà della Croce e di gioia del Signore
risorto, che nel Concilio ci ha dato un grande indicatore di strada,
possiamo andare avanti gioiosamente e pieni di speranza.
| indietro | | inizio
pagina |
|