ringrazio Dio Onnipotente per avermi concesso la grazia di venire a Betlemme,
non solo per venerare il posto dove Cristo è nato, ma anche per essere al vostro
fianco, fratelli e sorelle nella fede, in questi Territori Palestinesi.
Sono grato al Patriarca Fouad Twal per i sentimenti che ha espresso a nome
vostro, e saluto con affetto i confratelli Vescovi e tutti i sacerdoti,
religiosi e fedeli laici che faticano ogni giorno per confermare questa Chiesa
locale nella fede, nella speranza, nell’amore.
Il mio cuore si volge in maniera speciale ai pellegrini provenienti dalla
martoriata Gaza a motivo della guerra: vi chiedo di portare alle vostre famiglie
e comunità il mio caloroso abbraccio, le mie condoglianze per le perdite, le
avversità e le sofferenze che avete dovuto sopportare. Siate sicuri della mia
solidarietà con voi nell’immensa opera di ricostruzione che ora vi sta davanti e
delle mie preghiere che l’embargo sia presto tolto.
“Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia… oggi nella città di Davide è
nato per voi un Salvatore” (Lc 2,10-11). Il messaggio della venuta di Cristo,
recato dal cielo mediante la voce degli angeli, continua ad echeggiare in questa
città, come echeggia nelle famiglie, nelle case e nelle comunità del mondo
intero. È una “grande gioia”, hanno detto gli angeli, “che sarà di tutto il
popolo” (Lc 2,10). Questo messaggio di gioia proclama che il Messia, Figlio di
Dio e figlio di Davide, è nato “per voi”: per te e per me, e per tutti gli
uomini e donne di ogni tempo e luogo.
Nel piano di Dio, Betlemme, “così piccola per essere fra i villaggi di Giudea” (Mic
5,1) è divenuta un luogo di gloria immortale: il posto dove, nella pienezza dei
tempi, Dio ha scelto di divenire uomo, per concludere il lungo regno del peccato
e della morte e per portare vita nuova ed abbondante ad un mondo che era
divenuto vecchio, affaticato, oppresso dalla disperazione.
Per gli uomini e le donne di ogni luogo, Betlemme è associata al gioioso
messaggio della rinascita, del rinnovamento, della luce e della libertà. E
tuttavia qui, in mezzo a noi, quanto lontana sembra questa magnifica promessa
dall’essere compiuta! Quanto distante appare quel Regno di ampio dominio e di
pace, sicurezza, giustizia ed integrità, che il profeta Isaia aveva annunciato,
secondo quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr Is 9,7) e che
proclamiamo come fondato in maniera definitiva con la venuta di Gesù Cristo,
Messia e Re!
Dal giorno della sua nascita, Gesù è stato “segno di contraddizione” (Lc 2,34) e
continua ad essere tale anche oggi.
Il Signore degli eserciti, “le cui origini è dall’antichità, dai giorni più
remoti” (Mic 5,2), volle inaugurare il suo Regno nascendo in questa piccola
città, entrando nel nostro mondo nel silenzio e nell’umiltà in una grotta, e
giacendo, come bimbo bisognoso di tutto, in una mangiatoia.
Qui a Betlemme, nel mezzo di ogni genere di contraddizione, le pietre continuano
a gridare questa “buona novella”, il messaggio di redenzione che questa città,
al di sopra di tutte le altre, è chiamata a proclamare a tutto il mondo. Qui
infatti, in un modo che sorpassa tutte le speranze e aspettative umane, Dio si è
mostrato fedele alle sue promesse.
Nella nascita del suo Figlio, Egli ha rivelato la venuta di un Regno d’amore: un
amore divino che si china per portare guarigione e per innalzarci; un amore che
si rivela nell’umiliazione e nella debolezza della croce, eppure trionfa nella
gloriosa risurrezione a nuova vita. Cristo ha portato un Regno che non è di
questo mondo, eppure è un Regno capace di cambiare questo mondo, poiché ha il
potere di cambiare i cuori, di illuminare le menti e di rafforzare le volontà.
Nell’assumere la nostra carne, con tutte le sue debolezze, e nel trasfigurarla
con la potenza del suo Spirito, Gesù ci ha chiamato ad essere testimoni della
sua vittoria sul peccato e sulla morte. E questo è ciò che il messaggio di
Betlemme ci chiama ad essere: testimoni del trionfo dell’amore di Dio sull’odio,
sull’egoismo, sulla paura e sul rancore che paralizzano i rapporti umani e
creano divisione fra fratelli che dovrebbero vivere insieme in unità,
distruzioni dove gli uomini dovrebbero edificare, disperazione dove la speranza
dovrebbe fiorire!
“Nella speranza siamo stati salvati” dice l’apostolo Paolo (Rm 8,24). E tuttavia
afferma con grande realismo che la creazione continua a gemere nel travaglio,
anche se noi, che abbiamo ricevuto le primizie dello Spirito, attendiamo
pazientemente il compimento della redenzione (cfr Rm 8,22-24). Nella seconda
lettura odierna, Paolo trae dall’Incarnazione una lezione che può essere
applicata in modo particolare alle sofferenze che voi, i prescelti da Dio in
Betlemme, state sperimentando: “È apparsa la grazia di Dio – egli dice – che ci
insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo
con sobrietà, con giustizia e con pietà”, nell’attesa della venuta della nostra
beata speranza, il Salvatore Cristo Gesù (Tt 2,11-13).
Non sono forse queste le virtù richieste a uomini e donne che vivono nella
speranza? In primo luogo, la costante conversione a Cristo che si riflette non
solo sulle nostre azioni, ma anche sul nostro modo di ragionare: il coraggio di
abbandonare linee di pensiero, di azione e di reazione infruttuose e sterili. La
cultura di un modo di pensare pacifico basato sulla giustizia, sul rispetto dei
diritti e dei doveri di tutti, e l’impegno a collaborare per il bene comune. E
poi la perseveranza, perseveranza nel bene e nel rifiuto del male. Qui a
Betlemme si chiede ai discepoli di Cristo una speciale perseveranza:
perseveranza nel testimoniare fedelmente la gloria di Dio qui rivelata nella
nascita del Figlio suo, la buona novella della sua pace che discese dal cielo
per dimorare sulla terra.
“Non abbiate paura!”. Questo è il messaggio che il Successore di San Pietro
desidera consegnarvi oggi, facendo eco al messaggio degli angeli e alla consegna
che l’amato Papa Giovanni Paolo II vi ha lasciato nell’anno del Grande Giubileo
della nascita di Cristo.
Contate sulle preghiere e sulla solidarietà dei vostri fratelli e sorelle della
Chiesa universale, e adoperatevi con iniziative concrete per consolidare la
vostra presenza e per offrire nuove possibilità a quanti sono tentati di
partire.
Siate un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una
cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e
della frustrazione. Edificate le vostre Chiese locali facendo di esse laboratori
di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità
pratica.
Al di sopra di tutto, siate testimoni della potenza della vita, della nuova vita
donataci dal Cristo risorto, di quella vita che può illuminare e trasformare
anche le più oscure e disperate situazioni umane.
La vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e
politiche, ma in modo più importante – potremmo dire – di una nuova
infrastruttura “spirituale”, capace di galvanizzare le energie di tutti gli
uomini e donne di buona volontà nel servizio dell’educazione, dello sviluppo e
della promozione del bene comune. Avete le risorse umane per edificare la
cultura della pace e del rispetto reciproco che potranno garantire un futuro
migliore per i vostri figli. Questa nobile impresa vi attende. Non abbiate
paura!
L’antica basilica della Natività, provata dai venti della storia e dal peso dei
secoli, si erge di fronte a noi quale testimone della fede che permane e trionfa
sul mondo (cfr 1 Gv 5,4). Nessun visitatore di Betlemme potrebbe fare a meno di
notare che nel corso dei secoli la grande porta che introduce nella casa di Dio
è divenuta sempre più piccola. Preghiamo oggi affinché, con la grazia di Dio e
il nostro impegno, la porta che introduce nel mistero della dimora di Dio tra
gli uomini, il tempio della nostra comunione nel suo amore, e l’anticipo di un
mondo di perenne pace e gioia, si apra sempre più ampiamente per accogliere ogni
cuore umano e rinnovarlo e trasformarlo. In questo modo, Betlemme continuerà a
farsi eco del messaggio affidato ai pastori, a noi, all’umanità: “Gloria a Dio
nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”! Amen.
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La Messa nella Piazza della Mangiatoia. Il saluto del patriarca Twal
Dopo la cerimonia di benvenuto il Papa si è trasferito nella Piazza della
Mangiatoia di Betlemme per celebrare la Santa Messa iniziata con l’indirizzo di
saluto del patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal. Ecco il testo integrale
di questo saluto.
Santissimo Padre,
In nome dei miei fratelli i vescovi cattolici di Terra Santa; in nome di tutte
le Chiese locali di Gesù Cristo presenti su questa terra; in nome di tutti gli
abitanti e visitatori di questa terra santificata dalla nascita, dalla vita,
dalla morte e dalla resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, Le do il
benvenuto oggi a Betlemme.
Noi L’accogliamo come successore di san Pietro, al quale il Cristo ha dato la
missione di “confermare i suoi fratelli”: Lei è tra noi come nostre padre e
nostro fratello. La sua presenza qui oggi significa che noi siamo sempre
presenti nel cuore e nello spirito della Chiesa universale, che la Chiesa
cattolica tutta intera è con noi e per noi. Le Sue preghiere e le preghiere
della Chiesa ci sostengono e ci danno un coraggio rinnovato per servire Nostro
Signore in questa terra.
Solamente ad alcuni metri di qui, Nostro Signore Gesù Cristo è nato; il Verbo di
Dio s’è reso visibile. Dio ha visitato il suo popolo per essere l’Emmanuele, per
“essere con noi”; ed egli continua a venire, per essere con noi tutti i giorni.
In questa terra, il messaggio degli angeli di Dio è stato sentito dai più poveri
e dai più piccoli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace al suo popolo”.
Tale è stato il messaggio celeste ricevuto dai nostri antenati, i pastori di
Betlemme. Tale è il messaggio che continua ad essere proclamato tutti i giorni.
Se tale è il messaggio della nostra terra e di Betlemme per il mondo, la nostra
vocazione-missione in questa terra martirizzata è quella di glorificare Dio e di
espandere la Sua pace sulla terra. Questo messaggio rappresenta un compito e una
missione quotidiana. Esso si traduce nell’impegno della Chiesa a servire la pace
e la riconciliazione, a sostenere i poveri, a fortificare i deboli, a comunicare
la speranza a coloro che disperano. Per questa missione, noi abbiamo bisogno del
Suo sostegno e delle Sue preghiere.
Santissimo Padre, questa terra dove Gesù ha scelto di vivere per salvare il
mondo, ha bisogno di pace, di giustizia e di riconciliazione. Le nostre ferite
hanno bisogno di essere guarite, i prigionieri d’essere rilasciati, i nostri
cuori d’essere purificati dall’odio, e il nostro popolo di vivere in pace e in
sicurezza. Il nostro popolo soffre e continua a soffrire l’ingiustizia, la
guerra (la guerra di Gaza è ancora una ferita aperta per centinaia di migliaia
di persone), l’occupazione e la mancanza di speranza in un avvenire migliore.
Quando noi abbiamo accolto il Suo predecessore, il papa Giovanni Paolo II, noi
avevamo la speranza di pervenire alla pace, ma questa pace non è mai venuta.
Molti hanno allora abbandonato ogni speranza e hanno lasciato la Terra Santa per
andare in cerca di un avvenire migliore in altri paesi. Ecco perché il numero
dei Palestinesi, soprattutto cristiani, è diminuito e continua a diminuire.
Finché noi non troveremo la pace e la tranquillità, ho paura che questo
continui. Finché l’instabilità politica perdura, finché si estende il muro che
separa Betlemme da Gerusalemme e dal resto del mondo, noi non potremo trovare la
pace per la nostra terra.
Santissimo Padre, i cittadini di Betlemme e dei Territori palestinesi sono
venuti ad accoglierLa e a pregare con Lei: cattolici e cristiani di tutte le
Chiese, mussulmani e rappresentanti dell’Autorità palestinese, noi siamo venuti
tutti per rinnovare il nostro impegno a favore di una pace giusta, una pace che
dia a ciascun individuo e ad ogni popolo di vivere degnamente in questa terra;
una pace che permetta ai genitori di non avere paura per i loro figli e la loro
sicurezza; una pace che dia ai giovani di condurre una vita normale e di
costruire il loro avvenire; una pace che permetta a questa Terra Santa di
adempiere la sua vocazione: glorificare Dio e vivere in pace.
Noi siamo coscienti della vocazione di questa terra di essere aperta a tutti i
credenti, a lodare Dio, a essere una terra di armonia e di coesistenza pacifica,
una terra dove tutti i credenti in uno stesso Dio possono sperimentare che essi
“sono nati qui” (Sm 87). Nessuno può pretendere di possedere questa terra al
posto degli altri ed escludendo gli altri. Dio stesso ha scelto questa terra, e
vuole che tutti i suoi figli vi vivano insieme.
Santissimo Padre, noi siamo venuti qui per pregare con Lei e per ascoltarLa. Noi
tutti vediamo in Lei un messaggero di pace, un capo spirituale che difende i
poveri e gli oppressi, un padre e un fratello che porta un messaggio d’amore e
di solidarietà.
Per finire, noi vogliamo ridirLe il nostro impegno a vivere e ad espandere la
Buona Novella di Gesù Cristo: alla Sua presenza, la Chiesa cattolica rinnova la
sua fede in Nostro Signore Gesù Cristo, il suo amore per Dio e per il prossimo,
e la sua speranza nei disegni misericordiosi di Dio per noi tutti.
Che Dio e il nostro Salvatore siano con Lei, che La sostengano e La guidino
nella Sua missione e nella Sua opera costante in favore della pace e della
riconciliazione.
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