IIlustri Responsabili religiosi,
Cari amici,
1. È una grande gioia per me visitare ancora una volta l'amata
terra d'India e avere l'opportunità in particolare di salutare voi,
Rappresentanti di differenti tradizioni religiose, che incarnate non
solo i grandi progressi del passato, ma anche la speranza di un futuro
migliore per la famiglia umana. Ringrazio il Governo e il popolo
dell'India per l'accoglienza che mi hanno riservato. Vengo fra voi come
pellegrino di pace e come viaggiatore sulla strada che conduce al
completo soddisfacimento dei più profondi desideri umani. In occasione
di Diwali, la festa delle luci, che simboleggia la vittoria della vita
sulla morte, del bene sul male, esprimo la speranza che questo incontro
parli a tutto il mondo delle cose che ci uniscono:
la nostra comune origine umana e il nostro comune destino, la nostra
responsabilità condivisa per il benessere e il progresso delle persone,
il nostro bisogno di luce e di forza che ricerchiamo nelle nostre
convinzioni religiose. Nel corso dei secoli e in molti modi, l'India ha
insegnato la verità che anche i grandi maestri cristiani propongono,
ossia che gli uomini e le donne "per istinto" sono
profondamente orientati verso Dio e Lo cercano nelle profondità del
proprio essere (cfr san Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III,
q. 60, art. 5, 3). Su questa base, sono convinto che insieme potremo
intraprendere con successo il cammino della comprensione e del dialogo.
2. La mia presenza qui, fra voi, intende essere un ulteriore
segno del fatto che la Chiesa cattolica desidera avviare in modo sempre
più intenso il dialogo con le religioni del mondo. Essa ritiene questo
dialogo un atto di amore che affonda le sue radici in Dio stesso.
"Dio è amore" proclama il Nuovo Testamento, "chi sta
nell'amore, dimora in Dio e Dio dimora in lui... Noi amiamo, perché
egli ci ha amati per primo.... Chi infatti non ama il proprio fratello
che vede, non può amare Dio che non vede" (1 Gv 4, 16, 19-20).
È un segno di speranza che le religioni del mondo stiano divenendo
sempre più consapevoli della loro responsabilità comune per il
benessere della famiglia umana. Questa è una parte cruciale della
globalizzazione della solidarietà che deve esistere, se il mondo futuro
deve essere sicuro. Questo senso di responsabilità condivisa aumenta
man mano che scopriamo quello che abbiamo in comune come uomini e donne
religiosi.
Chi di noi non deve affrontare il mistero della sofferenza e della
morte? Chi di noi non considera la vita, la verità, la pace, la libertà
e la giustizia valori sommamente importanti? Chi di noi non è convinto
che la bontà morale sia sanamente radicata nell'apertura della società
e dell'individuo al mondo trascendente della divinità? Chi di noi non
crede che la via verso Dio richieda la preghiera, il silenzio,
l'ascetismo, il sacrificio e l'umiltà? Chi di noi non è preoccupato
per un progresso scientifico e tecnico che dovrebbe essere accompagnato
da una consapevolezza morale e spirituale? E chi di noi non crede che le
sfide di fronte alle quali la società si trova ora possano essere
affrontate solo edificando una civiltà dell'amore, basata sui valori
universali di pace, solidarietà, giustizia e libertà? E come possiamo
farlo se non attraverso l'incontro, la comprensione reciproca e la
cooperazione?
3. Il sentiero che abbiamo davanti è arduo e abbiamo sempre la
tentazione di scegliere un cammino di isolamento e di divisione che
porta al conflitto. Ciò, a sua volta, scatena quelle forze che rendono
la religione un pretesto per la violenza, come osserviamo troppo spesso
nel mondo. Di recente, ho accolto con piacere in Vaticano i
rappresentanti delle religioni del mondo riunitisi per sviluppare i
risultati dell'incontro di Assisi del 1986. Ripeto qui ciò che ho
dichiarato di fronte a quella distinta assemblea: "La religione non
è, e non deve diventare, un pretesto per i conflitti, soprattutto
quando l'identità religiosa, culturale ed etnica coincidono. La
religione e la pace vanno di pari passo: dichiarare guerra in nome della
religione è un'evidente contraddizione". I Responsabili religiosi,
in particolare, hanno il dovere di fare tutto il possibile per
assicurare che la religione sia ciò che Dio desidera, una fonte di bontà,
rispetto, armonia e pace! Questo è l'unico modo per onorare Dio in
giustizia e verità!
Il nostro incontro ci chiede di lottare per discernere e accogliere
qualunque cosa sia buona e santa in noi, cosicché possiamo riconoscere,
tutelare e promuovere le verità morali e spirituali che sole
garantiscono il futuro del mondo (cfr Nostra aetate, n. 2). In
questo senso, il dialogo non è mai un tentativo di imporre le nostre
opinioni agli altri, poiché un dialogo di tal genere diverrebbe una
forma di dominio spirituale e culturale. Ciò non significa abbandonare
le nostre convinzioni. Ciò vuol dire che, saldi in ciò in cui
crediamo, ascoltiamo con rispetto gli altri, cercando di discernere
quello che è buono e santo e che favorisce la pace e la cooperazione.
4. È essenziale riconoscere che esiste un vincolo stretto e
indissolubile fra la pace e la libertà. La libertà è la prerogativa
più nobile della persona umana e una delle principali esigenze di
libertà è il libero esercizio della religione nella società (cfr Dignitatis
humanae, n. 3). Nessuno Stato, nessun gruppo ha il diritto di
controllare sia direttamente sia indirettamente le convinzioni religiose
di una persona, né può a ragione rivendicare il diritto di imporre o
di impedire la professione pubblica e la pratica della religione o il
rispettoso appello di una particolare religione alla libera coscienza
delle persone. Ricorrendo quest'anno il cinquantesimo anniversario della
Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, ho scritto che
"la libertà religiosa costituisce il cuore dei diritti umani. Essa
è talmente inviolabile da esigere che alla persona sia riconosciuta la
libertà persino di cambiare religione, se la sua coscienza lo domanda.
Ciascuno, infatti, è tenuto a seguire la propria coscienza in ogni
circostanza e non può essere costretto ad agire in contrasto con essa (cfr
Articolo 18)" (Messaggio in occasione della Giornata Mondiale della
Pace 1999, n. 5).
5. In India, la via del dialogo e della tolleranza è stata la
via seguita dai grandi Imperatori Ashoka, Akbar, e Chatrapati Shivaji,
da uomini saggi come Ramakrishna Paramahamsa e Swami Vivekananda e da
figure luminose quali il Mahatma Gandhi, Gurudeva Tagore e Sarvepalli
Radhakrishnan, che hanno compreso profondamente che servire la pace e
l'armonia è un compito santo. Ci sono persone che, in India e altrove,
hanno offerto un contributo significativo all'aumento della
consapevolezza della nostra fraternità universale e ci orientano verso
un futuro nel quale soddisferemo il nostro profondo desiderio di
oltrepassare la porta della libertà perché lo faremo insieme.
Scegliere la tolleranza, il dialogo e la cooperazione quale sentiero per
il futuro significa tutelare ciò che vi è di più prezioso
nell'ingente patrimonio religioso dell'umanità. Serve anche ad
assicurare che nel corso dei prossimi secoli il mondo non resti privo di
quella speranza che è la linfa vitale del cuore umano.
Che il Signore del cielo e della terra ce lo conceda ora e sempre!
Giovanni Paolo II
7 novembre 1999
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