È il mondo intero la patria del cristiano
Gerolamo Fazzini, su Mondo e Missione n.5, maggio 2006


L’Europa ha bisogno di riscoprire le sue radici cristiane. Sovrapporre cristianesimo e Occidente, però, è un rischio. Anzi: un boomerang

Il 24 marzo di quest'anno il Papa ha conferito tre berrette cardinalizie ad altrettanti vescovi titolari di sedi cruciali in Asia: Manila, Seul e Hong Kong. Padre Bernardo Cervellera su Avvenire ha commentato: «Benedetto XVI segue l’intuizione di Giovanni Paolo II: l’Asia è il nostro comune compito per il terzo millennio». Nello stesso giro di giorni, Benedetto XVI ha deciso di rinunciare al titolo di «Patriarca d’Occidente». Alla base del gesto, ragioni legate al «realismo storico e teologico» e la speranza che il dialogo ecumenico possa trarne giovamento. Semplice formalità? Nient’affatto. Chi conosce l’Oriente cristiano e la storia dei rapporti tra Chiese sa che gesti come questo sono carichi di valenze simboliche importanti.

Questo invito esplicito del Pontefice ad allargare gli orizzonti, a non imprigionare la Chiesa e il suo ruolo entro gli angusti confini dell’Europa, ma a interpretarli in uno scenario mondiale, è assai significativo.
Viviamo una stagione in cui la paura del nuovo rischia di paralizzare molti. Suscitando, per reazione, una difesa identitaria che - pur poggiando su valori in larga parte condivisibili - si traduce spesso in arroccamento, chiusura, sindrome da assedio. La temperie culturale che stiamo attraversando è delicatissima, impossibile negarlo. Grazie al contributo decisivo del cristianesimo, l’Occidente ha saputo innervare le sue normative di valori-chiave (dignità della persona, uguaglianza, libertà di espressione, democrazia...). Oggi però quell’Occidente mette in discussione il diritto fondamentale alla vita (ingegneria genetica, eutanasia…) e le stesse basi della convivenza (identità sessuali e nuovi modelli di «famiglia»). Non sarà certo cancellando la fede cristiana che l’uomo del nuovo millennio troverà l’emancipazione che cerca.
Sarebbe, però, un grave errore confondere questo con l’affermazione di una sorta di superiorità dell’Occidente o con la presunzione che alla Chiesa tocchi prioritariamente «difendere» l’identità cristiana in Europa. Ai discepoli di Cristo è affidato un compito ben più impegnativo e affascinante: «Andate e annunciate a tutti».

I due gesti del Papa ricordati in apertura sono eloquenti. Così come lo sono alcune dichiarazioni di pochi anni fa dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, che meritano di essere rilette. «La Chiesa sostanzialmente non può riconoscersi nella categoria “Occidente”. Sarebbe sbagliato storicamente, empiricamente, teologicamente. Storicamente, sappiamo che il cristianesimo è nato nell’incrocio di Europa, Asia e Africa, e questo indica anche qualcosa della sua essenza interna. È nato in un incontro delle culture come capacità, possibilità e sfida di una sintesi delle culture e come possibilità di trascendere le culture in qualcosa che è l’essere umano come tale e che precede e trascende le culture. (…) La Chiesa non può riconoscersi semplicemente come Occidente, ma deve estendersi realmente verso l’universalità, soprattutto trascendendo se stessa verso il divino, che è l’unica realtà che può creare una comunicazione delle culture».

Ora, tanti che amano sbandierare le «radici cristiane dell’Europa» dimenticano l’anelito universale («cattolico» questo significa) della Chiesa voluta da Cristo. Quando l’ex ministro Calderoli invoca una crociata in difesa dell’Occidente cristiano dimostra di aver letto poco e male il Vangelo!

Se si avesse la pazienza di ascoltare i missionari, si scoprirebbe che poche cose sono dannose, per il futuro della Chiesa, quanto l’identificazione della fede cristiana con l’Occidente tout court. Al contrario, tenere viva la dimensione «cattolica» della Chiesa, la sua vocazione all’apertura universale come caratteristica irrinunciabile, è il modo migliore per dare speranza anche all’Occidente che ha smarrito la sua anima.

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