Una brutta storia dal Canada
3.10.2009 - Incipit di un articolo del
Vaticanista Tornielli: "Sul Giornale di oggi mi sono dovuto occupare di
una storia terribile proveniente dal Canada: il vescovo di Antigonish,
Raymond John Lahey, 69 anni, alla guida della diocesi dal 2003 dopo essere
stato per molti anni pastore di un’altra città canadese, lo scorso 15
settembre è stato fermato all’aeroporto internazionale di Ottawa per “un
controllo di routine” dalla polizia e nel suo computer portatile sono state
trovate immagini pornografiche infantili. Il vescovo è stato rilasciato, e
appena ha fatto ritorno ad Antigonish si è dimesso (la rinuncia è stata
accettata dal Papa sabato scorso)...."
Poiché il tema tocca un punto sensibile e doloroso della Chiesa del
nostro tempo, che si presta a facili strumentalizzazioni da parte
dell'anticlericalismo egemone, pubblichiamo una equilibrata, serena ed esaustiva
riflessione di una nostra lettrice.
Il tema è così complesso e sensibile che è molto facile, anche in preda
alla facile e naturale emozione, cadere in generalizzazioni riduttrici e
semplificatrici.
Non trovo assolutamente nessuna scusa ad un sacerdote pedofilo, che sia passato
all'atto o no, è un atto criminale che come tale deve essere giudicato e punito
severamente. Ma rifiuto di accettare la troppo facile semplificazione:
celibato=pedofilia, se i preti si sposassero non succederebbe, niente di più
falso.
Ricordando dapprima che il 98% dei pedofili sono uomini sposati, faccio anche
osservare che il fondatore di Spartacus, giornale pedofilo, era un pastore
protestante sposato, questo solo per tagliare le gambe ad uno dei tanti
clichés.
Oggi in un mondo che ha perso la bussola del bene, dove il sesso è servito
mattina, pomeriggio e sera, dove i giovani sempre più giovani sono iniziati al
sesso, credono così di essere liberi e non hanno la maturità emozionale
sufficiente per resistere agli artigli dei vari avvoltoi, una società dove le
coppie saltano perchè l'uomo o la donna si stancano rapidamente della
quotidianità della noiosa routine del loro rapporto, devono trovare sempre nuove
sollecitazioni, purtroppo troppo spesso queste nuove sollecitazioni, una volta
fatto il giro di ciò che permesso o tollerato, facilmente ottenibile, troppo
facilmente ottenibile, ci si gira verso i giovani, sempre più giovani o altro
ancora.
E questo non succede solo ai malati ma sempre più a persone considerate normali.
In questa drammatica relativizzazione, dove si è perso il senso del male, non si
fa più la differenza fra il bene e il male, o peggio ancora il male diventa il
bene e viceversa, solo conta ciò che l'individuo desidera, il suo desiderio
diventa ipso facto un diritto.
Un sacerdote che vive a contatto con questo mondo, se non ha una maturità
psichica è vulnerabile, lo è ancor più se vive solo, se non può parlare delle
sue tentazioni, e lo è ancor più se non è radicato nella preghiera, se passa la
sua giornata dalla mattina alla sera a contatto con il mondo, se va nel mondo e
diventa del mondo.
E poco importa che sia un sacerdote di campagna o di città, un vescovo, un
intellettuale di primo ordine, un eccellente professore, un ottimo teologo, non
è di certo il suo sapere che lo proteggerà dalle tentazioni del mondo, che gli
permetterà di restare fedele alle sue promesse, solo la preghiera, il loro
essere in Cristo darà loro la forza di vivere i loro voti con fedeltà e gioia,
malgrado le tentazioni, i momenti di dubbio, le traversate del deserto, che
forse verranno, radicati in Cristo con e nella preghiera, la Santa Eucaristia
quotidiana, e il potere parlare con il loro consigliere spirituale, non essere o
sentirsi soli.
Scrivo queste parole ripensando a quelle che ha spesso rivolto il Santo Padre
Benedetto XVI, ai sacerdoti. C'è chi si domanda come sono scelti i vescovi, io è
da tempo che mi pongo quella domanda, ma ne pongo un'altra: che cura hanno i
vescovi dei loro sacerdoti?
Luisa