Dal n.26 di
"Toscana Oggi", 6 luglio 2003
Ciò che più colpisce, nel silenzio sulle
radici cristiane dell'Europa da parte del "Preambolo" della
Costituzione europea, sono le ragioni portate per giustificarlo. La
più frequentemente ripetuta è che anche islamismo ed ebraismo hanno
avuto un ruolo importante nella storia dell'Europa. Ora, è verissimo
che alcune regioni del nostro continente sono state per secoli sotto
la dominazione islamica.
Ma essa è stata in
larga misura vissuta come un'occupazione, contro cui, appena
possibile, i popoli sottomessi si sono ribellati. L'identità
nazionale della Spagna ha mantenuto per secoli una fortissima impronta
religiosa a seguito della "reconquista" attuata contro i
mori. E la storia delle popolazioni balcaniche è stata segnata, per
tutto l'Ottocento, dalla lotta per recuperare la loro identità
nazionale e cristiana liberandosi dai turchi.
Se poi si pensa
all'influenza della cultura araba - per esempio nella trasmissione
delle opere di Aristotele - essa è fuor di dubbio, ma furono dei
maestri domenicani, come S. Alberto Magno e S. Tommaso d'Aquino, ad
accogliere, meditare e rielaborare il pensiero dei filosofi greci e le
stesse dottrine dei loro commentatori islamici. Qualcosa del genere
vale per l'ebraismo, che ha segnato in modo decisivo la storia
dell'Occidente, ma attraverso la mediazione del cristianesimo. La
tradizione dell'Antico Testamento è giunta a noi solo nella rilettura
che ne viene fatto dal Nuovo.
Si è tentato di far
passare come fonte autonoma della civiltà europea quella della Grecia
classica, per sostituirla a quella cristiana (la citazione di Tucidide
a proposito della democrazia) o per dimostrare, alla fine, che,
davanti a una tale varietà di radici culturali, è preferibile non
menzionarne nessuna. Ma anche questa è un'evidente semplificazione,
che falsa i fatti. Furono i monaci benedettini a salvare, ricopiare,
interpretare i classici, e furono le Università medievali a rileggere
non solo Aristotele, ma tutto il pensiero antico.
Qualcuno ha posto il problema della sincerità dell'adesione al
cristianesimo da parte delle masse. Qui, però, non è in questione
l'autenticità della fede delle persone, bensì l'influsso culturale
di questa fede. E chi invoca la secolarizzazione dimentica che perfino
essa si può realizzare solo nell'orizzonte della visione cristiana,
che riconosce la consistenza e la relativa autonomia delle realtà
terrene.
Ciò che impressiona è
che gli intellettuali non siano insorti contro queste e altre simili
argomentazioni, non in nome dell'appartenenza ad una Chiesa, ma della
pura e semplice verità storica. Nel suo romanzo "1984"
Orwell indica come una delle caratteristiche più tipiche dei
totalitarismi la volontà di riscrivere il passato per modellarlo sul
presente. Se questo è vero, ciò a cui abbiamo assistito dovrebbe
inquietare tutti, credenti e non credenti.
Si potrà obiettare che
in fondo, alla fine, nel "Preambolo" si è preferito tacere,
oltre che del cristianesimo, di qualunque altra matrice spirituale e
culturale. Ma proprio questo è il totalitarismo culturale di cui oggi
siamo vittime: quello di un pluralismo che si spinge così oltre da
cancellare ogni tradizione e, di conseguenza, ogni identità. Pessima
base per un dialogo con una civiltà, come l'Islam, che rischia di
cancellarci per il semplice motivo che noi non siamo più niente.