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Omelia di Benedetto XVI per la chiusura
della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani
Pubblichiamo l’omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere giovedì 25 gennaio, nella
Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma, la
celebrazione dei Secondi Vespri della solennità
della Conversione di San Paolo, a conclusione della
Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani sul
tema: "Fa udire i sordi e fa parlare i muti
".
Cari fratelli e sorelle!
Durante la "Settimana di preghiera", che questa sera si conclude, si è
intensificata, nelle varie Chiese e Comunità ecclesiali del mondo intero, la
comune invocazione al Signore per l’unità dei cristiani. Abbiamo meditato
insieme sulle parole del vangelo di Marco proclamate poc’anzi: "Fa udire i
sordi e fa parlare i muti" (Mc 7,37), tema biblico proposto dalle Comunità
cristiane del Sud Africa. Le situazioni di razzismo, di povertà, di conflitto,
di sfruttamento, di malattia, di sofferenza, nelle quali esse si trovano, per
la stessa impossibilità di farsi comprendere nei propri bisogni, suscitano in
loro un acuta esigenza di ascoltare la parola di Dio e di parlare con
coraggio. Essere sordomuto, non poter cioè né ascoltare né parlare, non può
infatti essere un segno di mancanza di comunione e un sintomo di divisione? La
divisione e l’incomunicabilità, conseguenza del peccato, sono contrarie al
disegno di Dio. L’Africa ci ha offerto quest’anno un tema di riflessione di
grande importanza religiosa e politica, perché "parlare" e "ascoltare"
sono condizioni essenziali per costruire la civiltà dell’amore.
Le parole "Fa udire i sordi e fa parlare i muti" costituiscono una
buona notizia, che annuncia la venuta del Regno di Dio e la guarigione dalla
incomunicabilità e dalla divisione. Questo messaggio si ritrova in tutta la
predicazione e l’opera di Gesù, il quale attraversava villaggi, città e
campagne, e dovunque giungeva "ponevano gli infermi nelle piazze e lo
pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo
toccavano guarivano" (Mc 6,56). La guarigione del sordomuto, su cui abbiamo
meditato in questi giorni, avviene mentre Gesù, lasciata la regione di Tiro,
si dirige verso il lago di Galilea, attraversando la cosiddetta "Decapoli",
territorio multi–etnico e plurireligioso (cfr Mc 7,31). Una situazione
emblematica anche per i nostri giorni. Come altrove, pure nella Decapoli
presentano a Gesù un malato, un uomo sordo e difettoso nel parlare (moghìlalon)
e lo pregano di imporgli le mani. Gli chiedono una benedizione, cioè un
intervento religioso, perché lo considerano un uomo di Dio. Gesù conduce il
sordomuto lontano dalla folla, e compie dei gesti che significano un contatto
salvifico – pone le dita nelle orecchie, tocca con la propria saliva la lingua
del malato –, e poi, volgendo lo sguardo al cielo, comanda: "Apriti!".
Pronuncia questo comando in aramaico ("Effatà"), verosimilmente la
lingua delle persone presenti e dello stesso sordomuto, espressione che
l’evangelista traduce in greco (dianoìchthēti).
Le orecchie del sordo si aprirono, si sciolse il nodo della sua lingua: "e
parlava correttamente" (orthōs).
Gesù raccomanda che non si dica nulla del miracolo. Ma più lo raccomandava,
"più essi ne parlavano" (Mc 7,36). Ed il commento meravigliato di quanti
avevano assistito ricalca la predicazione di Isaia per l’avvento del Messia: "Fa
udire i sordi e fa parlare i muti" (Mc 7,37).
Il primo insegnamento che traiamo da questo episodio biblico, richiamato anche
nel rito del battesimo, è che, nella prospettiva cristiana, l’ascolto è
prioritario. Al riguardo Gesù afferma in modo esplicito: "Beati coloro che
ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica" (Lc 11,28). Anzi, Egli
dice che "una sola è la cosa di cui c’è bisogno" (Lc 10,42): l’ascolto della
Parola. Ciò è prioritario per il nostro impegno ecumenico. Non siamo infatti
noi a fare o ad organizzare l’unità della Chiesa. La Chiesa non fa se stessa e
non vive di se stessa, ma della parola che viene dalla bocca di Dio. Ascoltare
insieme la parola di Dio; praticare la lectio divina della Bibbia, cioè
la lettura legata alla preghiera; lasciarsi sorprendere dalla novità, che mai
invecchia e mai si esaurisce, della parola di Dio; superare la nostra sordità
per quelle parole che non si accordano con i nostri pregiudizi e le nostre
opinioni; ascoltare e studiare anche quelli che prima di noi hanno ascoltato
la parola di Dio, per imparare da loro e così leggere la Bibbia in questa
lunga e ricca tradizione dell’ascolto; tutto ciò costituisce un cammino da
percorrere per raggiungere l’unità nella fede, come risposta all’ascolto della
Parola.
Chi si pone all’ascolto della parola di Dio può e deve poi parlare e
trasmetterla agli altri, a coloro che non l’hanno mai ascoltata, o a chi l’ha
dimenticata e sepolta sotto le spine delle preoccupazioni e degli inganni del
mondo (cfr Mt 13,22). Dobbiamo chiederci: noi cristiani, non siamo diventati
forse troppo muti? Non ci manca forse il coraggio di parlare e di testimoniare
come hanno fatto coloro che erano i testimoni della guarigione del sordomuto
nella Decapoli? Il nostro mondo ha bisogno di questa testimonianza; attende
soprattutto la testimonianza comune dei cristiani. L’unità non si può
certamente imporre; essa va condivisa e fondata su una comune partecipazione
all’unica fede. Ascoltare e parlare, comprendere gli altri e comunicare la
propria fede, sono dimensioni pertanto essenziali della prassi ecumenica. Il
dialogo onesto e leale costituisce lo strumento tipico ed imprescindibile
della ricerca dell’unità. Il Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II
ha sottolineato che se i cristiani non si conoscono reciprocamente non sono
neppure immaginabili dei progressi sulla via della comunione. Nel dialogo
infatti ci si ascolta e si comunica; ci si confronta e, con la grazia di Dio,
si può convergere sulla sua Parola accogliendone le esigenze, che sono valide
per tutti.
Nell’ascolto e nel dialogo i Padri conciliari non hanno intravisto un’utilità
indirizzata esclusivamente al progresso ecumenico, ma hanno aggiunto una
prospettiva riferita alla stessa Chiesa cattolica: "Da questo dialogo –
afferma il testo del Concilio – apparirà anche più chiaramente quale sia la
vera situazione della Chiesa cattolica" (Unitatis redintegratio, 9). È
indispensabile certo "esporre con chiarezza tutta la dottrina" per un dialogo
che affronti, discuta e superi le divergenze ancora esistenti tra i cristiani,
ma al tempo stesso "il modo ed il metodo di enunciare la fede cattolica non
deve in alcun modo essere di ostacolo al dialogo con i fratelli" (ibid., 11).
Bisogna parlare correttamente (orthōs)
e in modo comprensibile. Il dialogo ecumenico comporta l’evangelica correzione
fraterna e conduce a un reciproco arricchimento spirituale nella condivisione
delle autentiche esperienze di fede e di vita cristiana. Perché ciò avvenga
occorre implorare senza stancarsi l’assistenza della grazia di Dio e
l’illuminazione dello Spirito Santo. È quanto i cristiani del mondo intero
hanno fatto durante questa speciale "Settimana", o faranno nella Novena che
precede la Pentecoste, come pure in ogni circostanza opportuna, elevando la
loro fiduciosa preghiera affinché tutti i discepoli di Cristo siano una cosa
sola, e affinché, nell’ascolto della Parola, possano dare una testimonianza
concorde agli uomini e alle donne del nostro tempo.
In questo clima di intensa comunione desidero rivolgere il mio cordiale saluto
a tutti i presenti: al Signor Cardinale Arciprete di questa Basilica e agli
altri Cardinali, ai venerati Fratelli nell’Episcopato e nel sacerdozio, ai
Monaci benedettini, ai religiosi e alle religiose, ai laici che rappresentano
l’intera comunità diocesana di Roma. In modo speciale vorrei salutare i
fratelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali che hanno preso parte alla
celebrazione, rinnovando la significativa tradizione di concludere insieme la
"Settimana di Preghiera", nel giorno in cui commemoriamo la folgorante
conversione di san Paolo sulla via di Damasco. Sono lieto di sottolineare che
il sepolcro dell’Apostolo delle genti, presso il quale ci troviamo, è stato
recentemente oggetto di indagini e di studi, in seguito ai quali si è voluto
renderlo visibile ai pellegrini, con un opportuno intervento sotto l’altare
maggiore. Per questa importante iniziativa esprimo le mie congratulazioni.
All’intercessione di san Paolo, infaticabile costruttore dell’unità della
Chiesa, affido i frutti dell’ascolto e della testimonianza comune che abbiamo
potuto sperimentare nei molti incontri fraterni e dialoghi avvenuti nel corso
del 2006, tanto con le Chiese d’Oriente quanto con le Chiese e Comunità
ecclesiali in Occidente. In questi eventi è stato possibile percepire la gioia
della fraternità, insieme alla tristezza per le tensioni che permangono,
conservando sempre la speranza che ci infonde il Signore. Ringraziamo quanti
hanno contribuito ad intensificare il dialogo ecumenico con la preghiera, con
l’offerta della loro sofferenza e con la loro infaticabile azione. È
soprattutto al nostro Signore Gesù Cristo che rendiamo fervide grazie per
tutto. La Vergine Maria faccia sì che quanto prima possa realizzarsi l’ardente
anelito di unità del suo divin Figlio: "Che tutti siano una cosa sola…
affinché il mondo creda" (Gv 17,21).
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