La nostra polveriera: i
giovani apatici, senza sogni
Antonio Mazzi, su
"Avvenire" 8 novembre 2005
Importante azzeccare
la diagnosi sociale. Per un avvenire di speranza, prospettare
motivazioni forti, la ricerca di senso, di libertà, dignità,
rispetto dell'altro
Ovvio che preoccupi ciò che sta
succedendo nelle periferie parigine e francesi. E forti delle
esperienze passate, gli illuminati si preparano già al peggio anche
in casa nostra. Più di uno mi ha cercato per chiedere cosa ne
pensassi. Quasi che il nostro impasto sociale sia automaticamente
assimilabile a quello francese. Noi italiani siamo specializzati
nell'anticipare le paure, e altrettanto specializzati nell'evitare
qualsiasi prevenzione seria da interporre alle paure stesse. La
fatalità, patrimonio della società contadina, ce la teniamo intanto
dentro le ossa gelosamente custodita.
Eppure i fatti francesi hanno
alcuni aspetti nuovi e assai più allarmanti delle rivoluzioni
studentesche di alcuni decenni fa. Allora erano protagonisti gli
studenti grandi e impegnati politicamente, oggi pare siano gli
adolescenti senza genealogia, affascinati dalle lotte intestine e
dalle iconoclastie. La velocissima trasformazione del fenomeno
adolescenziale, da fattore trasgressivo e bullista, nato con la
rozzezza degli sfasciacarrozze, a guerriglia devastatrice e
inconsulta, potrebbe trovare, questa sì, riscontri entro breve tempo
anche da noi.
Non penso quindi sia solo il malessere dei quartieri o il bisogno di
diritti civili a smuovere le acque, ma ben altro. Anche l'adolescente
nostrano senza sogno, senza avventure forti e rischiose, senza tempi
per l'assunzione di responsabilità, ha trovato come coprire i
larghissimi spazi che intercorrono tra l'adolescenza precoce e la
giovinezza lontana. Ha trovato pane per i suoi denti, protagonismo per
la sua età, miscela esplosiva per i suoi bisogni trasgressivi.
Proprio in queste miscele si insinuano anche alcol, droga, violenza,
vendetta trasversale e verticale.
Tutto il meglio del peggio! Se i nostri governanti fossero
lungimiranti e più meditativi alcune contromosse le studierebbero in
breve tempo. Ad esempio: aprire con le scuole un dialogo forte
inserendo in modo sistematico personalità ed esperienze capaci di
affascinare e di interessare i giovani.
La scuola è il luogo più adatto per il lavoro costruttivo, paziente,
preventivo. Tutti gli adolescenti frequentano la scuola, sono già
divisi in classi, sono conosciuti dal corpo docente. Aprendo subito la
scuola alle forze del territorio, al volontariato, agli specialisti,
agli sportivi, agli artisti e sburocratizzandola, potremmo anticipare
avventure, canalizzare emozioni, orientare amicizie, scaricare con
intelligenza i traumi che alcuni ragazzi si portano dietro
dall'infanzia.
Da tempo vado dicendo che nelle scuole di periferia dovremmo mandare
docenti preparati ad hoc e fortemente motivati. Invece succede quasi
sempre il contrario. Eppure sono le periferie, Francia docet, a
imporsi oggi come le frontiere più nevralgiche, dove serve poco - o
solo alla fine - mandare in massa le forze dell'ordine, quasi fossero
queste le meglio attrezzate a interpretare e intervenire sui fenomeni.
Bisogna piuttosto stare attenti a che le situazioni non evolvano fino
a obbligare gli adolescenti ad aver a che fare con la polizia. Non
solo è fortemente diseducante, ma si rischia l'effetto boomerang.
Nasceranno eroi a nostro dispetto e si alzeranno barricate ancora più
rabbiose. C'è un piccolo kamikaze in ogni adolescente. Ricordiamolo.
Smontiamo allora il fatalismo di cui è infarcita la nostra attesa
sociale e rimbocchiamoci le maniche.
Troviamo quattro soldi per salvare i nostri figli prima che si debbano
spendere milioni di euro per reinventare cliniche specializzate,
carceri minorili e distaccamenti di militari nelle nostre periferie.