Sorpresa: il
partito radicale apre una scuola di teologia a Bruxelles
Sandro Magister su L'espresso del 20 dicembre
2004
Hanno fama di superlaicisti. Ma chiamano
a parlare teologi e filosofi cattolici, su laicità e religioni in
Europa. Il domenicano Ignace Brenten spiega come legiferare sulle
materie moralmente controverse
E
intanto, a Roma...
Il 7 e 8 dicembre a Bruxelles, nelle aule del parlamento europeo, si è
svolto un colloquio internazionale su laicità e religioni che impone
d’esser segnalato per la sua novità.
La novità era difficile da indovinare, alla vigilia. Perché
committenti, tema e relatori facevano presagire, semmai, uno svolgimento
più risaputo.
I committenti del colloquio erano due parlamentari europei molto
combattivi, Marco Pannella ed Emma Bonino, leader storici in Italia del
partito radicale: partito d’impronta liberista e libertaria, con fama
di anticlericale estremo, già avanguardia vittoriosa di grandi
battaglie per la libertà di divorzio e di aborto.
Il tema del colloquio era esso stesso un terreno minato: “Laicità e
religioni nell’Unione Europea. Le emergenze: Francia, Italia,
Spagna”.
Tra i relatori spiccavano ex cattolici passati all’ateismo più netto,
ex religiosi fieri delle loro attuali eresie, gesuiti ribelli,
femministe. C’erano l’americana Frances Kissling, presidente di
Catholic for a Free Choice; gli spagnoli Juan José Tamayo, Margarita
Pintos e José Maria Castillo, gesuita; i francesi Jacques Pohier, già
decano di teologia morale alla facoltà domenicana di Le Saulchoir, e
Henri Pena-Ruiz della commissione STASI, quella del divieto del velo
islamico e degli altri segni religiosi; i filosofi italiani Pietro Prini,
autore di “Lo scisma sommerso”, e Luigi Lombardi Vallauri,
convertito all’idea che le religioni fanno sempre e solo nefandezze,
al punto che i capolavori dell’arte cristiana “non possono che
essere frutto del caso”.
Insomma, ci si poteva aspettare il replay di un copione già scritto,
anticlericale e anticattolico, conforme a quell’immagine di Chiesa
“fortezza assediata” che l’autorevole rivista dei gesuiti di Roma,
“La Civiltà Cattolica”, ha denunciato nell’editoriale del suo
ultimo numero, del 18 dicembre 2004.
E invece accanto a punte laiciste di questo tipo – che pure vi sono
state – c’è stato molto di più e d’altro.
Marco Pannella, presiedendo i lavori, ha indicato così la finalità del
colloquio:
“Religiosità e laicità non sono in contraddizione. Oggi è urgente
rendere udibile la parola cattolica dei cattolici, dare spazio alla loro
verità, al loro modo di dar corpo alla fede. La teologia, la filosofia,
la metafisica, la spiritualità vanno difese, affermate, liberate, tanto
quanto la ricerca scientifica”.
Altrettanto va fatto – ha aggiunto – con il mondo islamico e le
altre religioni.
Tra i libri che hanno più inciso sulla sua formazione, Pannella ha
richiamato con passione due opere di due grandi pensatori cattolici:
“Il dramma dell’umanesimo ateo”, del teologo gesuita Henri De
Lubac, e “I dialoghi delle carmelitane”, di Georges Bernanos.
E tra i relatori che si sono avvicendati, ve ne sono stati parecchi che
si sono mossi secondo tale linea.
Angiolo Bandinelli, esponente del partito radicale fin dalla fondazione,
ha svolto una relazione dal titolo: “L’anticlericalismo religioso
dei radicali”, con l’accento sull’aggettivo “religioso”.
Mario Martini, professore di filosofia morale all’università di
Perugia, ha parlato di “Religiosità laica in Italia”, con
riferimento al pacifismo di Aldo Capitini, il Gandhi italiano.
Francesco Pullia, filosofo delle religioni, ha intitolato il suo
intervento: “Nonviolenza come apertura religiosa e superamento delle
insufficienze del laicismo nella comprensione della realtà”.
Armando Massarenti, filosofo di fama, direttore della rivista “Etica
ed Economia”, ha rivendicato anche al pensiero non religioso una sua
forza morale, tale da invalidare l’asserto dostoevskiano “Se Dio non
c’è tutto è permesso”.
Di esemplare onestà è stato l’intervento di Giulio Cossu, uno dei
massimi esperti di cellule staminali. Nell’illustrare con precisione
le possibilità offerte oggi dalla scienza alla procreazione
artificiale, alla selezione e utilizzo degli embrioni, alla clonazione
umana, ha puntualmente distinto ogni volta tra i casi che non sollevano
obiezioni morali (per esempio l’uso di staminali adulte) e quelli che
invece le pongono (per esempio le staminali embrionali, con soppressione
del nascituro).
Come si sa, le obiezioni morali su questi punti sono ciò che rende più
difficile trovare un consenso e quindi produrre delle leggi condivise.
A questo proposito, nel colloquio è emersa in alcuni la tendenza ad
attribuire semplicemente alla maggioranza l’autorità di decretare i
valori ultimi, in linea con il motto del primo ministro spagnolo José
Luis Rodríguez Zapatero: “Se la maggioranza dice una cosa, quella è
la verità”.
Questo principio è stato sostenuto soprattutto da alcuni relatori
cattolici, secondo i quali lo stesso magistero dottrinale e morale della
Chiesa dovrebbe adeguarsi alle indicazioni maggioritarie dei fedeli,
comprovate dai sondaggi.
A parere del teologo ex domenicano Jacques Pohier, tale criterio
dovrebbe essere anche retroattivo: se dopo secoli un dogma cessasse
d’essere accettato dalla gran parte dei fedeli, esso dovrebbe
ritenersi non più valido.
Ma non è questa la tendenza che si è imposta, nel colloquio. La
questione di come legiferare nelle materie eticamente controverse è
stata toccata in profondità da un oratore diversamente orientato:
Ignace Berten, domenicano e teologo, belga, professore all’istituto
internazionale “Lumen Vitae” di Bruxelles e membro
dell’associazione “Espace. Spiritualités, cultures et societé en
Europe”.
Berten sostiene che i dilemmi morali in campo legislativo vanno
affrontati con “un vero mutuo ascolto nel rispetto reciproco, e una
volontà comune di arrivare a una decisione soddisfacente per tutti”,
nel pieno rispetto sia della laicità che della religione. E spiega
come.
Ecco qui di seguito, integrale, la sua relazione al colloquio di
Bruxelles del 7-8 dicembre 2004:
Laicità, religione ed etica nell’Unione Europea
di Ignace Berten, OP
Il principio della laicità è chiaro nella sua formulazione: lo stato
non interferisce negli affari interni delle religioni; le religioni non
interferiscono nell’organizzazione dello stato.
Separazione, dunque. Questo principio è fondamentale nelle nostre
democrazie europee, in particolare là dove c’è una religione
maggioritaria e dominante, affinché questa non imponga i suoi principi
etici o la sua concezione di vita all’insieme della società e dunque
alle religioni minoritarie e ai cittadini che non aderiscono ad alcuna
istituzione religiosa.
Quanto all’applicazione del principio, si sa però che le relazioni
tra religione e stato variano enormemente da un paese all’altro, e che
il concetto francese di laicità è quasi incomprensibile a un inglese.
Inoltre, queste relazioni e il concetto stesso di laicità evolvono
storicamente.
L’autonomia delle due sfere ha comunque dei limiti.
Per quanto riguarda lo stato, un limite è l’ordine pubblico, così
come i diritti definiti dalle costituzioni. Le religioni non possono
mettere in opera o promuovere qualsiasi atto, in nome delle loro
convinzioni. Un limite chiaro è posto attualmente dai nostri stati in
rapporto agli atti terroristici con motivazione religiosa: degli imam
sono stati espulsi di recente dalla Francia e da altri paesi su questa
base. Allo stesso modo è vietato dalla legge l’assassinio, quale che
ne sia il motivo: non c’è posto per una religione che pratichi
l’omicidio rituale o il sacrificio umano.
Per quanto riguarda le religioni, in forza delle loro stesse convinzioni
fondamentali, non possono accettare qualsiasi atto da parte degli stati.
La Chiesa cattolica, in Cile e Brasile, chiaramente denunciò e condannò
la pratica della tortura e delle sparizioni forzate, e fu accusata di
“fare politica”.
E’ dunque impossibile che vi sia impenetrabilità assoluta tra
religione e stato: per suo principio la religione, in ogni caso il
cristianesimo, non può accettare e legittimare uno stato totalitario,
anche se di fatto in certi paesi la religione ha fatto e fa ancora
alleanza con dei poteri totalitari. Da parte sua, per principio, lo
stato non può tollerare una religione che sovverta lo stato di diritto,
anche se nei fatti certi stati hanno utilizzato e utilizzano ancora la
religione come legittimazione della propria violenza.
* * *
La laicità è l’accettazione di principio della separazione della
religione e dello stato. Ma anche al di fuori dei casi limite come il
terrorismo individuale o di gruppo e il terrorismo di stato, per
riprendere i due esempi precedenti, le frontiere non sono a tenuta
stagna.
In ciò che concerne il senso dell’esistenza lo stato non è e non può
essere l’istanza che pretenda di definire questo senso: le nostre
società sono plurali, multiconfessionali. Tuttavia, lo stato
rappresenta una dimensione di senso condivisa, in quanto si riferisce a
dei valori comuni. La carta dei diritti fondamentali, il preambolo e il
titolo I del progetto di costituzione europea definiscono un senso
condiviso a partire dai valori ivi affermati: un senso limitato, certo,
ma in ogni caso espressione di senso.
Secondo il principio di laicità le convinzioni etiche, che sono una
delle espressioni maggiori del senso dell’esistenza, appartengono al
dominio privato: non compete allo stato di imporre un’etica
(intendendo l’etica nel suo senso più largo: non solo il dominio
della vita, del corpo, delle relazioni affettive, ma anche quello delle
dimensioni sociali di giustizia, di solidarietà, ecc.). Detto così,
tuttavia, un tale principio è ideologico e di fatto falso: non
corrisponde per niente alla pratica di alcuno stato laico. La condanna
dell’assassinio è sì un principio del diritto civile; ma riposa su
un principio etico, il “non uccidere”, che è politicamente
condiviso. Questo consenso politico e legale non riposa solo sulla
necessità di garantire l’ordine pubblico (in effetti, è nel nome
stesso dell’ordine pubblico che certi stati totalitari utilizzano
l’assassinio come uno dei mezzi d’esercizio della loro autorità).
Su questo punto, nei nostri stati occidentali, c’è convergenza tra la
religione, in concreto il cristianesimo, e lo stato. Ma il giudizio di
ciò che è legale ed è considerato pubblicamente come morale
(nonostante non vi sia identificazione tra il legale e il morale) non è
immutabile, anzi. C’è voluto del tempo prima che la contraccezione
fosse legalizzata: c’era chiaramente una resistenza culturale e
religiosa. Così per il riconoscimento civile del divorzio. Non tutti i
paesi hanno legalizzato l’aborto a determinate condizioni, né la
pratica dell’eutanasia in certe circostanze, né ancora
l’uguaglianza tra unione eterosessuale e unione omosessuale.
Ciò rinvia alla domanda: in nome di che cosa si determina che
l’omicidio di vendetta o d’onore (sotto la forma del duello, per
esempio) è un atto socialmente intollerabile che deve essere legalmente
interdetto e penalmente sanzionato, e che l’aborto non lo è, o che
l’aborto prima di 9 settimane è in certe condizioni legittimo, e dopo
non lo è più? L’automutilazione, nella gran parte dei nostri paesi,
è anch’essa sanzionata dalla legge: questo atto tuttavia è di natura
puramente individuale e in questo senso privato. In nome di che cosa è
proibito?
In un ambito più collettivo: che cosa implica da un punto di vista
etico la presa sul serio dei diritti dell’uomo a proposito di una
politica comune dell’immigrazione, del trattamento riservato alle
popolazioni immigrate, dell’accoglienza dei richiedenti asilo, della
protezione delle minoranze?
E’ evidente che il solo principio della laicità non consente di
rispondere a queste domande. Ma lo stato deve pur legiferare in un senso
o nell’altro.
In tutti i nostri stati europei, la clonazione umana riproduttiva è
stata messa fuori legge. Tutte le convinzioni (o almeno una forte
maggioranza di esse) sono arrivate a un consenso politico. Un individuo
può naturalmente continuare a pensare e ad avere la convinzione
personale che la clonazione può essere accettata (eventualmente a certe
condizioni), può anche dirlo pubblicamente, ma questa sua convinzione
non è autorizzato a metterla in pratica. La convinzione etica è forse,
nello stato laico, di ordine privato; ma la sua messa in opera, nella
gran parte dei casi, non lo è.
E la questione s’è fatta ancora più complessa da quando ci si trova
di fatto in una società multiculturale: la poligamia, l’escissione
sono condannate in nome di una concezione condivisa da una maggioranza
culturale secondo la quale queste pratiche sono contrarie alla
definizione dei diritti dell’uomo accettata da questa stessa
maggioranza. Alcuni, oggi, vorrebbero in nome dello stesso principio
vietare la circoncisione, cosa che fa scandalo per gli ebrei.
E le usanze di abbigliamento condivise da una minoranza culturale o
religiosa? Quando e a partire da quando esse nuocciono all’ordine
pubblico, o al progetto educativo definito dalla società, o al
funzionamento normale della medicina ospedaliera, o ancora al progetto
di integrazione e di coabitazione armoniosa dichiarato dallo stato?
Il principio della laicità dello stato e della società non consente di
rispondere con chiarezza a questi interrogativi. Il rapporto tra
religione e stato è necessariamente segnato da una zona di
indeterminazione dal punto di vista della laicità.
* * *
Legalità e morale non si identificano. C’è tuttavia un’etica
pubblica che si impone ed è sanzionata dalla legge. E costantemente i
nostri stati sono portati a legiferare in ambiti che hanno una
dimensione etica. La domanda è quindi di sapere come prendere
democraticamente simili decisioni.
Alcuni principi consentono o dovrebbero consentire di arrivarvi,
mettendo in azione le procedure adeguate.
Sulle questioni di senso o che creano senso, sia nel campo propriamente
etico, sia in quello dei modi di vita, una parte consistente dei
cittadini non pensano e agiscono soltanto come individui: sono legati a
delle tradizioni di senso o di convinzioni. Nelle nostre società queste
tradizioni sono plurali e questa pluralità si accresce, e anche al loro
interno queste tradizioni si differenziano sempre più nettamente. La
Chiesa cattolica, ad esempio, è lontana dal costituire un insieme
omogeneo e uniforme in ciò che concerne il giudizio etico da portare
sulle pratiche umane.
Se sempre più spesso all’interno degli stati si creano delle
commissioni etiche, è proprio per rispondere alla necessità di
legiferare in certi ambiti (tutti sono d’accordo sul principio che non
si può lasciar fare tutto), o di prendere delle decisioni pratiche (per
esempio finanziamenti di progetti di ricerca, o rimborsi da parte della
previdenza sociale dell’una o dell’altra prestazione medica),
tenendo conto della diversità delle convinzioni presenti tra i
cittadini. E’ in questa prospettiva che c’è un comitato etico anche
in seno alla Commissione Europea.
La decisione non può allora essere che un compromesso tra opinioni che
presentano tra loro differenze importanti, e talvolta anche vere
contrapposizioni. Questi compromessi non possono essere acquisiti se non
quando le convinzioni diverse possono effettivamente esprimersi e
argomentarsi: il che suppone che siano messe in opera le condizioni per
una rappresentazione delle diverse opinioni, per un vero mutuo ascolto
nel rispetto reciproco, e una volontà comune di arrivare a una
decisione soddisfacente per tutti.
Ma che cosa può essere giudicato “soddisfacente per tutti”? Non
certamente la decisione ideale per tutti i partner del dibattito, la
decisione che risponderebbe pienamente alle attese o esigenze delle
diverse convinzioni a confronto, cosa che supporrebbe una unanimità
semplicemente impossibile. Il “soddisfacente per tutti” non è
dunque un soddisfacente etico, perché ciò che è deciso, permesso o
vietato non corrisponde necessariamente alle esigenze di alcune delle
persone o delle tradizioni impegnate nel negoziato. In altre parole: ciò
che in questo modo è permesso o vietato non risponde in tutto alla
norma etica o spirituale con la quale vivono e vogliono vivere alcuni
dei partner del negoziato. Per dirla con chiarezza, dal punto di vista
della Chiesa cattolica: una legge sull’aborto non significa che, per
tutti i partner del negoziato che sono arrivati al compromesso espresso
dalla legge, l’aborto praticato nelle condizioni stabilite sia
eticamente accettabile, indipendentemente dalle divergenze in proposito
esistenti in seno stesso alla Chiesa).
Ma la decisione politica è tuttavia etica, per l’insieme dei partner,
nella misura in cui questi possono riconoscere: 1. che una legge è una
situazione preferibile a una assenza di legge, perché questa avrebbe
come conseguenza un male più grande di una legge imperfetta; 2. che
c’è una necessità di proporzionalità: l’intervento legislativo
non ha senso e legittimità se non quando è necessario; 3. che questa
legge, date le circostanze, è il miglior compromesso accettabile, nel
rispetto delle persone, della pluralità delle convinzioni e del bene
pubblico.
D’altra parte, il compromesso così ottenuto è anche sempre
provvisorio: l’evoluzione delle mentalità, della cultura e delle
sensibilità etiche è una evidenza. Esso richiede dunque costantemente
di essere valutato e se possibile migliorato. Inoltre, l’accordo
ottenuto non impedisce ai differenti partner di dire in seguito sia che
in quel momento dato l’accordo era senza dubbio il migliore possibile
(è una questione di lealtà nei confronti del negoziato), sia in che
cosa resta insoddisfacente e dovrebbe essere migliorato.
Detto questo, resta la questione personale dell’obiezione di coscienza:
quale posto riconoscerle, e a quali condizioni? Anche qui un consenso
pubblico deve essere ottenuto, sulla base di un compromesso possibile.
Al di là di questo, resta la responsabilità personale di collocarsi
eventualmente fuori della legalità, assumendone le conseguenze.
* * *
E’ dentro questo quadro, penso, che vanno situati il significato e
l’importanza dell’articolo 52 (ex 51) del progetto di costituzione
europea.
Il concetto di democrazia partecipativa introdotto nella costituzione
anche in altri articoli, il 47 e il 48, riconosce esplicitamente la
necessità, su alcune materie, di fare intervenire le organizzazioni
della società civile come partner del processo di decisione.
L’articolo 52 riconosce, nella democrazia partecipativa e nel dialogo
con la società civile, un ruolo particolare alle differenti tradizioni
ideali: Chiese, religioni e organizzazioni filosofiche e non
confessionali. Queste istanze non hanno evidentemente il monopolio delle
convinzioni etiche, ma “la loro identità e il loro contributo
specifico” riconosciuti dall’articolo 52 consistono nel fatto che
esse propongono un approccio globale, una determinata concezione della
vita più o meno esplicitata, mentre le altre istanze della società
civile rappresentano piuttosto un interesse particolare o settoriale
(che in quanto tale può comunque essere portatore di una dimensione
etica importante).
E’ questa la ragione per cui la Chiesa cattolica e in genere le Chiese
cristiane danno tanta importanza a questo articolo 52. E’ evidente a
tutti che la definizione dei diritti dell’uomo e dell’etica
societaria comunemente ammessa e riconosciuta è in movimento, è in
costante evoluzione, e per una parte in costante arricchimento: a
partire dalla dichiarazione universale del 1948, quante convenzioni,
patti e carte sono arrivate a completare quella dichiarazione? Sono i
governi che promulgano e ratificano questi strumenti internazionali. Ma
non sono essi che li elaborano: i progetti sono prodotti da personalità
riconosciute per la loro competenza e per la loro rappresentatività.
Questa rappresentatività non è loro riconosciuta in ragione delle loro
opinioni individuali, me per il fatto che essi sono l’espressione di
correnti di pensiero: religioni, tradizioni culturali, tradizioni
filosofiche, ecc.
Rimane una questione difficile, che concerne l’articolo 52: secondo
quale criterio decidere che una certa associazione è rappresentativa
della società civile organizzata, che una tale istituzione può
presentarsi come religione (la Chiesa di Scientology, per esempio)?
Si tratta, dunque, per la democrazia partecipativa, di mettere in opera
una procedura prelegislativa chiamata a proporre degli orientamenti
argomentati, procedura che rinvia alla responsabilità propriamente
politica della democrazia rappresentativa: parlamento a livello
nazionale, consiglio e parlamento a livello dell’Unione, che hanno la
responsabilità della decisione.
L’Unione Europea dichiara, tanto nella sua carta dei diritti
fondamentali quanto nella sua costituzione, che essa è un progetto
politico fondato su valori (libertà, uguaglianza, dignità, giustizia,
solidarietà, ecc.). Questi valori, così come il riferimento generale
ai diritti dell’uomo, devono prendere corpo in un contenuto che
richiede di essere precisato, e in pratiche legislative e istituzionali
adeguate. Uno dei mezzi con cui precisare e arricchire questo contenuto
e assicurare questa coerenza è lo sviluppo della democrazia
partecipativa e il riconoscimento in essa della specificità delle
comunità portatrici di convinzioni.
__________
E intanto, a Roma...
Il 10 dicembre, due giorni dopo il colloquio promosso dai radicali a
Bruxelles, la Fondazione Magna Carta ha organizzato a Roma un convegno
su un tema analogo: “Liberalismo, cristianesimo e laicità”.
A tenere la prima relazione, la più attinente al rapporto con la Chiesa
cattolica, è stato anche qui un esponente del partito radicale,
Benedetto Della Vedova: “Fede, Chiesa e politica nello stato laico”.
Della Vedova ha detto tra l’altro: “Non mi convince ergere la Chiesa
come avversario politico da sconfiggere”.
Per capire le aperture al campo religioso del partito radicale italiano
– non necessariamente in contraddizione con le sue accese battaglie
anticlericali – va tenuto presente che il suo liberalismo è
prevalentemente di matrice non francese ma piuttosto anglosassone e
americana. Tra gli opinion-maker laici italiani, ve ne sono due che
provengono dalle file radicali e infatti guardano alla questione
religiosa liberi da ostilità laiciste preconcette: Massimo Teodori e
Angelo Panebianco.
Inoltre, i radicali italiani sono sempre stati del tutto estranei sia al
pensiero marxista e postmarxista, sia ai “dialoghi” tra marxisti e
cattolici progressisti.
-
Home
|