Le radici del Medio Oriente
non sono solo islamiche
Esiste una storia segnata da antiche
civiltà e dal cristianesimo
Joseph Yacoub su Avvenire 17 maggio 2006
In Iraq la forte
crescita del fondamentalismo rende difficile l’esistenza delle
minoranze religiose e il rispetto dei diritti civili. Un approccio
nuovo, più aperto e umanista, multiculturale dell’eredità ma anche
della situazione attuale di questi Paesi
L'Iraq è una terra dalle mille sfaccettature, fatta
di Bibbia e di cristianesimo, e nutrita di civiltà assiro-babilonese e
arabo-musulmana. Il suo cristianesimo è autoctono, apostolico e
possiede una storia molto ricca. Ma attualmente pesanti minacce incombono sull'esistenza di questa
cristianità. Feriti dalle guerre del Golfo e da quella del marzo 2003,
colpiti dalle loro disastrose conseguenze, presi spesso nella morsa fra
poteri politici molteplici e rivali, assoggettati a costrizioni che li
investono da ogni parte, appartenendo a un Paese invidiato e a una zona
concupita per il petrolio e la posizione geopolitica, i cristiani d'Iraq
tengono alla loro libertà, nonostante i condizionamenti ambientali,
regionali e internazionali, che costantemente subiscono. Un monaco
iracheno di Mosul il 27 febbraio 2003 dichiarava: «La nostra comunità
da anni si trova di fronte a una crescita del fondamentalismo musulmano.
Mosul in particolare ha visto svilupparsi una corrente wahhabita che ha
assunto proporzioni inquietanti. (...) Se la situazione vacilla, in Iraq
solo la croce rimarrà in piedi».
Alcuni, costretti, hanno preso la via dell'esilio. Stranieri ed erranti
per il mondo, gli indigeni sono diventati degli allogeni. Privati della
loro patria ancestrale e sradicati, devono ormai affrontare una
situazione irreversibilmente migratoria, quella di una comunità che,
pur desiderando ardentemente la propria inculturazione nel Paese
d'accoglienza, cerca nello stesso tempo di mantenere dei tratti
significativi e caratterizzanti della propria identità (lingua, cultura
e spiritualità).
Davanti a queste enormi sfide, le Chiese d'Iraq cercano, bene o male, di
reagire. Dopo il Congresso patriarcale generale (Knuchia) tenuto
a Bagdad dal 16 al 20 ottobre 1995 dalla Chiesa caldea, questa comunità
cristiana sembra voler rompere il proprio immobilismo e porre le basi di
un rinnovamento.
Assisteremo all'inizio di una rinascita? Nell'attesa, il futuro dei
cristiani d 'Iraq - come d'altronde di tutti i cristiani d'Oriente -
dipende dall'evoluzione in corso in Iraq, dall'ambiente regionale
arabo-musulmano e dal contesto internazionale. L'avvenire, dunque, è
condizionato.
Quello che preoccupa i responsabili religiosi è l'esodo ininterrotto di
questi cristiani, che davanti all'insicurezza della loro patria lasciano
la regione, sperando di trovare in Occidente migliori condizioni di vita
e di libertà. Per questo, dal 1991, s'intensificano gli incontri dei
patriarchi, dei capi e dei responsabili delle Chiese cristiane delle
diverse famiglie. A questo scopo, sono state rese pubbliche molte
lettere pastorali che mettono in guardia contro le conseguenze di un
simile esodo. Questa emorragia migratoria senza precedenti negli annali
potrebbe avere come conseguenza terminale la scomparsa dei cristiani
d'Oriente come gruppo strutturato. Sarebbe, evidentemente, una perdita
enorme per la regione e per le sue religioni monoteiste.
Il problema è che questi cristiani non si sentono più a casa loro. La
questione deve essere vista sotto molte angolazioni e le soluzioni che
potrebbero essere prese in considerazione interpellano nello stesso
tempo la maggioranza arabo-musulmana, i regimi arabi, le missioni
cristiane e straniere, l'Occidente e gli stessi cristiani orientali.
La maggioranza arabo-musulmana dovrebbe ripensare la dominante
percezione di Stato-nazione e il suo concetto di democrazia. Si tratta
di rivedere il rapporto che lo Stato e la nazione intrattengono nel
mondo arabo. La stabilità e la sicurezza necessarie a questi Paesi
passano anche attraverso la secolarizzazione, l'applicazione del metodo
scientifico, l'approfondimento della democrazia, la separazione dei
poteri, il rispetto del diritto, il pluralismo politico, religioso e
culturale, la libertà d'associazione e la libertà di coscienza.
Conferire ai cristiani la qualità di cittadini a pieno titolo,
accordare loro un'effettiva libertà di esercizio della religione e la
reciprocità di un pari trattamento: ecco una virtù che onorerebbe
l'Iraq e l'insieme dei Paesi arabi.
Tutto ciò implica anche un nuovo approccio alla nazione. Bisognerebbe
allora pensare a una rilettura del passato e a una riscrittura della
storia dell'Oriente arabo in una prospettiva più aperta, più
comprensiva e più umanista, in vista della formazione di una coscienza
storica comune. Riconsiderare i problemi nella loro storicità significa
che il passato preislamico e prearabo fa parte integrante della storia e
della civiltà del mondo arabo. Iraq, Siria e Giordania hanno fatto
progressi in questo senso.
L'Oriente arabo ignora molte parti della sua storia e pagine radiose del
suo patrimonio e delle sue credenze religiose, che costituiscono
altrettanti focolai di cultura e degli indicatori promettenti. Palmyra (Tadmur),
Ras Shamra-Ugarit, Mari, Ebla, gli Ammoniti, gli Edomiti e i Nabatei,
Isin, Larsa, Sumer, Lagash, Akkad, Elam, Babilonia, Ninive, la Fenicia,
Aram non sono espressioni ossificate del passato o situazioni
fossilizzate. Hanno un volto reale incarnato nell'attualità.
Questo porta a una revisione della civiltà araba. In altri termini, che
cosa s'intende per arabo? Ugualmente, bisognerebbe pensare ad ampliare
il campo teorico di questo vocabolo, poiché una riflessione sull'arabità
si dimostra necessaria. Esistono indubbiamente specificità arabe e uno
zoccolo identitario comune, ma anche distinte particolarità proprie
delle «minoranze», in questo caso cristiane. Così l'alternativa
sarebbe quella di adottare un approccio multi- e interculturale
dell'eredità, perché il mondo arabo è uno e diverso. I cristiani, che
intervengono sempre di più nel campo sociale, sono preoccupati per il
proprio avvenire ed è una realtà che l'ambiente circostante non fa che
ravvivare questo timore. I cristiani vedono contrarsi sempre di più il
loro spazio sociale. Come dissipare questa loro preoccupazione, se non
sopprimendo lo statuto di minoranza protetta, considerata inferiorizzante e avvilente (i dhimmi), e promuovendo una reale eguaglianza di
fronte alla legge?
v. anche:
Una
realtà difficile: diminuiscono i cattolici in medioriente