«Escludere la
religione è mutilare l'essere umano»
intervista del
Card. Ratzinger a "Le Figaro Magazine" - 17.11.2001
Così
lo descrive l'intervistatore di "Le Figaro": da
venti anni, al Vaticano, è il guardiano del dogma. Prefetto della
Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Joseph Ratzinger
è uno dei primi personaggi della gerarchia cattolica. Ma se è il
vicino collaboratore di Giovanni Paolo II, è anche perché l'amicizia e
una profonda complicità intellettuale uniscono i due uomini. Quando
questo teologo prende la parola, definisce secondo verità gli
orientamenti della Chiesa. In occasione della pubblicazione in francese
del suo ultimo libro ha concesso al "Figaro Magazine" una
intervista esclusiva. Intervista rilasciata a Jean Sévilla
Voi, tempo fa, avete scritto che
"la fede non è scomparsa , ma ha emigrato nell'ambito del
soggettivo." Per la Chiesa, quali sono le conseguenze del
relativismo contemporaneo
Dall'epoca dell'Illuminismo, la fede non è più la
missione comune del mondo così com'era, invece, nel Medio Evo. La
scienza ha istituito una nuova percezione della realtà: si considera
come oggettivamente fondato quello che può essere dimostrato come in un
laboratorio. Tutto il resto - Dio, la morale, la vita eterna - è
trasferito nel nell'ambito del soggettivo. Pensare che c'è una verità
accessibile a tutti nell'ambito della religione implicherebbe anche una
certa intolleranza. Il relativismo diventa la virtù della democrazia.
Per la Chiesa, la fede cristiana ha, quindi,
un contenuto oggettivo ?
Certo, e in questo contesto intellettuale è tutta la nostra difficoltà
per annunciare il Vangelo. Ma possiamo mostrare i limiti del
soggettivismo: se noi accettiamo totalmente il relativismo, nella
religione ma anche nelle questioni morali, ciò ha come esito la
distruzione della società. Con sempre maggiore razionalismo, la ragione
si distrugge da sé stessa, istituendo l'anarchia: quando ciascuno
costituisce un' isola incomunicabile, sono le regole del vivere insieme
che spariscono. Se sono le maggioranze che definiscono le regole morali,
una maggioranza può stabilire domani delle regole contrarie alle regole
di ieri. Abbiamo avuto anche l'esperienza del totalitarismo, per il
quale il potere fissava autoritariamente le regole morali. Così pure il
relativismo morale sfocia nell'anarchia o nel totalitarismo.
La Chiesa si considera sempre missionaria?
Sì, direi di nuovo come missionaria. Oggi, il termine missione non è
sempre ben compreso, perché si pensa alla distruzione delle culture
antiche da parte degli Occidentali. La realtà storica è tuttavia
differente: noi sappiamo che i missionari cristiani - in Africa, in Asia
ma anche in America Latina - erano spesso i veri difensori della dignità
umana. Questi missionari hanno salvato una parte delle culture antiche
trascrivendo le lingue indigene, redigendo dei dizionari dei dizionari e
delle grammatiche. Essi sono stati di aiuto a questa grande rivoluzione
che è stato l'incontro dell'Europa e di questi popoli, integrando le
tradizioni che convergevano con la fede cristiana. Certi problemi
dell'Africa, attualmente, risultano dal fatto che, con il razionalismo
occidentale, si sono distrutte le antiche forze morali senza offrire
altre cose. Come abbiamo portato la tecnica, restano le armi, e la
guerra di tutti contro tutti, In definitiva, è la missione cristiana
che può difendere l'edificazione di società moderne, legate alle loro
proprie radici.
La Chiesa dichiara di rifiutare
l'intolleranza. Ma non è anch'essa vittima dell'intolleranza?
Certamente. Vi sono state da una parte le filosofie totalitarie, anche
se il marxismo è ora in crisi. Dall'altra parte, il razionalismo
agnostico non è così pacifico come sembra. Certi considerano la Chiesa
come l'ultimo bastione dell'intolleranza, ma per combattere questa
intolleranza diventano intolleranti. E questa intolleranza può giungere
fino alla violenza.
Nelle polemiche contro la Chiesa, le
questioni relative alla sessualità e al libero arbitrio morale si
ripropongono molto spesso. Perché questa incomprensione tra il mondo
moderno e la Chiesa?
Ci riferiamo qui alla visione individualista dell'uomo. La nostra epoca
glorifica il corpo e i suoi piaceri, esalta la libertà sessuale, ma
prende in considerazione ciò che si rileva dalla biologia più che
dalla psicologia. Si opera una sottile separazione tra il biologico, il
corporale - che sfuggirebbero dalla responsabilità spirituale perché
sono dell'ordine della natura - e l'essere umano in quanto tale. A
partire dal momento ove si considera la sessualità come un fenomeno
puramente biologico, una morale sessuale non ha più senso.
La cultura contemporanea è quella della libertà assoluta, attraverso
la quale l'uomo si deve "realizzare". Non esiste dunque una
natura umana che definisca il bene e il male. Questa visione si oppone
alla tradizione della Chiesa, ma anche a tutte le concezioni per le
quali è inscritta nella nostra natura una certa linea di comportamento,
il senso stesso del nostro essere.
La Chiesa parla di diritto naturale, di morale naturale. Viceversa, se
non siamo che prodotti dell'evoluzione, noi siamo liberi di definirci.
Vi è allora, come diceva Sarte, una libertà nel senso che "io non
sono definito": nella mia situazione, io devo inventare che cos'è
l'uomo. Invece, nella visione cristiana, l'esistenza dell'uomo - maschio
e femmina - porta una idea del Creatore, un Creatore che ha un progetto
con il mondo, che esprime delle idee incarnate nella realtà del mondo.
E la relazione di fedeltà dell'uomo e della donna rivela un
destinazione dell'uno e all'altro, in una profonda unità di corpo e di
spirito, e dove si legano le generazioni future. L'elevazione dei
riflessi fisici al rango di realtà vissute nel rispetto della persona
è il cammino difficile, ma grande e bello, della morale cristiana sulla
sessualità.
La carta dei diritti fondamentali
dell'Unione Europea, approvata lo scorso anno, ha rifiutato di fare
riferimento all' "eredità religiosa" dell'Europa. Cosa ne
pensa di questa interpretazione della laicità?
Dobbiamo definire bene la laicità. Per me, esiste una nozione positiva
di laicità nel senso che, fenomeno nuovo nella storia, il cristianesimo
ha creato la differenza riconoscendo la distinzione tra religione e
Stato.
Questa distinzione tra l'ambito di Dio e quello di Cesare è la sorgente
del concetto di libertà che si sviluppa in Europa, in Occidente. Essa
implica che la religione dona all'uomo una visione per tutta la sua
vita, non solamente per la vita spirituale. Ma l'istituzione religiosa
non è totalitaria: essa è limitata dallo Stato. E lo Stato non può
prendere tutto in mano: è limitato dalla libertà della religione. Lo
Stato non è tutto, e la Chiesa in questo mondo non è tutto. Presa in
questo senso, la laicità è profondamente cristiana. L'ostilità dei
nazisti al cristianesimo, soprattutto al cattolicesimo, era fondata su
questa idea che lo Stato è tutto.
Ma se la laicità vuole significare che nella vita pubblica non c'è
posto per Dio, questo è un grande errore. Le istituzioni politiche e le
istituzioni religiose possono loro sfere proprie. Tuttavia i valori
fondamentali della fede devono manifestarsi pubblicamente, non per la
forza istituzionale della Chiesa ma per la forza della loro verità
interiore. Se la laicità vuole escludere la religione, è una
mutilazione dell'essere umano.
Il confronto tra il mondo occidentale e il
mondo musulmano è uno scontro di civiltà ?
L'islam non esiste come un blocco. Non c'è un magistero dell'islam, né
delle costituzioni centralizzate dell'islam. Il Corano fornisce certo un
riferimento comune al mondo islamico. Ma da luogo a interpretazioni
differenti, e l'islam si incarna in contesti culturali diversi,
dall'Indonesia all'India, dal Medio - Oriente all'Africa. Quindi il
mondo islamico non è un blocco e non cancella i caratteri nazionali: ci
sono dei paesi a maggioranza islamica che sono molto tolleranti e altri
che escludono più o meno il cristianesimo.
Oggi, l'islam è molto presente in Europa. E sembra che si manifesti un
certo disprezzo presso coloro che sostengono che l'Occidente a perso la
sua coscienza morale. Per esempio, se il matrimonio e l'omosessualità
sono considerati come equivalenti, se l'ateismo si trasforma in diritto
alla bestemmia, notoriamente nell'arte, questi fatti sono orribili per i
musulmani. Perciò, c'è l'impressione diffusa nel mondo islamico, che
il cristianesimo è morente, che l'Occidente è decadente. E il
sentimento che solo l'islam porta la luce della fede e della moralità.
Una parte dei musulmani vede in questo caso una opposizione fondamentale
tra il mondo occidentale, e il suo relativismo morale e religioso, e il
mondo islamico.
Parlare di un confronto di culture, è in certi casi vero: nel disprezzo
verso l'Occidente troviamo le conseguenze del passato durante il quale
l'islam ha subito il dominio dei paesi europei. Ci si può allora
imbattere in un fanatismo terribile. È una delle facce dell'islam, non
è tutto l'islam. Esistono anche dei musulmani che desiderano un dialogo
pacifico con i cristiani. Di conseguenza, è importante giudicare i
differenti aspetti di una situazione che è preoccupante per tutte le
parti in questione.
L'anno scorso, il Card. Biffi, arcivescovo
di Bologna, ha suscitato una polemica affermando che l'immigrazione
musulmana pone delle difficoltà . . .
La riflessione del Cardinale Biffi era più sottile. Ha sottolineato che
oggi esiste una migrazione di popoli, ma che è chiaro che ogni governo,
anche il più aperto, non può accettare indefinitamente tutti gli
immigrati. Bisogna dunque distinguere quelli che possono arrivare e gli
altri. Secondo quale criterio? Era la domanda del Cardinale Biffi. A
partire dal momento che delle scelte sono inevitabili, bisogna accettare
in primo luogo - in vista della pace civile delle nostre società
europee - i gruppi che sono più integrabili, i più vicini alla nostra
cultura. Se si manifesta una incompatibilità di cultura, una
incomprensione, è tutta la società che è frantumata. E ciò non serve
a nessuno, neppure agli immigrati musulmani. Definire i criteri permette
l'unità di un paese e consente la pace sociale, è l'interesse di
tutti.
Il mondo moderno vive nel culto del
progresso e della ragione. Dopo due guerre mondiali, i gulag, Auschwitz,
il terrorismo, le nozioni di progresso e di ragione hanno un senso?
Per quanto riguarda il concetto di progresso, sono sempre stato
scettico. C'è naturalmente un progresso nel numero delle nostre
conoscenze, nella scienza e nella tecnica. Ma, questo progresso non
conduce necessariamente a un progresso nei valori morali, né nella
nostra capacità a fare buon uso del potere conferito da questa
conoscenza. Al contrario: il potere può essere un fattore di
distruzione. Sono sempre stato contrario allo spirito dell'utopia, al
credere in una società perfetta: concepire una società una volta per
tutte perfetta, è escludere la libertà di ogni giorno. Tanto è vero
che la morale e la ragione sono fragili, una società può sempre auto-distruggersi. Ciò che bisogna sperare è nella presenza sufficiente
di forze morali capaci di resistere al male.
Vendita degli organi, manipolazione
genetica, clonazione: bisogna porre dei limiti alla ricerca medica e
scientifica?
Per l'uomo moderno, l'idea di mettere dei limiti alla ricerca
costituisce una bestemmia. Tuttavia esiste un limite interiore ed è la
dignità dell'uomo. Dei progressi pagati al prezzo della violazione
della dignità umana è inaccettabile. Se la ricerca attacca l'uomo è
una deviazione della scienza. Anche se si pretende che l'una o l'altra
ricerca apra delle possibilità per l'avvenire, bisogna dire no quando
l'uomo è in gioco. Il paragone è un po' forte, ma ricordo che, un
tempo, alcuni hanno proceduto a degli esperimenti medici con delle
persone che essi dichiaravano inferiori. Dove condurrà la logica che
consiste nel trattare un feto o un embrione come una cosa?
Che cosa si aspetta la Chiesa dalla gioventù?
Che la gioventù non abbia in lei i pregiudizi delle generazioni del
'68, che hanno alienato numerose persone - e anche membri della Chiesa -
dalla fede. Ci aspettiamo che la gioventù riparta con una nuova vitalità,
una apertura per scoprire in Cristo un Dio che è verità e amore.
Quali saranno le grandi caratteristiche del
prossimo pontificato?
Non sta a me stabilire il suo programma! E poi il mondo cambia
rapidamente: quello che ci appariva imperativo ieri non riveste oggi la
stessa importanza. Mi sembra che i problemi più urgenti, per la Chiesa,
risultino da ciò che abbiamo appena evocato. Come rispondere alla
questione posta da parte di un mondo occidentale che dubita di se
stesso, che non riconosce più un fondamento razionale in una fede
comune, un mondo che è dunque lasciato al soggettivismo e al
relativismo? E poi c'è l'islam e anche il buddismo, le due grandi sfide
per il mondo occidentale: trovare il dialogo con loro, trovare la
possibilità di comprendersi senza perdere la grande luce che ci venuta
nella figura di Gesù Cristo.
(
traduzione a cura di Don Pierre Laurent Cabantous )
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