di
Maddalena Masutti
L’esperienza di
Dio, fondamentale nella pratica religiosa, orienta la condotta dei
credenti e dà senso alla vita. Il tentativo di entrare nelle
varie forme di esperienza del divino per stabilire un maggiore
rapporto tra le religioni è un’impresa difficile. Da dove
incominciare?
C’è chi sostiene
che il punto di partenza è il tentativo di mettersi in contatto con
Dio, sinceramente, così come la propria religione suggerisce. Un
atto di amore verso Dio non può non essere efficace in se stesso e
idoneo ad aprire verso degli altri.Questa tesi venne avvalorata in
un convegno ecumenico (Trieste 1998), portando due esempi molto
indicativi presi dalla storia.
L’indiano re
Aschioka, il cui regno andò dal 273 al 226 prima di Cristo, era di
religione indu. Incontrando occasionalmente il buddismo, colse
l’opportunità di averne qualche conoscenza. Rimase così colpito
dal senso profondo della compassione che esso inculcava, da provare
rimorso per la propria condotta di conquistatore. Fece erigere un monumento
con la scritta: "La sacra maestà del nostro re, dopo aver
conquistato la regione di Orissa, con grandi devastazioni e un gran
numero di morti, non vuole più sbagliare: proclama clemenza per
tutti i sudditi, compresi i confinanti della foresta".
Nella pratica dell’induismo,
c’erano tutte le prescrizioni perché un sovrano potesse
raggiungere la saggezza, ma Aschioka non era mai rimasto colpito
dalla compassione come elemento di esperienza del suo contatto con
Dio. Dopo averla assaporata a contatto del buddismo, sottolineò di
sua iniziativa una sfumatura in più da aggiungere alla comune
sensibilità indiana e invitò i suoi sudditi ad evitare
l’alterigia, la prepotenza e la crudeltà verso i dipendenti e
verso tutti gli altri uomini. Il suo fu un esempio senza seguito,
unico nel suo genere.Di solito i sovrani fanno costruire i monumenti
per ricordare le proprie gesta, non i propri errori!
Ancora in India, a
parecchi secoli di distanza, nella seconda metà del ‘500, viveva
nel Rajasthan come sultano un ricco musulmano di nome Akbar famoso
per le sue vittorie, le sue grandi capacità organizzative e il suo
sincretismo religioso, lasciò anch’egli un esempio senza seguito.
Costruì la Casa del Culto, destinata ad ospitare persone di tutte
le varie fedi religiose. La tranquilla convivenza degli ospiti era
assicurata direttamente dalla vigilanza del sovrano. Ogni forma di
culto poteva così esprimersi senza essere disturbata. Che cosa
aveva occasionalmente scoperto in più, Akbar, nella sua esperienza
di Allah, il dio ritenuto dai musulmani come unico e al di sopra di
ogni altro, per riuscire a superare serenamente tutte le restrizioni
del Corano e della tradizione islamica?
Il suo movimento morì
con lui, ma gli sopravisse il merito di aver sottratto i sudditi e
la sua corte al fondamentalismo islamico. Più ancora, gli
sopravisse il merito di avere fatta propria la tolleranza e la
convivenza con tutte le religioni, dimostrando che essa è
possibile.Oggi ci sono situazioni particolari di carattere politico,
economico e sociale che portano a parlare della necessità del
dialogo tra le religioni. È per questo che i tentativi di stabilire
rapporti di convivenza reciproca, effettuati nel passato, vengono
rievocati con interesse.
Dal punto di vista
storico
Se l’esperienza di
Dio, fondamentale per ogni forma di religione è così difficile da
raggiungere, essa diventa indecifrabile se si tenta di inquadrarla
in qualche modo dal punto di vista storico. L’Oriente ha tutta
un’altra anima rispetto all’Occidente cristiano, sintetizza il
pensiero di A. Terrin nel convegno di Trieste. La nostra conoscenza
dell’Oriente non può che essere approssimativa.
Le prime scoperte si sono avute verso il 1850, quando ci giunsero le
prime traduzioni delle "Upanisad" (antichissimi testi
religiosi indu).
Confrontarci con
l’Oriente significa mettere in gioco la nostra stessa visione del
mondo e della vita. Diventa praticamente impossibile, per la nostra
mentalità e la nostra cultura, stabilire l’equivalenza tra lo
spirito individuale e l’intera realtà. L’Oriente possiede una
filosofia di fondo da cui siamo troppo lontani, (cfr. Terrin), per
poterne intuire il significato.Dare un senso alla totalità del
reale, e raggiungere l’esperienza divina, rimangono comunque i due
problemi di base di ogni tipo di religione.
La storicità del
Cristianesimo
L’uomo, secondo il
pensiero orientale, è un composto di vari elementi di cui il più
alto è la "coscienza", destinata a unificare in Dio ogni
elemento personale. La sofferenza dell’individuo è dovuta alla
difficoltà di raggiungere questa unità di tutto l’essere nella
coscienza appunto, che lo fissa in Dio. Solo in Dio si recupera il
senso della totalità e quindi la realizzazione piena dell’uomo.
Questa realizzazione va soggetta però a una grande diversità di
interpretazioni.
Il fascino delle
religioni orientali è dovuto in gran parte al fatto che esse
parlano come fuori dal tempo, come se fossero astoriche. Cercano di
dire com’è l’individuo, l’aiutano a capirsi bene, a guardarsi
dentro. Non è che il cristianesimo manchi di questa capacità di
introspezione personale. Ma la Persona di Cristo viene introdotta in
una storia, quella del popolo ebraico. Cristo è coinvolto nel patto
che Dio ha fatto con Israele. Egli non si sottrae. Vive in pieno
come Figlio di Dio la paternità divina e comunica Dio agli uomini
come Amore. Non rifugge dalla storia del popolo a cui appartiene
come uomo. I suoi seguaci si sono incorporati in una chiesa.
La nostra è quindi
una religione storica, non solo perché consacrata ormai da un lungo
tempo, ma perché si afferma e vive attraverso ciò che il popolo
ebraico prima, in ordine di tempo e quello cristiano poi,
costruiscono nella storia. Tenendo conto che la società degli
uomini ha culture e tradizioni diverse.Se le religioni orientali
dicono che la sofferenza umana è dovuta alla difficoltà di
raggiungere l’unità dell’essere in Dio, Cristo ci viene
incontro in questa difficoltà in maniera diversa. Egli ci tiene
insieme, sta con noi "fino alla fine...", alla luce del
piano divino che si realizza portando avanti le differenze.
Le varie
interpretazioni
Nella nascita
dell’ecumenismo o nel suo risveglio se si vuole, le impronte
lasciate dalle interpretazioni religiose del divino lungo la storia,
creano difficoltà anche nell’ambito delle stesse confessioni
cristiane.
Sembra che negli
ultimi eventi bellici in Jugoslavia, si sia riproposta la sintonia
chiesa-nazione. "C’è una linea oscura tesa a legittimare in
chiave religiosa la guerra dei Serbi all’interno della gerarchia
ecclesiastica. Si assume cioè l’appartenenza razziale come
criterio della comunione ecclesiale. In altre parole se
nell’Ortodossia tendono a coincidere chiesa e nazione e il dato
etnico prevale sul dato territoriale, nei Balcani la mescolanza
delle popolazioni spinge i fanatici a definire come proprio ogni
territorio storicamente abitato dalla propria gente nel corso dei
secoli" (S. Sekulovic, G. Lerner). Quale posto può assumere
l’esperienza di Dio in situazioni del genere e come può essere la
sua natura? Come viene considerata la realtà nel suo insieme?
L’esperienza di Dio, non sottrae gli uomini dagli eventi
quotidiani della storia. Questi possono venire considerati secondo
un’ottica particolare anche di timbro religioso: "Il
genocidio operato dai Serbi viene visto come una necessità per
salvare il popolo serbo come ‘popolo celeste’". La
religione, comunque venga intesa, ha un suo peso. Ed espressioni del
tipo: "Meglio una guerra che una pace che ci separa da
Dio" riecheggiano l’elogio della guerra santa, anche se siamo
alle soglie del 2000.
Se l’esperienza di
Dio ha principalmente un carattere soggettivo, non rimane però
estranea alle vicende che caratterizzano le esperienze dei gruppi
religiosi come comunità. Questi possono realizzare un’idea
politica di Dio come garante esclusivo della loro nazionalità e
volerlo monopolizzare in assoluto.
È opportuna
un’osservazione di E. Bianchi: "Le chiese ortodosse in
Oriente non hanno vissuto la modernità (compreso l’impatto con le
grandi scoperte dell’Umanesimo e del Rinascimento), il Concilio
Vaticano II, la critica biblica e storica. Vuol dire molto. Non
possiamo pensare che siano come noi sul finire del secolo e del
millennio. Sono molto più arretrate e senza loro colpa".
Sarebbe ingiusto e controproducente fermarsi a sottolinearne i
limiti e le arretratezze. Bisognerà andare loro incontro con grande
comprensione, proprio in vista della pace. La visita del Papa in
Romania insegna moltissimo a questo riguardo.
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