Pubblichiamo il
messaggio alla diocesi dell'Arcivescovo, cardinale Dionigi Tettamanzi,
in vista dell'incontro internazionale promosso dalla Comunità di S.
Egidio e dall'Arcidiocesi di Milano e alcuni testi tra i più significativi sull'evento.
Messaggio del Cardinale
Tettamanzi torna
su
Milano ospiterà dal 5 al 7 settembre 2004 un grande evento ecumenico
e interreligioso: la XVIII edizione degli incontri internazionali che
ogni anno la Comunità di S. Egidio promuove in collaborazione con una
chiesa locale: quest'anno a promuovere insieme l'incontro è la nostra
Arcidiocesi.
In continuità con il gesto profetico di Giovanni Paolo II, che nel
1986 invitò i leader delle chiese e delle religioni ad incontrarsi
nella città di San Francesco per pregare a favore della pace,
dall'anno successivo la Comunità di S. Egidio di Roma promosse, con
l'incoraggiamento del Papa, qualificati e importanti incontri
internazionali.
Ebbe così inizio «nello spirito di Assisi» un significativo
itinerario, che già fece tappa a Milano con il mio predecessore nel
1993 e a Genova durante il mio episcopato nel 1999: ora ritorna nella
metropoli lombarda.
L'iniziativa della Comunità di S. Egidio coinvolge sempre centinaia
di invitati, tra cui personalità rappresentative delle chiese
cristiane, delle grandi religioni storiche, del mondo della cultura e
della politica a livello internazionale.
È infatti sempre più urgente che leader e persone di buona volontà
s'incontrino e si scambino il contributo di sapienza spirituale delle
proprie tradizioni religiose e culturali, affinché nell'umanità
possa prevalere non la pretesa di egemonia, che provoca violenze e
scontri di civiltà, ma la ricerca sincera di vie di pace e di
dialogo.
Sono pertanto molto lieto di annunciare alla Chiesa di Dio che è in
Milano - sia alle comunità parrocchiali e strutture pastorali
dell'Arcidiocesi, sia alle comunità di altre confessioni - la grande
opportunità che si offrirà a tutti noi con questo prossimo incontro
internazionale significativamente intitolato «Religioni e culture: il
coraggio di un nuovo umanesimo».
In particolare rivolgo un caloroso invito a preparare e promuovere
un'ampia partecipazione diocesana di fedeli, giovani e adulti, alla
solenne cerimonia di conclusione dell'incontro che si terrà martedì
7 settembre in piazza del Duomo.
Desidero anche chiedere a tutte le comunità della diocesi e ai
singoli fedeli di accompagnare la preparazione di questo evento
pregando, nelle celebrazioni liturgiche e nell'orazione personale, per
la sua migliore riuscita.
Nella «novena di Pentecoste», che si celebrava tra il 40° e il 50°
giorno dopo Pasqua, il dono dello Spirito veniva ripetutamente
invocato. Questa invocazione continui ancora a caratterizzare i giorni
dall'Ascensione alla Pentecoste, che nel calendario diocesano vengono
proposti come «settimana di spiritualità ecumenica», e prosegua,
quest'anno, fino allo svolgimento dell'incontro di settembre.
Invia, o Padre, lo Spirito del Risorto sul nostro impegno di
testimonianza missionaria.
Fa' che la missione scaturisca sempre più dalla comunione dell'unica
Chiesa di Gesù Cristo.
Rendi manifesta la vocazione universale della Chiesa ad incontrare
tutte le genti con le loro religioni.
Illuminati dalla tua parola, lo Spirito ci renda testimoni del Vangelo
nel discernere in esse quei valori spirituali che già appartengono al
tuo Regno.
Benedici il prossimo incontro internazionale di Milano e suscita in
tutte le persone di buona volontà il coraggio di ricercare le vie di
un nuovo umanesimo. Sia questo un segno del rinnovarsi nei nostri
giorni della Pentecoste.
† Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano
Messaggio del
Presidente Ciampi torna
su
Agli Illustri
rappresentanti dell’Incontro Internazionale
"Religioni e culture: il coraggio di un nuovo umanesimo"
Illustri Rappresentanti,
è con rammarico che non posso partecipare di persona al Convegno
organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio sul tema “Religioni e
culture: il coraggio di un nuovo umanesimo”.
E’ un tema suggestivo di grande attualità e importanza. Condivido
le preoccupazioni per “le difficoltà di questo momento storico”,
che ostacolano un dialogo costruttivo tra religioni e culture diverse:
dialogo indispensabile per rafforzare le speranze della pace tra i
popoli, per allontanare il pericolo di veri e propri “conflitti di
civiltà”.
La minaccia della diffusione di armi di distruzione di massa e il
divario tra ricchi e poveri devono indurre laici e credenti di ogni
fede a lottare con tutte le forze, in tutte le sedi possibili.
L’esperienza vissuta dagli uomini della mia generazione ci ha
insegnato che anche i sogni più audaci, come quello di un mondo
pacificato, possono essere realizzati, se alla loro realizzazione si
impegnano, con tutte le loro forze, persone di buona volontà, animate
da una fede profonda.
Non posso non confrontare l’Europa di oggi all’Europa dilaniata da
odii e atroci conflitti della mia giovinezza. Il sogno che sentimmo
nascere in noi dopo la Seconda Guerra Mondiale, dianzi alle rovine
materiali e morali che si offrivano ai nostri occhi, si sta avverando
grazie ad un dialogo intenso, tenace, coraggioso, animato da fiducia
reciproca, fra uomini di nazionalità e religioni diverse.
Questo dialogo si ispira all’ideale di un “nuovo umanesimo”
alimentandolo nelle coscienze dei popoli e facendolo vivere in
istituzioni di governo mai esistite in passato.
Con questi sentimenti unendomi idealmente alla vostra tenace azione di
pace, rivolgo a tutti un messaggio di fiducia e di speranza e
l’incoraggiamento a credenti e laici affinché lavorino insieme con
umiltà, con tenacia, con fede “per costruire un nuovo umanesimo,
che possa dare un’anima al mondo”.
Carlo Azeglio Ciampi
Assisi si trasferisce a
Milano torna
su
Dal 5 al 7 settembre si incontrano a Milano leader
religiosi delle Chiese cristiane e delle grandi religioni mondiali su invito della Comunità di Sant'Egidio e del
cardinale Dionigi Tettamanzi. Un appuntamento di questo tipo non può essere scontato in una stagione segnata da tanti
conflitti, scontri tra culture, mondi religiosi e civiltà. E infatti ci siamo forse troppo rassegnati a questa realtà
di incomprensione. L'abbiamo persino teorizzata. Tanto che alcune religioni ci appaiano quasi condannate a un destino di
violenza o, almeno, di contrapposizione.
L'evento milanese vuol essere segno di speranza: il futuro
non può consistere nello scontro. Dentro il mondo contemporaneo, infatti, si vive sempre più insieme tra gente di
religione e di cultura diverse. Nella stessa Milano, ci sono comunità di immigrati che, con storie e fedi diverse,
vivono accanto ad altre comunità maggioritarie, figlie dell'antica tradizione cristiana di queste terre. Non è un
fenomeno che riguarda solo l'Europa occidentale. Genti varie si avvicinano in tanti punti del mondo. Tuttavia, proprio
nel tempo della globalizzazione, scoppiano conflitti identitari che ci sorprendono per la loro violenza. Sono quasi la
ribellione ad una globalità che appare livellatrice in parecchi suoi aspetti.
Il meeting di Milano non intende essere un abbraccio facile davanti alle telecamere, né l'enunciazione di generici
buoni propositi. Anche se i buoni propositi e i buoni sentimenti sono talvolta importanti per ispirare i popoli. Si sa
che persistono differenze profonde su diversi profili. Il che non va neutralizzato con un vago spirito di tolleranza. Ma
non può significare nemmeno trovarsi per forza destinati al conflitto.
Nello scenario della globalizzazione (così diverso da
quello di vent'anni fa su tanti aspetti) siamo arrivati con la preziosa eredità di Assisi. Nel 1986, in clima ancora di
guerra fredda, Giovanni Paolo II convocò i leader religiosi del mondo all'insegna del legame profondo tra pace e
preghiera. Ebbene, quello "spettacolo" di Assisi non poteva restare congelato nell'immobilismo, una bella
splendida icona. Era piuttosto il germe di un cammino che andava sviluppato. Ed è stato proseguito sugli scenari più
diversi lungo gli anni; da Varsavia nel 1989, quando vacillava il regime comunista, a Bucarest nel 1998, un incontro che
aprì la strada al grande viaggio di Giovanni Paolo II, il primo in un Paese ortodosso.
In questi anni lo spirito di Assisi si è approfondito: uomini e donne di religione diversa si sono a loro volta immessi
in questo cammino. Lo si è visto con chiarezza quando, all'inizio del 2002, il Papa stesso ha voluto invitare i leader
religiosi nuovamente ad Assisi, dopo l'11 settembre, per pregare per la pace. L'incontro e il dialogo sono maturati. Non
un itinerario nel relativismo. Più si va in profondità alla propria fede, e più emerge un modo sincero di incontrare
l'altro. Identità e dialogo non sono in contraddizione: senza una fede vissuta non c'è incontro con i mondi religiosi
altrui. La grande sfida del nostro tempo non è quella di rinunciare alle proprie radici. Non è nemmeno quella di
rifiutare l'altrui diversità, barricandosi in se stessi.
Il cammino che parte da Assisi ha creato, lungo quasi due decenni, una trama di amicizia e di incontri; ha posto le basi
di una "civiltà del convivere". Per questo genti di religioni e culture diverse si incontrano a Milano. Lo si
fa, quarant'anni dopo l'Ecclesiam Suam, l'enciclica in cui Paolo
VI chiamò la Chiesa ad un approfondimento della propria coscienza e al dialogo. Oggi tali passi sono, almeno per noi
cristiani, una necessità vissuta e condivisa da molti sui più diversi scenari del mondo.
Alla vigilia
dell'incontro
torna su
Roma - Alla vigilia
dell'incontro internazionale «Uomini e religioni» che si terrà a
Milano, organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio, Giovanni Paolo II
ha ricevuto ieri mattina, a Castelgandolfo, in udienza, il vescovo di
Terni-Narni-Amelia Vincenzo Paglia e Andrea Riccardi, fondatore della
Comunità di Sant'Egidio. Durante l'incontro è stato presentato al
Pontefice il programma del convegno. Paglia ha inoltre ringraziato il
Papa per l'attenzione ai problemi del lavoro vissuti a Terni.
_______________
[Fonte: Avvenire del 3 settembre
2004]
Card. Tettamanzi: «La sfida è incontrarci su quello che ci
divide» torna
su
Milano ha accettato «la sfida del dialogo». Quel dialogo che, per
l'arcivescovo Dionigi Tettamanzi, «non è soltanto il coraggio di incontrarsi su ciò che ci accomuna, ma soprattutto
il coraggio di incontrarsi su ciò che fa la differenza. Qui sta la vera sfida».
E Milano, «oasi di pace luminosa per l'ecumenismo», è la «città ideale» per ospitare il diciottesimo incontro
internazionale di Uomini e Religioni oragnizzato dalla Comunità di sant'Egidio. Il vicario episcopale per l'Ecumenismo
e il dialogo e vescovo ausiliare della Diocesi, monsignor Francesco Coccopalmerio, ha messo in luce «la ricchezza» e
«la positività» dei rapporti tra le Chiese cristiane della terra ambrosiana alla vigilia del nuovo meeting
organizzato da Comunità di Sant'Egidio e arcidiocesi.
Ma «città ideale» Milano è anche per il dialogo con la comunità ebraica, ha proseguito Coccopalmerio, e con quella
islamica. Anzi, con «gli» islam presenti a Milano, come ha puntualizzato il fondatore della Comunità di Sant'Egidio,
Andrea Riccardi: musulmani indonesiani, nordafricani, statunitensi e così via.
Un dialogo in cui «la città ha sempre creduto»: monsignor Coccopalmerio ha in mente i ministeri dei due ultimi
arcivescovi della città, i cardinali Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi, «in cui il dialogo è stato sempre
presente». E ha in mente il recente coronamento di questa condotta, il Cammino ecumenico di pace a Gerusalemme di
giugno scorso, promosso dal Consiglio delle Chiese cristiane di Milano e condiviso in prima persona dall'arcivescovo
Tettamanzi, con l'intento di portare un messaggio di pace tra Palestinesi e Israeliani.
E nell'«amore e nel culto» milanesi per il dialogo, la Chiesa cristiana, e dunque quella ambrosiana, ha proseguito
Coccopalmerio «non perde la sua identità. Il principio è ascoltare l'altro »
Perché, come ha voluto ricordare il cardinale Tettamanzi, l'incontro internazionale e interreligioso «chiede a tutti,
senza alcuna distinzione, di misurarsi sui problemi che interessano l'umanità d'oggi. Di misurarsi portando ciascuno,
nella propria visione, il proprio progetto, le proprie forze e, perché no, la propria fede»
Ecco perché, ha proseguito l'arcivescovo, il titolo del convegno fa riferimento a «un nuovo umanesimo». Perché
«umanesimo significa mettere l'uomo al centro: l'uomo colto nel suo valore più profondo e più universale e nella sua
dignità assoluta e inviolabile». Una dignità che non può prescindere da valori come la giustizia, la verità, la
libertà e la solidarietà, che sono «i pilastri fondamentali - per il cardinale - su cui costruire l'edificio della
pace». Senza dimenticare, ha concluso, che «un tratto costitutivo della persona è la relazione con gli altri, e
quindi proprio il dialogo».
______________________
Annalisa Guglielmino, su "Avvenire" del 4 settembre 2004
Allarme gratuito sull'iniziativa milanese di Sant'Egidio
"Paurismo" irresponsabile. Serve distinguere per vincere
torna
su
È innegabile che stiamo attraversando una fase drammatica nella guerra
che il terrorismo ha deciso di scatenare contro la convivenza civile. E non infondato appare affermare che l'attuale
stagione segna un momento di svolta in questa lotta mortale condotta contro la civiltà umana, nelle molteplici
civilizzazioni in cui essa ha saputo manifestarsi.
L'ultima tragica settimana in particolare ha segnato una vera e propria
escalation del terrore, quasi volesse dare corpo a un disegno che deliberatamente mira a confondere per confonderci, a
confondere le cose per confonderci le idee. Dietro questo disegno opera la consapevolezza che quanto più saremo confusi
e impauriti tanto meno riusciremo a sconfiggere il terrorismo.
Onestamente non crediamo in vergognosi distinguo tra queste e quelle
vittime del terrorismo, né la nostra condanna della barbarie può dipendere dal fatto che le vittime siano a noi
ideologicamente più o meno vicine. Pensiamo che persino quando ciò per cui i terroristi affermano di volersi battere
è in sé meritevole di attenzione (come nel caso del diritto dei palestinesi alla propria patria o di quello dei ceceni
alla propria libertà), la scelta della tecnica omicida resta inaccettabile e squalifica quella causa. Ma sappiamo anche
che distinguere è il primo passo per conoscere. E senza conoscenza non può esserci vittoria vera e sperabilmente
definitiva contro i terroristi, qualunque sia la loro provenienza, il pretesto nel cui nome assassinano gli
inermi.
Sappiamo che le semplificazioni e il sensazionalismo non portano ad altro
che ai vicoli ciechi dell'insipienza o dell'ipocrisia. Il mondo è maledettamente più complesso di quanto credono e
vorrebbero farci credere coloro per i quali l'Occidente, l'America o Bush, con i loro alleati, sono sempre e comunque
colpevoli. Ed è anche fortunatamente più ricco e variegato di quanto lo dipingono gli allarmisti di professione,
quelli per cui vale sempre la peggiore logica della «Frontiera»: l'unico indiano buono è l'indiano morto…
Potremmo definire il primo atteggiamento una sorta di caricatura
dell'ingenuità e il secondo un allarmismo finalizzato a creare paura: due facce dello stesso errore, due modi sbagliati
di interpretare i fatti e le logiche che li governano. Due «lussi» che non possiamo permetterci di questi tempi. In
questi giorni la galassia di certo pacifismo acritico ha dovuto tragicamente prendere atto di dove porta la debolezza
politica e la povertà culturale del «né né». Non si può essere infatti neutrali rispetto alla guerra scatenata dal
terrorismo contro la civiltà e va denunciato con forza certo professionismo dell'ingenuità. Allo stesso tempo dobbiamo
sottolineare che la spavalderia allarmistica suona altrettanto devastante. Peggio ancora è il «paurismo» malizioso
volto a offrire facili conferme a cliché preconfezionati. Ieri un quotidiano milanese, a proposito dell'iniziativa che
la Comunità di Sant'Egidio sta organizzando a Milano, titolava: «Il cardinale ospita l'amico dei terroristi»,
attribuendo a uno degli invitati arabi una correità che non risulta - pare - neppure agli organi di sicurezza (si veda
per questo l'intervista all'interno al prefetto di Milano).
Sono accuse che sarebbero ridicole se non fosse così tragico il momento
che stiamo vivendo. Ma che invece, fatte oggi, suonano come irresponsabili. Qui vogliamo solo ribadire un punto che
riteniamo decisivo per sconfiggere questo cancro, in cui persino le vite dei bambini diventano semplici «mezzi» per
recapitare rivoltanti messaggi ricattatori. Il terrorismo potrà essere vinto solo se, mentre non ci sottraiamo alla
lotta in tutte le forme che saranno necessarie, cerchiamo però gli interlocutori al fine di fare terra bruciata intorno
al nemico. E per riuscirci dobbiamo rifuggere le semplificazioni opposte. Dobbiamo, ecco il punto, imparare a
distinguere: per conoscere e per vincere.
______________________________
Vittorio E. Parsi, su "Avvenire" del 4 settembre 2004
Cosa rende vivo
l'incontro
torna
su
«In queste ore di comprensibile paura bisogna avere il coraggio di
confrontarsi, di dialogare. Non vedo un'altra strada - che sia una strada umana - capace, in termini di efficacia, di
risolvere i problemi. Perché la strada della violenza per superare un'altra violenza non è una strada umana».
Così, affrontando brevemente il tema del terrorismo e, più in generale,
dei tormentati rapporti umani del nostro tempo, ieri il cardinal Dionigi Tettamanzi ha anche idealmente introdotto
l'incontro internazionale «Religioni e culture: il coraggio di un nuovo umanesimo» promosso dall'arcidiocesi di Milano
e dalla Comunità di Sant'Egidio.
L'incontro, della durata di tre giorni, si aprirà domani al Teatro degli
Arcimboldi, dove il cardinale arcivescovo di Milano interverrà assieme al presidente della Conferenza episcopale
italiana, cardinale Camillo Ruini, e al rabbino capo di Israele Yona Metzger. Un segno immediato - ma non il solo -
della natura interreligiosa dell'incontro, che si svolgerà, come ha detto ieri ai giornalisti l'iniziatore della
Comunità di Sant'Egidio Andrea Riccardi, nell'intento di far prevalere le ragioni della pace, grazie anche a un dialogo
sempre più fitto e più schietto, e alla comune preghiera. Quella preghiera che, a Milano, culminerà la sera di
martedì nella processione di pace sino a Piazza Duomo che fonderà gli oranti di tradizioni religiose diverse.
Un esempio luminoso, e si spera contagioso, di come si possano superare
contrasti vecchi e nuovi, ed evitare i rischi di strumentalizzazione. «Le religioni - ha detto Riccardi - possono
essere acqua che spegne l'incendio della violenza e della guerra, ma possono pure diventare benzina che attizza il fuoco
dell'odio. Ce ne siamo accorti già in passato. In questo senso le religioni sono chiamate a una grande responsabilità
verso la pace. Vale e vive sempre la memoria operante, profetica, dello "spirito di Assisi"».
«Lo "spirito di Assisi" - ha aggiunto Riccardi - che Giovanni Paolo II ha suscitato nel 1986 nella città di
San Francesco, parla di un incontro semplice e vero tra le religioni. Non si tratta, e dunque non si tratterà nemmeno
qui a Milano, di una rinuncia alla propria identità, in un sincretismo buono soltanto per laboratori intellettuali».
La nascita dell'iniziativa di Sant'Egidio, proseguita poi ogni anno in sedi diverse (si possono ricordare Roma,
Varsavia, Bucarest, Lisbona, Barcellona), risale appunto ad Assisi, quando, il 27 ottobre 1986, si svolse la prima
giornata di preghiera per la pace: allora vi parteciparono 50 rappresentanti di Chiese cristiane (oltre ai cattolici) e
60 esponenti di altre religioni.
Quest'anno, oltre a quella di diversi esponenti religiosi, è prevista la presenza di più di trecento protagonisti del
mondo della cultura e della vita civile, i quali, in tre giorni, animeranno con l'aiuto del pubblico ben 36 «panels»
di respiro internazionale, su temi di attualità spesso scottante. «Si rinnova qui - ha commentato il portavoce di
Sant'Egidio, Mario Marazziti - l'occasione di accrescere le proprie conoscenze e, soprattutto, di andare in profondità
nella propria comprensione religiosa e, da lì, trovare nuove ragioni per comprendere l'altro, per svuotare le ragioni
della diffidenza e della guerra in un tempo in cui il terrore è diventato di casa».
Come il cardinal Tettamanzi, monsignor Francesco Coccopalmerio, vescovo
ausiliare diocesano e vicario episcopale per l'ecumenismo insiste sulla necessità del dialogo quale «unica via», una
via che a Milano, «dove c'è il culto del dialogo», si dovrebbe percorrere più agevolmente. Ma anche a Milano, «dove
le Chiese si sentono da tempo veramente sorelle», tira oggi un'aria venata di paura e di violenze diverse. Può esser
considerata violenza, ad esempio, l'identificazione dell'Islam con il terrorismo, e viceversa. Ma, ammonisce il cardinal
Tettamanzi, «non basta parlare di Islam in termini generali, perché il riferimento, poi, è alle persone, al contesto
in cui vivono... Da questo punto di vista non possiamo dimenticare che il vero problema non è il terrorismo in sé, ma
le cause che generano il terrorismo».
Restando in tema, sollecitato da un giornalista, il cardinale arcivescovo ha risposto al titolo comparso ieri sulla
prima pagina di un quotidiano milanese, che suonava «Il cardinale ospita l'amico dei terroristi», riferendosi a un
esponente islamico, Taha Jaber al-Alwani (definito invece come innocuo e «utile al dialogo» dagli organizzatori della
«tre giorni»). «Sono rimasto dispiaciuto - ha detto il cardinal Tettamanzi - di quel titolo. In particolare qui a
Milano, in questo incontro, non ci sono terroristi, non ci sono amici dei terroristi, ma soltanto persone che hanno la
buona volontà, la sincerità e l'impegno concreto di confrontarsi su problemi che interessano tutti quanti, attraverso
il dialogo. Un dialogo razionale da parte di persone che vogliono impegnarsi per costruire la pace, non certo per
alimentare la violenza».
In conclusione, l'incontro milanese si annuncia insieme carico di aspettative e di grande complessità, da affrontare
senza illusioni ma anche con straordinaria fiducia nella forza di quel dialogo che, ha ricordato Marazziti, non è mai
la scelta dei deboli e degli spaventati. Il dialogo, ha aggiunto, «è anche un modo per fare entrare frammenti di un
futuro migliore mentre il cielo sembra plumbeo e senza spiragli».
_________________
Elio Maraone, su "Avvenire" del 4 settembre 2004
Mons. Paglia: fa paura la «politica della forza»
torna
su
È una tragedia immane, che apre le porte dell'abisso.
Inghiotte tutto, senza rispetto alcuno, senza ragione alcuna. Lascia dietro di sé
non solo la morte, ma anche il terrore in chi è rimasto vivo». Monsignor
Vincenzo Paglia, presidente della Commissione Cei per l'Ecumenismo e il Dialogo,
è uno dei «padri fondatori» di Sant'Egidio, la Comunità che da oggi, a
Milano riunisce uomini di ogni fede per discutere sulla possibilità di creare
un nuovo umanesimo comune, nell'epoca del terrore globale. Ma eventi come il
massacro di Beslan sembrano indecifrabili anche a chi è «esperto di umanità».
«Credo che in questo caso il male superi anche chi lo inizia.
Si diventa purtroppo servi sciocchi del male anche senza premeditarlo. E quando
si è avvolti in questo vortice si diventa in qualche modo prigionieri del
demoniaco».
Quanto odio pregresso è necessario per compiere freddamente
gesti come quello a cui abbiamo assistito?
«Credo che ci sia una stratificazione della presenza del male
che non abita solo nel cuore di qualcuno. Quando il male si organizza supera gli
individui stessi. E li avvolge in una spirale che è un mistero. È un mistero:
il male è individuale, ma poi anche avviluppa i suoi attori. Come la comunione
crea un'energia di bene, quando il male accomuna gli uomini diventa più
terribile. Sviluppa potenzialità maggiori. In questo senso l'uomo non è
un'isola, e il male purtroppo non è un'isola».
In questo caso il "male" assume un'etichetta
religiosa; e per coincidenza proprio in questo momento tragico Sant'Egidio offre
un'altra occasione di dialogo fra tutte le religioni. Che riflessione si può
fare?
«Più il male coinvolge nella sua rete le persone, tanto più
deve rafforzarsi una rete contro il male. Certamente noi qui tocchiamo le
profondità dell'umanità, ed è proprio da questa profondità che bisogna far
emergere tutte le ricchezze, tutte le energie di bene presenti in tutte le
religioni, e in ogni uomo di buona volontà. C'è bisogno di un'alleanza del
bene la più larga possibile. E quello che è accaduto mostra non solo la
necessità, ma l'urgenza di un'alleanza degli uomini che vogliono contrastare in
ogni modo il prevalere del male. Alla rete del male bisogna contrapporre la rete
del bene. Ecco il perché degli Incontri Internazionali, e anche di questo di
Milano».
C'è un pregiudizio crescente contro una religione, e un
giornale addirittura accusava Sant'Egidio di dare voce a persone non lontane da
solidarietà con la violenza....
«Faccio un semplice calcolo. Se consideriamo i fedeli del
Cristianesimo e dell'Islam, arriviamo a un totale di più di due miliardi di
persone. Almeno un terzo dell'umanità. E' chiaro che schiacciare semplificando
un miliardo di persone in un angolo non solo è ingiusto, ma è miope e
pericolosissimo».
Perché pericolosissimo?
«Perché come ciascuno di noi, quando è messo all'angolo,
sviluppa solo odio, rancore e desiderio di vendetta, questo può accadere
egualmente con gruppi che in modo acritico e indistinto vengono accusati. Questo
pregiudizio è ricorrente: lo era anche nei nostri confronti, quando in altre
parti si accusava gli italiani di essere dei criminali; accade quando una razza
viene colpevolizzata e scatta il genocidio; quindi la generalizzazione
semplificante porta con sé tragedie di cui non si riesce a prevedere la portata».
Che cosa le fa paura nella politica mondiale?
«Il suo andare verso la forza mi fa molta paura.
È una
politica che ignora le profondità, anche di bene, nascoste nel cuore degli
uomini; non conosce il rispetto per l'uomo che è sempre, comunque creatura di
Dio; non conosce ed è gravissimo, l'etica della responsabilità, che sempre ci
deve far ascoltare quella voce di Dio che dice a Caino: dov'è tuo fratello? Non
conosce, ed è anch'esso drammatico, il senso del perdono. E sopra tutto questo
c'è ciò che dice il Signore: non voglio che il peccatore muoia, ma si
converta. Questo non vuol dire affatto soggiacere alla violenza del terrorismo.
Non stiamo parlando del terrorismo: stiamo parlando del prevalere assoluto della
forza come concetto. Senza accorgersene, questo concetto di forza è figlio
della paura. E quindi figlio della debolezza. È una chiara forma di debolezza,
perché le tragedie dell'umanità vengono sempre dal cuore degli uomini, non dai
loro muscoli. Ed è nel cuore che si gioca la pace o la guerra».
Si può ancora parlare di pace, in un mondo che ogni giorno
vede scorrere nuovo sangue?
«Vedere uomini di tutte le religioni che continuano a
raccogliersi sotto lo stesso cielo per innalzare una stessa preghiera, che
cercano di illuminare il buio della violenza con la luce della pace; beh, credo
che sia un miracolo. Che deve non solo continuare, ma allargarsi. Nella forza
debole, eppure fortissima, dell'amore»
___________________
Intervista di Marco
Tosatti, su "La Stampa" del 5 settembre 2004
“Dall'odio nessuna libertà"
torna
su
“Come si può dire che si
lotta per la libertà quando si uccidono i bambini?”
Feofan Azhurkov, Eparca di
Stravropol’ e Vladikavkaz, sotto la cui giurisdizione ricade l’Ossezia,
con la voce del testimone parla all’Incontro Interreligioso della
Comunità di Sant’Egidio.
“Saputo del sequestro, sono giunto a Beslan in 30 minuti offrendomi
come mediatore, ma ogni dialogo è stato rifiutato. Anche al pediatra
moscovita che si è offerto di visitare i bambini è stato detto “Se
ci provi ti fucileremo”.
In un’assemblea attenta e commossa Feofan ha ricordato quando “Hanno
rinchiuso i bambini in una palestra senza nemmeno lo spazio per
sedersi. Hanno teso un’asta tra i due canestri, costringendo i
bambini ad appendere le granate come fossero ghirlande. Il terzo
giorno i terroristi hanno fatto esplodere due bombe, che hanno ucciso
la gran parte dei bambini. Chi ha cercato di fuggire è stato fucilato
alle spalle. Io stesso ho chiuso gli occhi a diversi bambini uccisi in
tal modo. Come può dirsi un liberatore chi agisce così”
Il vescovo ha chiesto a
tutti di unirsi “ contro il male del terrorismo, che può colpire a
New York come a Madrid e a Beslan o ovunque”
Per il vescovo di Ossezia, che ha aperto il Meeting Teatro degli
Arcimboldi, l’umanità non ha alternativa ad unirsi contro guerra e
terrorismo “Dobbiamo rimuovere anche i presupposti del terrorismo.
Questo viene prima di ogni altra cosa.” Il vescovo Feofan ha
proseguito dicendo: ”Quanto ho visto è terribile e per questo
chiedo a voi tutto il sostegno morale di cui abbiamo bisogno”.
Da Trastevere fino ai quattro continenti
torna
su
Erano come i primi cristiani: si radunavano per pregare. A farlo, un
gruppo di liceali romani, guidati da Andrea Riccardi. Siamo nel 1968, gli anni della contestazione e al liceo romano
"Virgilio", tra gli studenti, c'era anche chi a Mao e al Capitale di Marx preferiva il Vangelo e i teologi del
recente Concilio Vaticano II.
Il 7 febbraio del 1968, il giovane Riccardi fonda un suo gruppo. La
"comunità" di studenti si incontra nella piccola chiesa di Sant'Egidio, a Trastevere. Ascoltano il Vangelo e
lo mettono in pratica. La prima missione fu a ponte Marconi, una baraccopoli che era sorta sotto il Cinodromo. Facevano
la "scuola popolare": andavano nei pomeriggi, riunivano i bambini delle baracche e lì insegnavano a leggere e
a scrivere. Fu un successo.
L'esperimento delle scuole popolari venne esteso in tutte le zone
"difficili" della periferia romana. Nel 1972 il futuro vescovo Vincenzo Paglia, allora viceparroco di Santa
Maria in Trastevere, chiede al cardinale vicario Ugo Poletti il permesso di poter seguire personalmente i giovani
missionari delle borgate romane.
L'anno seguente il movimento trova la sua attuale sede, in un monastero
abbandonato a piazza Sant'Egidio, un santo che aveva viaggiato da Oriente a Occidente. Un santo fatto per la comunità.
Nel 1979 quattro teppisti danno fuoco ad un somalo che dorme sul portone di una chiesa: la Comunità insorge e scrive al
papa invitandolo a tenere una veglia funebre. Sull'esempio di Gregorio Magno che, scoprendo un anziano morto di stenti,
entrando in chiesa esclamò: «Niente messa, è venerdì santo». Come se fosse morto Gesù. Giovanni Paolo II andò
alla veglia.
Da allora la comunità di Sant'Egidio, movimento di laici attivo
nell'evangelizzazione, nel servizio ai più poveri, nel dialogo ecumenico e interreligioso, è diffuso in più di 60
paesi di quattro continenti. Con circa 40.000 membri, senza contare quanti collaborano alle attività svolte da
Sant'Egidio, pur non facendone parte in senso stretto. Il nome della comunità è legato a numerosi eventi ed
iniziative, sempre a favore dei più poveri e della pace, in ogni continente: dalla prevenzione e cura dell'Aids
nell'Africa sub-sahariana ai successi diplomatici nei negoziati fra paesi in conflitto; dagli incontri internazionali di
preghiera per la pace alla campagna, lanciata negli ultimi anni, per una moratoria universale della pena di morte. Oltre
agli incontri all'insegna del dialogo e dell'ecumenismo. Ma il centro di ogni attività e della vita della Comunità di
Sant'Egidio rimane sempre la preghiera. Ogni sera, aperta a tutti.
______________________
Massimo Spinosa, su "Avvenire" del 4 settembre 2004