di Daniele Garrone [1]

   Il 22 maggio è stato reso noto a Bruxelles un documento dei vescovi cattolici europei su «Il futuro dell'Europa, impegno politico, valori e religione» contenente le proposte che essi avanzano per il nuovo Trattato dell'Unione, la futura Costituzione europea, e di questi temi si è occupata anche la Conferenza episcopale italiana (CEI) nella sua XLIX assemblea, da poco conclusasi. 

   I vescovi cattolici premono, in particolare, perché il Trattato contenga un «richiamo a Dio e al Trascendente» e menzioni esplicitamente le chiese e le comunità religiose e fornisca la possibilità di un dialogo strutturato tra esse e le istituzioni europee, riconoscendo così il carattere decisivo che esse hanno avuto e hanno nella costruzione dell'identità europea. Insomma, per i vescovi la libertà religiosa non dovrebbe essere solo affermata nel quadro dei diritti inalienabili della persona e su di essi fondata (come nella Carta di Nizza, artt. 10 e 21), ma dovrebbe implicare anche il riconoscimento e la valorizzazione delle istituzioni religiose.

   L'impressione (ma dovremo seguire con attenzione tutto il processo) è che i vescovi auspichino anche per l'Europa una soluzione «italiana», cercando cioè di coniugare democrazia e laicità con la garanzia di riconoscimenti pubblici alle comunità religiose come istituzioni. La laicità della Carta di Nizza, a cui viene rimproverato da parte cattolica di voler relegare la religione nell'ambito del privato, sembra essere l'ostacolo da superare. In ogni caso, i lavori della Convenzione europea sono un banco di prova per l'interazione delle diverse concezioni della laicità presenti in Europa e dei vari modi di concepire la presenza nella società moderna di religioni e confessioni. 

   È chiaro che sono in gioco questioni importanti e che proprio il nuovo contesto europeo farà apparire molti nodi in modo diverso da quello a cui siamo abituati in Italia: per noi, minoranza evangelica, significherà anche confrontarci con posizioni protestanti diverse dalle nostre e riprendere i temi della laicità, della democrazia e della modernità alla luce di questo dibattito costituzionale europeo, sia per ricevere nuovi stimoli sia per contribuire con la elaborazione legata al nostro contesto e alla nostra storia.

   Un punto controverso è quello di un esplicito «richiamo a Dio e al Trascendente». La Carta di Nizza ne è priva, come del resto la Costituzione italiana, e diversamente dalla Dichiarazione di indipendenza americana del 1776. Bene hanno fatto, secondo me, gli estensori della Carta di Nizza, a omettere questo rimando, e bene sarà se si riuscirà a respingere l'idea di introdurlo nel Trattato. Vi è innanzitutto una motivazione storica e politica. L'Europa moderna è nata sullo sfondo delle guerre di religione, dopo le crociate e l'antigiudaismo. Il ricorso al nome di Dio è stato un fattore di divisione e di conflitto ed è servito a legittimare una pretesa di assolutezza a questa o quella verità. 

   Proprio la rinuncia al richiamo a Dio in ambito politico ha consentito, in questa situazione, di creare uno spazio in cui tutti avessero piena e indiscussa cittadinanza. Fare oggi «come in America», dove la situazione fu radicalmente diversa, sarebbe come cancellare questa storia sofferta e, soprattutto, dimenticare le ragioni profonde che stanno alla base del consenso su una visione laica della politica che fondano l'Europa moderna e i suoi stati. La preoccupazione del papa e dei vescovi è che non ci sia più posto per Dio nell'Europa di domani.

   Eppure dovremmo essere proprio noi credenti a sapere che il «posto per Dio» non è quello che gli assicureremmo introducendo il suo nome in un patto che deve avere l'assenso unanime di tutti i cittadini europei, che credano in lui o meno e comunque ne concepiscano la presenza nella storia. Il «posto» pubblico di Dio è solo quello della fede di chi lo riconosce e della vita di chi lo vuole servire. Questo non vuole affatto dire che il discorso su Dio sia irrilevante. Vuol solo dire che chi lo fa, lo fa «senza rete», senza tutele, in una piazza per la quale egli chiede, come tutti, solo libertà per tutti. Su questa piazza, quello su Dio compare come uno dei discorsi che argomentano e dialogano. Non una targa col suo nome sulla piazza, ma questi discorsi tra gli altri sono il vero «richiamo a Dio».


[1] Editoriale pubblicato sul n. del 31 maggio 2002 del settimanale evangelico "Riforma". L'autore è
     docente di Antico Testamento alla Facoltà valdese di teologia di Roma.  


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