Da Avvenire del 22 settembre 2000
 

Fratelli maggiori, la porta è aperta

«Una battuta d'arresto ma il confronto continua»

cupole.jpg (2752 byte)



ROMA Il presidente del Consiglio per l'unità dei cristiani: capire destinatari e ragioni della «Dominus Jesus», pena «grossi fraintendimenti»
Fratelli maggiori, la porta è aperta

Dopo il «no» alla Giornata del 3 ottobre, appello di Cassidy e Antonelli

Mimmo Muolo


Roma. Mani tese verso gli ebrei sia da parte del segretario generale della Cei che dal presidente del Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani. Pur parlando, infatti, in contesti diversi e a distanza di migliaia di chilometri, monsignor Ennio Antonelli e il cardinale Edward Idris Cassidy hanno lanciato ieri messaggi distensivi verso i "fratelli maggiori", invitandoli, tra l'altro, a rivedere la decisione di non prendere parte alla Giornata dell'amicizia ebraico-cristiana» (inizialmente programmata per il 3 ottobre) in seguito alla pubblicazione del documento Dominus Jesus.

Dice il vescovo, da Roma, nel corso della conferenza stampa sui lavori del Consiglio permanente, riunitosi la settimana scorsa a Torino: «Avremmo molto piacere se venissero alla Giornata». Aggiunge il porporato, da Lisbona, dove è in corso il meeting "Uomini e Religioni" organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio: «Sono dispiaciuto di questa mancata partecipazione, ma penso che non sia un problema internazionale e che si possa risolvere lavorando con gli esponenti romani» (il "no" infatti era stato reso noto dal rabbino capo di Roma Elio Toaff).

Ma anche su altri punti le dichiarazioni di Cassidy e Antonelli sono in piena sintonia. Ad esempio sul fatto che, come ha detto il segretario generale della Cei, del documento Dominus Jesus si è fatta «una presentazione unilaterale e un po' distorta (in parte dovuta ad alcuni media), mentre al contrario una lettura diretta dovrebbe rassicurare i nostri amici ebrei che in quel testo non c'è assolutamente nulla di nuovo». A tal proposito, infatti, anche il porporato australiano ha tenuto a precisare: «Mi auguro che si possa spiegare bene il significato di questo documento, a chi era indirizzato e quale scopo si voleva ottenere. E così potremo superare tutte le difficoltà».

In effetti la questione dei destinatari e delle ragioni che hanno reso necessario il pronunciamento della Congregazione per la dottrina della fede è fondamentale per evitare «grossi fraintendimenti». Il cardinale Cassidy, sul punto, ha ricordato: «Quel testo non è indirizzato al mondo ecumenico e interreligioso, ma al mondo accademico». E da questo dipende il suo «modo un po' scolastico di dire "questo è vero e questo non lo è"». Secondo il responsabile del dicastero vaticano che si occupa di ecumenismo e dialogo, infatti, «i contenuti sono quelli del Concilio Vaticano II, ma c'è un problema di linguaggio: era indirizzato soprattutto agli insegnanti di teologia dell'India, perché in Asia c'è un problema teologico sull'unicità della salvezza».

A sua volta monsignor Antonelli ha ribadito: «La dichiarazione firmata dal cardinale Ratzinger da un lato fronteggia il fenomeno del relativismo e dall'altro la tendenza all'eclettismo religioso». Il primo, ha spiegato il vescovo, si manifesta sia a livello popolare («una religione, in fondo, vale l'altra»), sia a livello teologico quando, «pur non verificandosi un simile appiattimento, non viene dato l'adeguato rilievo alla specificità e all'unicità dell'evento salvifico dell'incarnazione, morte e risurrezione di Cristo». L'eclettismo, invece, ha aggiunto monsignor Antonelli, «tende a mescolare elementi cristiani e di altre religioni senza preoccuparsi troppo della coerenza con il Vangelo».

Ecco perché è sbagliato leggere il testo come se dicesse che «solo i cattolici si salvano o che tutte le altre religioni non servano a niente». Il documento ricorda, invece, che «la Chiesa è sacramento universale della salvezza» e che «Gesù Cristo è la rivelazione personale di Dio in questo mondo» e perciò che «questa rivelazione non può essere che piena e definitiva».

Tutto ciò, comunque, non deve essere motivo di orgoglio o di superiorità per i cristiani, ha detto monsignor Antonelli, ma anzi di «responsabilità, perché questo dono incommensurabile va condiviso con gli altri il più possibile». «Cristo non è morto e risorto solo per i cristiani», ha concluso il vescovo.


Riccardi: la comunità romana ha meriti storici. Toaff? Una garanzia
«Una battuta d'arresto ma il confronto continua»


Il cardinale australiano: quel testo è diretto al mondo accademico, l'auspicio è che venga colto nelle sue vere intenzioni 
Il vescovo italiano: no al relativismo strisciante


LISBONA.
(U. Fo.) Il barometro del dialogo fa il pazzerellone. Pressione bassa a Roma e dintorni, discretamente alta a Lisbona. Tutto male sul Tevere, tutto bene sul Tago? Non esageriamo. Ma non c'è dubbio che le notizie provenienti dall'Italia, con il niet di Toaff, stonino qui a Belèm, dove i rabbini (tra cui il romano Riccardo Di Segni) parlano ai panel accanto a vescovi cattolici e anglicani, pastori protestanti, metropoliti ortodossi, buddisti e shintoisti. Come se la brezza che soffia lieve dall'Atlantico spazzasse via tutto, problemi e preoccupazioni... Naturalmente non è così, come ricorda Andrea Riccardi.
Professor Riccardi, ha sentito che cosa sta accadendo a Roma?
Quella romana e italiana è la comunità ebraica geograficamente più vicina al centro del cristianesimo. È fatale che abbia una storia tutta sua. La vicinanza comporta che sia la comunità-ponte tra i due mondi, ebraico e cristiano. Ma anche registri per prima, con particolare intensità, perfino con ansietà, quelli che a lei appiono come segnali preoccupanti.
Appunto, i segnali. Che cosa, per lei, ha destato maggiore preoccupazione nella comunità ebraica? C'è chi ha parlato di una sorta di «nuovo trionfalismo» della Chiesa cattolica...
Trionfalismo? No, direi di no. Piuttosto, il rapporto tra cristianesimo ed ebraismo è ormai così forte che gli ebrei, e credo a ragione, temono che possa riemergere e riaffermarsi una «cultura del disprezzo» dalle radici antiche. In questo si dimostrano estremamente sensibili. Ma tornando alla comunità romana, non dobbiamo dimenticarci di un fatto decisivo. Storico.
Quale?
È stata la prima comunità ad accogliere il Papa in sinagoga. Quell'evento ha posto le premesse per altri due fatti storici. Il primo è il riconoscimento dello Stato di Israele da parte della Santa Sede, che Toaff sollecitò in modo esplicito. Il secondo, e più recente, è la visita del Papa in Israele. Con queste grandi premesse, in fondo non mi meraviglia che gli ebrei romani e italiani oggi si mostrino più attenti, sensibili e perfino preoccupati degli altri.
Appunto, gli altri. Come hanno reagito gli ebrei non italiani al documento pontificio?
Non saprei dirlo con esattezza. In Francia sono abbastanza preoccupati, in Israele forse meno. Ma, appunto, occorre partire dalla particolare sensibilità degli ebrei italiani. Quanto alle preoccupazioni, ce ne sono sì, ma di ben maggiori, e riguardanti sia gli ebrei sia i cristiani. Entrambi infatti dovremmo fare i conti con il mondo globalizzato, rifugio di tanti e diversi fondamentalismi, e non solo islamici. Ce ne sono anche di razzisti, europei, di estrema pericolosità, che nella loro ignoranza puntano ancora il dito contro l'ebraismo.
Secondo lei, con il suo rifiuto quale genere di messaggio ha voluto lanciare Toaff?
Conosco il rabbino, di cui sono amico. È un uomo di esperienza e responsabilità, e i suoi gesti vanno considerati attentamente. Interruzione del dialogo? No. Più che una battuta d'arresto, si tratta di una battuta di... preoccupazione.
Da quindici anni ogni 16 ottobre voi ricordate con una processione da Trastevere al Ghetto la razzia compiuta dai nazisti.
Per noi è un appuntamento tradizionale che ricorda una grave ferita inferta alla città di Roma e alla comunità ebraica. Il rischio è di dimenticare. No, quella ferita è una ferita di tutti, per questo spero che la nostra iniziativa coinvolga sempre più le giovani generazioni. Assicura i nostri amici ebrei che non resteranno mai più soli. Perché la storia insegna che si comincia da loro e poi, uno dopo l'altro, a cadere sono tutti i beni più preziosi della convivenza civile.


indietro| |inizio pagina