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Gli uomini e le donne che vedono la loro storia personale e quella dell’umanità, in cui essa è inserita e si dipana, affacciarsi e iniziare a percorrere il terzo millennio dell’Era Cristiana, sono alle prese con le domande, le ansie, le attese e le speranze di sempre. In questa nostra epoca tuttavia, notiamo il polarizzarsi delle forze che nei millenni hanno guidato e forgiato la storia del genere umano su questa terra. È con esse che dobbiamo misurarci per ridare un senso al nostro futuro, che è la casa delle attese di ogni uomo. Il nostro tracciato parte con un dato di fatto, una certezza posta come fondamento: Salvezza in Cristo e, poi, esso sposta l’attenzione e ci conduce ad uno dei temi - che nella sua concreta attuazione spesso diventa un problema - del dialogo tra religioni diverse. Nella pista di riflessione
che ci si ripropone c’è già, in nuce, la consapevolezza che
dalla prima realtà possa scaturire la seconda. Il lavoro procederà ad
esplicitare, nel dettaglio, come ed in base a quali presupposti
entrambe le realtà possano compiersi e concretizzarsi. Cos’è la salvezza? Salvezza, da che? Salvezza, per chi? Salvezza, perché? Dare risposta a queste domande significa trovare il senso della propria vita, della propria storia personale, della vicenda umana su questa terra in generale. Dove troviamo questa risposta? Essa è contenuta nella Rivelazione, nella Tradizione nella quale abbiamo mosso i primi passi di creature umane che si affacciano alla consapevolezza del proprio vivere e del proprio esserci. Tuttavia si tratta di una risposta data, consegnata, che in qualche modo necessita di ulteriore ricerca e di una assimilazione strettamente personale ed insostituibile nella sua fattuale soggettività. È importante rendersi conto di cosa significhi peccato e cosa significhi salvezza, redenzione. Alla base di questo significato c'è la consapevolezza di un rapporto, di una relazione, che è, innanzitutto, un rapporto d'amore. Questa è la visione biblica, ovvero la visione ebraica e cristiana. Il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe, (lo stesso di Gesù Cristo) non è un Dio separato dal mondo ma è un Dio che è entrato in un rapporto d'amicizia, d'alleanza con l'uomo, tant'è che la lingua ebraica usa, per indicare la verità, una parola molto importante all’interno del proprio lessico etico – religioso che significa fedeltà, ovvero emeth. Il peccato consiste nel rompere questa fedeltà, ovvero nel non amare l'amore con cui siamo stati amati. È per questo che vivere lontani dal peccato è bello. Quando ci si sente amati, si è anche gioiosi. In questo senso non peccare, ovvero corrispondere all'amore con cui Dio ci ha amati per primo, è fonte della nostra gioia. Le difficoltà che incontriamo nel metterlo in pratica dipendono dal fatto che può sembrarci che, corrispondendo a questo amore paterno, a questo amore di Dio, (che è paterno e materno insieme), noi esseri umani non siamo liberi di gestire la nostra vita come vogliamo. Quindi, il peccato nasce da questo desiderio di spezzare l'alleanza per essere noi i protagonisti e non i partner di un legame d'amore. E comunque: Chi è il
credente, chi è il non credente? Chi crede è un povero ateo che ogni
giorno si può sforzare di cominciare a credere. Ovvero è colui che con
Dio deve cominciare ogni giorno, perché nell'amore non si vive di rendita
perché nell'amore bisogna fare di sé stessi ogni giorno delle persone
nuove. Quando ci si chiude ad una continua novità, l'amore appassisce. In
fondo questo è il peccato. È il chiudersi alla fedeltà, ovvero alla
novità dell'amore. E questo nel credente è possibile, è possibile anche
nel non credente, soprattutto se il suo non credere nasce da una chiusura
del cuore, da un'incapacità di amare. Parlare di Salvezza immediatamente evoca il concetto di libertà e, quindi, di liberazione. Non che sia intaccata la nostra strutturale libertà di scelta tra il bene e il male: in qualunque momento la nostra scelta può orientarsi positivamente o negativamente. Si tratta sempre di un sì o di un no, pronunciati interiormente e poi vissuti nelle loro conseguenze in una situazione, che possono avvicinarci o allontanarci dal nostro fine ultimo. Tuttavia, pur non essendoci mai precluso l'esercizio della nostra libertà, non possiamo non riconoscerci più o meno pesantemente condizionati dalle strutture di peccato che si trovano sia dentro che fuori di noi. Così come, del resto, nel nostro essere è inscritta l'immagine del Padre, sorgente della nostra inesauribile sete d'infinito, di bene, di bellezza, di armonia. Non a caso nella vita spirituale vengono frequentemente usati termini come lotta, battaglia o quelli del mondo atletico: agone, corsa, ecc.: è sicuramente uno sforzo quello di disporsi e, poi, adoperarsi a portare, nel concreto di ogni momento del nostro vivere quotidiano, i frutti dell'ascolto-risposta - i due termini del dialogo con il TU trascendente che ci provoca e ci chiama con ogni avvenimento della nostra vita - che illuminano la nostra coscienza e muovono la nostra volontà. Tutta la nostra vita, quando abbiamo imparato ad ascoltare, rispondere, chiedere, attendere a nostra volta risposta in un orizzonte di gratuità, di gratitudine, di leggerezza dell'essere, nonostante l'esperienza sempre più consapevole della pesantezza del vivere, è condotta, guidata a tappe sempre e ulteriormente nuove ed il nostro Uomo Nuovo riceve e vede costituirsi la sua pienezza di essere. È essenzialmente questa la dinamica della Salvezza. Siamo quindi chiamati ad
una libertà da... libertà di... libertà per... Se non siamo liberati non possiamo essere salvati. Salvezza è qualcosa di più, è anche integrazione, che significa esercizio in pienezza e nella loro globalità in dialogo delle facoltà di cui siamo dotati come persone umane, che riguardano la sfera fisica (la nostra corporeità vivente), quella psichica (intelletto - volontà - affettività) e quella spirituale. Si tratta di dimensioni di cui si parla separatamente per comodità discorsiva, ma esse strettamente si intersecano e si compenetrano l’una con l’altra [1]. Cristo, prima ci libera, poi ci salva. Salvezza, quindi, è libertà e integrità in azione, vissute da un essere umano. Assume prioritaria importanza l’impegno per integrare le diverse dimensioni della realtà, a partire da quella personale, senza mai abbandonare la ricerca sul proprium cristiano rispetto all’universale umano, individuandolo nella coscienza assiologica di essere "persona-in-Cristo" come fonte di motivazione per l’agire. Libertà che si muove e vive come fedeltà. Essere di fede-speranza-carità che, descritte in pochi tratti essenziali, sono vissute come adesione, affidamento; attesa paziente, fiduciosa e serena, già irrorata dal bene promesso; graduale e sempre più profondo connubio tra Grazia divina e persona umana e costituiscono i modi fondamentali di relazione con Dio. È molto bella questa
frase di S. Bernardo, cara anche a Lutero
"Dio non ci ama perché siamo buoni e belli. Dio ci rende buoni
e belli perché ci ama". È molto importante, perché significa
che non sono i nostri meriti, le nostre capacità che valgono agli
occhi di Dio, ma il semplice fatto che noi esistiamo, che siamo suoi
figli, le sue creature, che Lui ha voluto e che ha chiamato a
rispondere al Suo amore. Sperimentiamo e riconosciamo che siamo in qualche modo soggetti a forme diverse di schiavitù, finché non interviene nella nostra vita la Redenzione di Cristo, col Suo entrare nella nostra storia - che coincide con il nostro immergerci in Lui: la nostra realtà battesimale vissuta in pienezza, che porta a compimento il nostro vero essere in Dio. Si tratta di schiavitù delle quali, finché rimaniamo immersi nella dinamica delle forze e delle pulsioni che governano il mondo, neppure ci accorgiamo; ma esse subdolamente incanalano in chiave egoistica ogni nostro pensiero e, quindi, ogni nostro progetto ed azione corrispondenti. Liberazione fondamentale, quindi, è quella dall’egoismo, dalla chiusura, dal ripiegamento su di sé; liberazione, che è sempre rivolta alla triplice dimensione: noi stessi - il mondo - Dio. A livello personale, finché siamo schiavi dell’egoismo, la nostra vita si svolge in superficie, le passioni e le contese hanno il sopravvento su di noi e non riusciamo a governare la nostra realtà interiore; quindi non viviamo, ma siamo vissuti dalle pulsioni che a volte neppure siamo in grado di riconoscere. Ci restano precluse o quanto meno soffocate le energie vitali che scaturiscono dal profondo del nostro essere, in cui è inscritta l’immagine del Creatore, che dovrebbero invece dare orientamento e vigore ad ogni nostra azione ed a tutto il nostro vivere quotidiano. Tutto questo si traduce, al livello dei rapporti con l’intera realtà della vita e delle cose, che comprende i rapporti con gli altri uomini, nell’incapacità di relazioni autentiche, sane, profonde, che favoriscono la crescita personale e collettiva ed imprimono alle azioni valenza vitale e costruttiva. Sostanzialmente, quando regna l’egoismo, si instaurano - a seconda dei casi - rapporti di dominio, di manipolazione, di strumentalizzazione o, per contro, di sottomissione passiva, di dipendenza; il che in ogni modo impedisce la crescita autentica. Il bisogno di crescita, insieme a quello di identità, è bisogno primario di ogni individualità umana che, nell'esprimersi e nel tendere verso la realizzazione di sé, è protesa e impegnata verso un compimento, un completamento di sé, che coincide con il proprio essere profondo in relazione con Dio. È la sfera del rapporto con la Trascendenza, la nostra vita spirituale, che alimenta e dà senso al nostro essere-nel-mondo ed alla realizzazione del nostro essere autentico. Se rimaniamo chiusi in noi stessi e non entriamo nella dimensione della fede-speranza-carità, nell’orizzonte della condivisione, della comunione, del dono, non realizzeremo il fine della nostra vita su questa terra, che ci vuole uomini della speranza dell’amore e della lode, per ricondurre l’intera creazione al suo Creatore. Queste parole possono apparire enfatiche nel nostro mondo di oggi, segnato da abissi di indifferenza, da un lato, e da forti tendenze di competizione ed autoaffermazione, dall’altro. Eppure esse esprimono le uniche verità capaci di salvarci. Libertà dall’egoismo, quindi, da cui scaturisce la libertà di agire, vivere e muoverci in un mondo che ci è donato, di cui siamo sì dominatori, ma nel senso di esercitano la capacità di custodirlo e trasformarlo per il bene comune. Quest’ultimo è il senso della nostra libertà per... Oggi le spinte egoistiche possono presentarsi anche nelle sembianze e nelle lusinghe della cosiddetta autorealizzazione. L’autorealizzazione è il mito del nostro tempo. Essa rappresenta il culmine dell’"hybris" che spinge l’uomo, a livello sia individuale che collettivo, ad affermarsi a tutti i costi, a perseguire i suoi sogni, i suoi progetti senza tener conto dell’altro; il che coincide con il vivere e l’agire come se non ci fosse nessun Altro a cui rapportarsi, a cui rispondere. Esso consiste nel porre anzitutto l’identità personale nelle proprie doti e qualità (a livello fisico, psichico e morale), presumendo d’esser artefici di sé e delle proprie fortune (colui che s’è-fatto-da-sé), e nel perseguire la realizzazione dei propri talenti e capacità come scopo primario della vita e condizione e garanzia della stima di sé. È il vivere e l’agire di un uomo che vuol darsi da sé il proprio "nome" [2], senza confini, oltre ogni limite. Forse il nostro tempo ci fa assistere all’estremo lembo di questi confini: l’intima struttura della materia ha ben pochi segreti per il mondo della fisica, ma le applicazioni principali hanno riguardato la corsa agli armamenti. Il mondo pulsante e segreto delle strutture biologiche ha aperto tanti orizzonti alla ricerca dei più intimi recessi dell’essere vivente; ma nel campo della bioetica stiamo assistendo alla necessità di darsi delle regole per evitare il travalicamento di confini che portano ad una manipolazione genetica fine a sé stessa, che diventa profanazione, anziché ricerca di una migliore qualità della vita nel rispetto delle leggi inscritte nel mirabile ordine della natura. Possiamo individuare due essenziali risposte al problema della salvezza: una laica, per cui l'uomo ne è operatore con le sole sue forze, il suo impegno, la sua attività, il suo pragmatismo; e l'altra religiosa, per cui nella Salvezza interviene un fattore trascendente. La concezione e la via cristiana della salvezza va oltre una visione puramente umana e terrena e vive la consapevolezza e l'esperienza dell'intervento di un TU trascendente, attraverso il rapporto dialogale con Dio-Trinità, che ha cercato l'uomo facendosi Uomo in Gesù di Nazaret, vissuto nella Chiesa e come Chiesa, che del Cristo Vivente è il Sacramento. Essa non ha una soluzione "tecnica" per i mali che affliggono l'umanità. Anzi, procedendo come un pellegrino in terra straniera, è forte soltanto della voce di Dio che risuona nella coscienza e che parla e si manifesta incessantemente - per chi sa "ascoltare" e "vedere" - nella frequentazione della Scrittura, nella partecipazione alla vita liturgica, ma anche nelle cose del mondo, nella natura, nel volto dell’ "altro", nei fatti e nelle vicende e nelle scelte di ogni giorno. Forse tutto ciò che avviene nella grande storia e nella singola esistenza di ogni uomo è voluto o permesso da Dio proprio perché si desti il tormento della ricerca, l'ansia di riuscire ad ascoltare e farsi ascoltare, che a volte è straziante perché conosce anche momenti di "buio" e di "aridità", ci fa sentire fino alla tragedia ed alla disperazione l'ansia della trascendenza e dell'eternità, ma non manca di farci "vedere e gustare quant'è buono il Signore". Salvezza è ancora uscire dal mondo per entrare nel Regno. È vivere sotto l’impulso del proprio Nome Nuovo. Non si tratta di un uscire nel senso di estraniarsi, separarsi quasi a salvaguardia della propria integrità; ma uscire nel senso di essere liberi, non invischiati, non-più-schiavi, appunto. È un uscire che, in realtà e paradossalmente, presuppone un immergersi più profondo e impegnato nella quotidianità, nella pesantezza del vivere, nell’assumerci il nostro peso e quello degli altri, per quanto ci è dato. È il punto di arrivo e di partenza, insieme, dell’incarnazione. È il momento in cui l’uomo esce dall’anonimato [3] per svelarsi e rivelare il proprio volto e per assumersi la sua parte di responsabilità. E deve subito imparare a vivere in comunione ed interazione con il tutto che lo circonda. Nel rispondere alla prima domanda: cos’è la salvezza? ci accorgiamo di aver iniziato a trovare risposta anche alle domande successive. È implicito nel discorso
appena sviluppato che destinatario della salvezza è l’uomo, ogni
singolo uomo e donna cui è dato fare esperienza della vita in questo
mondo, ma essa non
rimane senza conseguenze per il mondo di cui l'uomo fa parte. Ne abbiamo
riconosciuta la ragione: l'uomo ha bisogno di essere salvato dalla schiavitù
del male e del peccato (che è il male in azione) che lo abita quando vive nella dimensione soltanto carnale. Bisogna
tuttavia essere ben consapevoli
che la negatività da governare non coincide con la "carne"
intesa non soltanto come fisicità, materialità, ma come "corporeità vivente"
che denota l’uomo in tutta la sua interezza di corpo e anima dotata di
ragione volontà e affettività, sentimento. Resta, tuttavia, da
sviluppare il "perché" (non soltanto la ragione, ma anche il
fine) e, ancora, il "per chi" della salvezza. Un uomo non esiste solo per
se stesso, egli è un essere sociale, nasce, cresce e si sviluppa in un
ambiente non soltanto umano, perché fa parte di un cosmo molto più ampio
di quanto identificabile a prima vista ed in termini di conoscenza e
percezione superficiali. Egli è portatore di un mondo suo
personale che è la somma dei tratti genetici e delle esperienze ereditate
dalle generazioni che lo hanno preceduto, il che significa che è
primariamente inserito in una realtà familiare. Inoltre il suo orizzonte
si allarga a quello dell’ambiente, della nazione e della cultura nella
quale la sua individualità si forma e dei cui valori - o disvalori - essa
si nutre. Senza dimenticare che nessuna cultura è a sé; ma a sua volta,
oltre a costituirsi attraverso l’elaborazione del contesto in cui nasce
e si sviluppa, essa riceve gli apporti delle altre culture con le quali
viene a contatto. In realtà l’uomo è inserito in un mondo costituito
da una rete di relazioni che lo formano e che egli, quanto più è libero
e consapevole, diciamo pure salvato, tanto più contribuisce a
rendere sane e costruttive. Immediatamente conseguente è il completamento della risposta alla domanda: salvezza, per chi? L’uomo, come non vive, così non si salva da solo né per sé solo. Quindi, egli è il destinatario della salvezza sia nella sua individualità che nella sua appartenenza. La salvezza degli altri passa anche attraverso ognuno di noi. Il nostro impegno, la nostra fatica, la nostra gioia di vivere hanno riflesso su quanto e quanti ci circondano (ecco un altro "per chi?") e, viceversa, noi stessi attingiamo ai tesori di grazia, che da Cristo sono stati riversati sugli uomini e sulle donne che ci hanno preceduto e su quelli che ci accompagnano nel Cammino. Rimane ancora il "perché?" riferito alla finalità. Questo perché ci riguarda, passa attraverso la nostra volontà, ma risiede in una Volontà che ci trascende, ci chiama e ci orienta, in un rapporto dialogico, ad un progetto di pienezza di essere, che sentiamo non voluto da noi ma voluto per noi. Col nostro aderire ad esso, si realizza il nostro fine, la realtà alla quale siamo ordinati: ricondurre al Padre la creazione intera con l’assumere il nostro posto in essa. Non appena diveniamo
consapevoli che questo è il nostro destino e rispondiamo il nostro
"sì", la nostra storia diviene viva, operante e piena di senso
in un orizzonte di dialogicità con l’Altro, reso possibile dalla Parola
fattasi Uomo in Cristo, che ci spinge e ci insegna a dialogare con i
nostri compagni di viaggio. Dialogo interreligioso torna su Nostri compagni di viaggio sono tutti gli uomini. Con alcuni, però, in particolare in un certo senso siamo "in cordata", più strettamente coinvolti nella scalata alla nostra vetta... Parlando di dialogo interreligioso siamo già in un orizzonte e ad un livello più ampi del piano ecumenico, quello in cui siamo più abituati a muoverci nell’odierno sforzo di ripristinare una comunione, tra Cristiani di varie estrazioni, infranta da secoli. In questo ambito già si presenta un caleidoscopio di identità diverse che si definiscono cristiane le quali, nel loro rapportarsi nel tentativo di ricercare l'unità, sperimentano la persistente difficoltà di un dialogo ricco di contenuti condivisi e di scambi vitali e tuttavia molti uomini di buona volontà sono impegnati a trovare i punti di intesa per ricucire le lacerazioni della storia. La situazione contemporanea, contrassegnata da un pluralismo di culture, filosofie, stili di vita, rende il cammino verso l’armonia più urgente che mai, se non ci si vuol accontentare della rigidità di un sistema unico o della dispersione in mille esperienze frammentarie. E l’armonia può scaturire solamente dal dialogo. Innanzitutto è preliminarmente importante essere consapevoli del fatto che perché ci sia vero dialogo è necessario che gli interlocutori siano mossi dalla buona volontà, che si traduce in capacità di ascolto reciproco e di autentica con-versazione [4] nella convinzione che si parte da differenti punti di vista determinati da fattori culturali diversi che generano visioni della realtà e percorsi esperienziali corrispondentemente diversi, ma non per questo meno veri, per chi è in autentica ricerca della Verità. C’è anche da aggiungere che chi ha sperimentato nella sua vita e nella sua persona la salvezza in Cristo, non può non riconoscere nelle parole e nelle esperienze dell’altro i Logoi spermatikoi [5] di cui parlano i Padri della Chiesa, cioè quanto in esse di vero e santo riflette un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini. Certamente non è questo l’unico punto d’incontro che può favorire il dialogo, ma è una premessa di rilevanza particolare, perché fa riconoscere e accogliere la positività dell’altro, non più visto come avversario che si fronteggia, ma come compagno che si affianca. Elemento comune di ogni religione è l’intento di dare il senso della totalità, della pienezza, della ricerca, di apertura cognitiva, nell’orizzonte di senso di un interrogarsi radicale, nel luogo in cui possiamo tracciare il confine tra filosofia e religione e porre la base del pensiero in quanto tale. L'imperativo fondamentale comune rimane quello di dare un significato alla presenza dell'uomo in questo mondo ed un orientamento al suo entrare in rapporto con esso: nella misura in cui ogni religione contribuisce a ciò, non vi è dubbio che essa dà un apporto positivo all'essere-nel-mondo dell'umanità. Tutto quanto di positivo, di vero, di autenticamente umano è di un’esperienza, non può non essere in Cristo, ne si sia consapevoli oppure no. Tuttavia, noi che viviamo la nostra chiamata nella consapevolezza di appartenere al Signore e nell’esperienza di essere in Lui, con Lui e per Lui, abbiamo la grande responsabilità di essere sempre più coinvolti nel qui ed ora della nostra storia, con tutto ciò che questo comporta, senza tuttavia pretendere di imporre la nostra esperienza, ma vivendola in semplicità: la Verità non ha bisogno di essere difesa da apologie, ma si mostra e propaga se non ne offuschiamo lo splendore con l'attivismo (che spesso scambiamo per azione) ed i trionfalismi. In sostanza ci viene chiesto di viverla e renderla presente, perché il Signore possa mostrarsi e operare attraverso di noi. Il dialogo interreligioso, già importante di per sé, è oggi tanto più indispensabile quanto più la società si trasforma in plurietnica e plurirazziale: non solo popolazioni, ma anche razze diverse sono sempre più simultaneamente presenti negli stessi luoghi e, quindi, nelle stesse strutture nazionali e sociali. È estremamente rischioso che i vari nuclei, portatori di culture e visioni della vita a volte molto difformi, presenti in uno stesso tessuto sociale, finiscano col costituire delle isole per effetto di una mancata integrazione. A lungo andare le tensioni, i semi di dissidio determinati da una convivenza subìta e non costruita insieme potrebbero sfociare in situazioni più gravi della semplice insofferenza o incomprensione che sempre serpeggiano tra le estraneità che non si conoscono. Il primo ostacolo da vincere per promuovere e costruire il dialogo, che è strumento indispensabile di integrazione, è l’indifferenza. Trasformata l’indifferenza in attenzione ed interesse, è possibile procedere nella conoscenza reciproca e sperare in una possibile integrazione, che non è omologazione [6] né sincretismo [7], ma convivenza sana e costruttiva vivendo al meglio il proprio modo di essere in reciprocità, nel pieno riconoscimento e rispetto di quello dell’altro. Naturalmente non può esserci vero dialogo laddove ci sono crisi di identità. In tal caso, quelle che si parlano sono soggettività che non hanno raggiunto la maturità piena, la capacità di conoscere la propria realtà e quella degli altri per quella che è, senza pretese né false aspettative, che ingenerano sempre confusione e conflitti. Ecco perché la salvezza in Cristo che è maturità spirituale e, quindi, pienezza di umanità mai compiuta ma comunque costituita ed in progressivo divenire storico, è la premessa irrinunciabile per un dialogo costruttivo in genere e per quello interreligioso in particolare. La Chiesa, per promuovere e alimentare il dialogo con religioni diverse, deve cercare di riscoprire sempre ulteriormente la sua identità che si fonda in Cristo, ma la mette in relazione con i popoli e le culture. Essa deve confrontarsi seriamente con le culture del mondo, passando da un approccio apologetico a quello dialogico. La Parola che essa annuncia avrà effetto solo se avrà significato per queste culture, tenendo conto dei vari contesti in cui viene portata. In alcuni casi, specie con l’Islam, ciò può risultare molto difficile. Tuttavia è necessario mantenere sempre la nostra apertura cristiana, senza rinunciare al nostro diritto di annunciare il vangelo (che coincide con la nostra realtà profonda, cioè non tanto con ciò che proclamiamo e predichiamo, quanto con ciò che siamo) e di criticare (con carità, il che implica il rispetto, ma anche il coraggio) le tendenze in altre religioni che non rispettassero i diritti ed i valori umani. La nostra apertura verso queste religioni dovrebbe aiutarci a scoprire le nostre proprie basi comuni, come di uomini che credono nel medesimo Dio, in cammino verso il medesimo destino. Dovremo pertanto adoperarci a formare una società unita nella speranza, anche se non sarà sempre possibile avere con aderenti alle altre religioni una comunità di fede. In questo modo la Bibbia diventa il libro della speranza per tutti i popoli. Meglio se si tratta di Bibbia incarnata che siamo noi, che non proclamiamo una "Religione del Libro", ma la fede e, quindi, la sequela di una Persona, che è Gesù di Nazareth, il Cristo. La parola del Signore può così veramente diventare una buona novella per tutte le religioni. Ciò potrà essere raggiunto anche mediante un atteggiamento di apertura al dialogo nei confronti della altre scritture, leggendole magari insieme alla Bibbia, per interpretare gli eventi e i valori della vita umana. Un dialogo comunque da costruire non solo attraverso il confronto teorico, ma con la vita, quindi non solo con le nozioni (che servono per una conoscenza più profonda ma da sole non bastano), ma con l’essere, per quanto riguarda noi cristiani, ciò che si è: uomini e donne nuovi, perché configurati a Cristo, e che, in quanto tali, non parlano e agiscono da possessori della Verità ma da uomini e donne servitori della Verità, in una ricerca sempre ulteriore del bene comune, che li accomuna all’intera umanità di cui condividono la sorte. Chi è immagine di Cristo non esclude, ma è portatore di salvezza per chiunque accoglie in sé il messaggio di verità e di amore che si crea nel rapporto, sia esso rapporto interpersonale, interculturale, interreligioso. L’importante, perché la Vita passi attraverso gli incontri significativi e intessa relazioni umane costruttive o rigeneri e ricostituisca quelle segnate dalla discordia, è che si realizzino rapporti autentici. Quali parole di pace possono, confrontandosi nel rispetto della diversità, pronunciare le religioni? Possono esse, tese tra fedeltà ad un unico Assoluto e l’esistenza di più professioni di fede, divenire modelli di dialogo? E che forza hanno, nel mondo odierno, le religioni? Il dialogo, indipendentemente dai suoi successi od insuccessi, è in questo nostro tempo sempre più una necessità. È estremamente positivo, oggi, poter parlare di dialogo interreligioso, se si pensa che la storia è piena di guerre di religione. L’idea appare dotata di una carica di grande speranza, soprattutto se si pensa, ad esempio, agli scontri - ancora endemici - tra le comunità che si definiscono cristiane in Irlanda, ai vari aspetti e volti del protestantesimo od ai rapporti ancora improntati ad un reciproco sospetto tra cristiani d’oriente e d’occidente. In ogni caso è difficile sviluppare contenuti di dialogo in ordine agli impianti dogmatici che caratterizzano ogni "credo" religioso. Come trovare un punto d’incontro, ad esempio, con chi vede la Salvezza né come oggetto della volontà divina né della risposta etica dell’uomo, ma unicamente di una cieca legge evolutiva carica di fatalismo e senza posto per l’incarnazione. Su cosa basare una condivisione, se ci si ferma ad un livello teorico-dogmatico, a chi sostiene - e adotta uno stile di vita consequenziale - che la Salvezza è soltanto intramondana e significa sentirsi a proprio agio armonicamente inseriti in un gruppo, senza tensioni psichiche, familiari e sociali. Direi che, in un vissuto del genere, più che di Salvezza possa parlarsi di anestesia. Cosa dire al credo religioso mutuato dall’Induismo e dal Buddismo, che sostiene che Dio non è necessario, l’uomo stesso è divino e dispiega la sua divinità nel progresso infinito delle incarnazioni, nel quale va costruendo e ottimizzando il proprio "Io" ? È un uomo che non accetta il discorso teologico che lo chiama peccatore; egli accetterà soltanto il fatto che ci si trova ad uno stadio più o meno avanzato della evoluzione della coscienza. Essa avanza automaticamente verso uno stato di integrità, che recupera la perfezione originaria. Sostanzialmente, l’agire dell’uomo si traduce in una tecnica che usa il divino per conseguire il maggiore allargamento della coscienza ed una maggiore perfezione corporale. Se dialogo può esserci, esso potrà riguardare i 'luoghi' di un impegno quotidiano, a livello sociale e civile, a difesa della dignità della persona, della natura e dell’ambiente. Al di là dei dogmi, buona volontà e verità, dalle quali non è mai disgiunta la giustizia, sono valori capaci di portare l’eternità nel tempo e di costruire un mondo nuovo. Oltre a promuovere e incoraggiare il dialogo, laddove operano gruppi e comunità inserite nello stesso contesto sociale, è importante continuare a creare momenti e spazi di incontro e di dialogo che consentano di scoprire sempre nuovi orizzonti, senza escludere del tutto il confronto con tematiche di notevole spessore sia antropologico-culturale che teologico. Bisognerà percorrere tappe ulteriori del cammino intrapreso con la storica giornata di Assisi. I diversi temi comparati non possono non spaziare su questioni tra le più vitali e, proprio per questo, non eludibili: Dio, la preghiera, il perché del nostro esserci, l’ineluttabilità del dolore e della morte, il Mistero ultimo che pervade il nostro essere, il Mistero della nostra origine e verso il quale viaggiamo perennemente, i Libri sacri, la provvidenza, la vita oltre la vita, il paradiso... ecc., mentre l’attualità prende rilievo sullo sfondo della novità rappresentata da una cultura che non si riconosce in nessun paradigma, non si lascia incorniciare in nessun quadro ideologico e si pone in un atteggiamento di sospetto nei confronti di ogni struttura istituzionale. È da questa realtà che nasce il successo dei nuovi movimenti religiosi, tra i quali assume particolare rilievo la cosiddetta New Age, da non sottovalutare, al fine di non essere ingannati dalla loro ambiguità. Vale la pena approfondire questo aspetto della riflessione soffermandoci proprio sulla New Age. Prima, però, di parlarne, dovremo cercare di inquadrarla nell’orizzonte storico recente, sul quale essa - come gli altri movimenti di connotazione religiosa - si innesta. L’uomo ed il clima esistenziale attuali, infatti, sono caratterizzati da una serie di nuove peculiarità, recentemente delineatesi nel corso della storia del nostro tempo, che hanno provocato un fastidio rispetto alle ideologie ed al fallimento di molte delle loro realizzazioni. Alcuni dei tratti più riconoscibili di questa nostra epoca, che viene definita di post-modernità, sono:
In questo "clima" culturale si innesta un fenomeno particolare, preoccupante per gli inganni e gli sviamenti che ingenera: quello della religiosità alternativa. Una delle correnti più rappresentative di questa tendenza, è quella della Nuova Era (la New Age già indicata precedentemente), che emerge proprio come sensibilità post-moderna. Le sue caratteristiche: in teoria, essa potenzia i valori dell'armonia, dell'equilibrio, della pace; ma il tutto si riduce ad un irenismo sincretistico che si risolve in una religione debole nella quale l'autentica esperienza di incontro religioso si sostituisce con quella di incontro dei propri desideri umani che costruiscono una religione su misura. Questo movimento senza organizzazione né gerarchie, senza regole né dogmi, che in maniera subdola e strisciante si insinua nella necessità insopprimibile, perché strutturale, dell'uomo che è la sua sete di Infinito, afferma la necessità di aiutare l'uomo ad avere esperienza viva e personalizzata di Dio. Tuttavia, per contro, esso porta ad esperienze che realizzano una totale immanentizzazione del Dio vivo. In esso, inoltre, viene riservato un posto al significato universale e cosmico di Cristo come simbolo salvifico e non come Persona; il che Lo riduce ad una energizzazione a-storicizzante ed a-personale. Le ingannevoli espressioni - nessuna falsa in sé, ma ognuna riduttiva e quindi sviante se presa a sé - "Cristo-guru" (vi si riconosce l'influenza della cultura orientale), "Cristo-cosmico", "Cristo taumaturgo" ed altre, provocano una totale dissoluzione della densità storica dell'evento salvifico Gesù di Nazaret, ridotto ad un simbolo al pari degli altri, per un uomo che persegue una pienezza di coscienza integrale ma che, non entrando nell'incarnazione di Cristo, non realizza la sua personale incarnazione, che è il voler essere-nel-mondo con le radici nel cielo, cioè fondato nella vera fede - di cui sempre più la Chiesa si rivela madre e custode -, ma con realismo e concretezza secondo la volontà del Padre. Si tratta in realtà di una visione antropologica, che vuole essere anche teologica, dalla quale scaturisce una totale deresponsabilizzazione morale. Essa, in sostanza, riproduce anche nei confronti della religiosità gli stessi atteggiamenti consumistici, già identificati nei confronti delle cose e del mondo, che inducono a vivere uno spiritualismo disincarnato, che non è spiritualità vera. Anche con queste suggestioni, per un verso piene di elementi affascinanti con molte visioni immaginifiche ed una dichiarata attenzione ai valori individuali e personali ma, per altro verso, dissolventi la solidarietà e la fraternità perché frutto di un individualismo depersonalizzante, dovrà fare i conti la nuova evangelizzazione, impegnata nell'ascolto e nel dialogo. A questo punto appare evidente che le sfide sono tante e su molti fronti. Resta aperto l’interrogativo di come, oggi, far sì che le varie esperienze religiose patrimonio dell’umanità, oltre che dialogare tra loro, possano dialogare con un mondo attraversato da crisi così serie. È possibile, di fronte ad uno scenario internazionale che vede, insieme, la caduta dei blocchi e delle ideologie ed il riapparire delle guerre e dei conflitti, una ricerca religiosa comune al cristianesimo e alle grandi religioni mondiali? Ci può soccorrere, attraverso gli strumenti dello studio e delle esperienze di dialogo, un pensiero nutrito ed arricchito dalla frequentazione di mondi anche diversi dal nostro (che divengono un patrimonio di saggezza umana che si carica di speranza), dalla destabilizzazione degli schemi che ingabbiano, dal rafforzamento delle coordinate della propria identità che si chiarifica e approfondisce sempre di più. A questo punto possiamo introdurre una riflessione sulla Sapienza che è presente e parla ad ogni uomo in ogni luogo ed in ogni tempo. ""Parlare della sapienza significa anzitutto riferirsi all’esperienza umana riflessa, meditata, tradotta in espressioni capaci di sintetizzare regole e valori che orientano, educano e danno senso alla vita. Significa attingere alla ragione e ai suoi tentativi di comunicare mediante motivazioni convincenti, ragionamenti e prove logiche, domande e interpellanze rivolte al proprio interlocutore. In sé non può che tendere ad una universalizzazione, anche se incarnata, di volta in volta, in precise culture (e, quindi, anche in determinati momenti storici), che al loro incontro sono costrette a recepirsi e confrontarsi. Suo oggetto è, infatti, tutto il vasto campo dell’esistenza umana (nella sua dimensione terrena, eppure agganciata alla sua sorgente [8]) e del suo ambiente : individuo, cosmo, uomo, cultura, allo scopo anzitutto di sapere, di comprendere il mondo, e quindi di indirizzare verso un operare intellettuale e morale corretto. Comporta il tentativo di un approccio alla realtà che possa essere condiviso: sua caratteristica resta perciò la ragionevolezza"" [9]. Tutto quanto è ragionevole può essere oggetto di valutazione, discussione e arricchimento reciproci. Quanto non è ragionevole, frutto di passioni, tensioni, conflitti, non porta al dialogo, ma allo scontro. Non possiamo ignorare, infatti, che nel termine ragionevole è già implicito il logos [10]: la ragion-d’essere di tutte le cose, identificato con Cristo già dai Padri della Chiesa che hanno usato il linguaggio filosofico greco (ricordiamo anche il Prologo del Vangelo di Giovanni), pur nella consapevolezza dei propri limiti di fronte alla complessità del mondo che sfugge alla conoscenza e la supera. La sapienza non si oppone perciò alla obbligatorietà, ma evince dalla sua forza logica l’autorità per creare consenso, dalle sue qualità pratiche, morali e religiose, l’esigenza di essere cercata, ascoltata, accolta, seguìta. A questo punto del nostro excursus non possiamo ignorare che in un contesto storico e culturale in cui riconosciamo che l’elemento fondamentale del moderno è la categoria della soggettività, la religione tende a venire privata del suo spessore oggettivo, per assumere il semplice aspetto di scelta soggettiva, e ancora non necessaria, quasi fosse un accidente (in senso aristotelico) dell’antropologia. È un compito ben difficile un dialogo in una realtà culturale così complessa come quella odierna, che ha raggiunto sponde di autosufficienza tanto lontane dalla salvezza in Cristo di cui stiamo parlando, per effetto dello sforzo autoliberatorio della ragione - che si autoproduce e produce il mondo nel quale collocarsi - di impadronirsi delle ragioni dell’essere. Il problema quindi è ben più radicale e complesso. Come già accennato, la vera difficoltà, che pure è innegabile nell’ambito del dialogo interreligioso, si pone nel versante del dialogo delle religioni col "mondo" in un’epoca, come la nostra, in cui la religione non influisce più su tutti gli aspetti della vita, perché l’uomo sta perdendo il proprio orizzonte sapienziale autentico di cui sono portatrici le religioni e continua a muoversi nel mondo della tecnica e della ragione strumentale. È importante chiedersi cosa succederà se la modernità - o la post-modernità che dir si voglia, alla quale le coordinate storiche e scientifiche ci fanno ritenere di essere pervenuti - rifiuteranno il dialogo con le religioni che, ognuna dal suo versante, detengono un patrimonio di sapienza ed universalità capaci di imprimere coordinate di saggezza ad un mondo che corre il rischio di perdersi nella sua illusione di onnipotenza. Cerchiamo perciò di indicare alcune piste di positività all’interno di questo problema. Si tratta di approcci e percorsi certamente non alternativi, ma da tener simultaneamente ben presenti per gli obiettivi di allargamento di consapevolezza e di partecipazione che si vogliono realizzare. La prima pista positiva, per nulla superficiale, è la forza stessa delle fede cristiana, che ha sempre incalzato, con la pregnanza del suo contenuto esistenziale, ogni cultura. C’è un ottimismo storico del cristiano, che non sta a guardare gli avvenimenti, ma sa di orientare la storia intorno al suo vero centro personale divino-umano: Gesù Cristo. La fede insegna sempre a non disprezzare nulla di ciò che è umano e a parlare ed agire sempre con forza divina. Riconosciamo, del resto, anche un’onda lunga nella storia, che con fatica e lentamente, ma misteriosamente, conduce l’umanità a tappe di ulteriore evoluzione, verso il suo fine di abitare in cieli nuovi e terra nuova. In secondo luogo dobbiamo guardare anche ai molti elementi di positività di un’antropologia spirituale che apra l’uomo, nei termini già accennati, ad una visione totale di se stesso, che è esperienza piena e dialogale di tutte le dimensioni che lo costituiscono proprio in quanto uomo: corporeità, psichicità, spiritualità. Bisogna stimolare, negli uomini di oggi, l’interesse per le domande fondamentali, per il senso ed il fine ultimo della vita, coinvolgendo al massimo tutte le agenzie educative perché aprano la mente e il cuore delle persone a questa "visione del mondo". Un dialogo interreligioso, che non porti all’impegno nel coinvolgimento e nell’educazione [11] della maggior parte di persone, correrebbe il rischio di passare sulle teste degli uomini del nostro tempo senza neppure sfiorare l'orizzonte della loro vita e, quindi, non darebbe i frutti sperati. In questo contesto possono giocare un ruolo fondamentale i mass-media. Infatti, i problemi affrontati dalle grandi testate giornalistiche diventano i problemi di ognuno, le immagini televisive costituiscono le tante piazze del villaggio globale, nelle quali quotidianamente una enorme massa di persone si incontra e si confronta con problemi ed eventi. Questa grandissima e decisiva influenza deve essere tenuta presente, per far sì che il dialogo sia alla portata di tutti, traducendo i contenuti ed i messaggi con i quali si vogliono raggiungere gli uomini e le donne del nostro tempo nei linguaggi nuovi delle televisioni e della stampa. La terza grande linea è quella antropologico-personalista: per una vera antropologia Dio non si pone come una alternativa dolorosa - o comunque limitante - all’uomo, ma come Colui che lo chiama e lo conduce alla massima espressione di sé. Una più approfondita antropologia, che non può essere solo studiata, ma deve essere anche vissuta, apre al Tu divino-umano di Gesù Cristo, e Lui ci conduce al Padre nel dono dello Spirito Santo, che opera la nostra vera e piena realizzazione. È una via ben percorribile dall’uomo moderno, purché diventi testimonianza e non solo insegnamento. Ma per questo occorre ricuperare il soggetto vivente, non già "l’idea di soggetto" : e qui il tema si coniuga con la pneumatologia. Cosa succederebbe - visto che siamo in tema di dialogo - se l’Oriente cristiano, con la sua pneumatologia più sviluppata, e l’Occidente cristiano, con il suo personalismo e l’identità della soggettività, cominciassero ad interagire? Di quanta ulteriore ricchezza e di quale carica costruttiva potrebbero caricarsi il dialogo tra cristiani e quello interreligioso in genere. La questione provvidenzialmente è ben presente nella coscienza ecclesiale dei nostri giorni. Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica Orientale Lumen, 7-8, delinea alcune preziose indicazioni che valgono anche nei confronti di un dialogo allargato ad altri ambiti oltre quello cristiano. ........"Se vogliamo evitare il rinascere di particolarismi e anche di nazionalismi esasperati, dobbiamo comprendere che l’Annuncio del Vangelo (che coincide con il nostro porci di fronte all’Altro e, quindi con la nostra capacità di dialogo) [12] deve essere, ad un tempo, profondamente radicato nella specificità delle culture ed aperto a confluire in una universalità che è scambio per il comune arricchimento ...... Spesso oggi ci sentiamo prigionieri del presente : è come se l’uomo avesse smarrito la percezione di far parte di una storia che lo precede e lo segue ...... Dobbiamo mostrare agli uomini la bellezza della memoria, la forza che ci viene dallo Spirito e ci rende testimoni perché siamo figli di testimoni" Si tratta di una bellezza e di una forza dalle quali promana l’armonia del vivere che non potrà mai essere generata dalla divisione, dall’equivoco, dalla confusione, dal disordine, dall’assurdo, dalla dissipazione, dalla dispersione, dall’immoralità. L’armonia è frutto e nello stesso tempo presupposto di un dialogo autentico. Armonia, non è identità, ma integrazione di diversità in dialogo; essa non è soltanto vicinanza di menti, ma rispetto, solidarietà, donazione, immolazione per l’altro. Armonia è saper convivere, saper amare, saper rispettare, attendere, comprendere, aiutare, perdonare l’altro. Mirabile armonia operata da Dio quando il nostro cuore, facendo esperienza della sua misericordia, accoglie la sua salvezza e la sua verità. Senza di essa, nessun dialogo sarà mai possibile né fecondo. Ognuna delle affermazioni e delle riflessioni che hanno accompagnato questo percorso è frutto di una presa di coscienza. Esse proclamano lo splendore della verità, accolto e riconosciuto dalla coscienza intesa come nucleo in cui si fonda la decisione vitale e morale dell’uomo, sulla presunta autonomia della libertà senza limiti. Penso, per concludere, di non poter tacere su quel dialogo senza parole, intessuto dal silenzio e dalla preghiera, che va a toccare le profondità dell’uomo. Penso alla presenza di Cristo, nascosta e silenziosa ma viva, in ogni tabernacolo del mondo - che è anche il cuore di ogni cristiano - vittima d’amore senza parole, perché è una Parola vivente scaturita dalle profondità del Padre, attraverso il sì di una Madre, che ha riaperto le porte del cielo e continua a mantenere i cieli aperti e a riversare sul mondo misericordia e benedizione. (1).
Si tratta dell’uomo
visto nella totalità del suo essere, dalla quale non si può prescindere,
pena forme più o meno gravi di alienazione, i cui aspetti cambiano a
seconda dei versanti trascurati o ipersviluppati. Un esempio del nostro
tempo : la cosiddetta "realtà virtuale" sperimentata attraverso
le applicazioni telematiche. Essa, oltre a rappresentare una pericolosa
fuga dalla realtà, che, particolarmente in soggetti psicolabili può
generare dipendenza al pari della droga, produce una mentalità che dà
alla mente una importanza maggiore che al corpo ed alle costruzioni
mentali una importanza maggiore che alle realizzazioni fisiche. Il
pericolo più evidente è la perdita di una sensibilità equilibrata per
la fattibilità
delle cose. |