La
Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani è un appuntamento
annuale benvenuto, che speriamo venga
colto e vissuto anche nel nostro paese (lo è in tutto il mondo
cristiano) dal maggior numero possibile di chiese, gruppi, comunità,
singoli credenti.
Speriamo
che vi siano tanti incontri, cioè che si
preghi insieme. Ma speriamo che anche là
dove non ci sono incontri, ci siano ugualmente le preghiere. Si può
pregare anche da soli, "nella propria cameretta" (Matteo
6,6). La Settimana è un appuntamento. Con che cosa? Con
la preghiera per l'unità, che speriamo viva, intensa, convinta, non
rituale, formale, scettica.
A
guardar bene, anche questa preghiera è un appuntamento. Con che
cosa? Con la promessa dell'unità fatta da Dio, alla quale anche Gesù
si è appellato: "che siano tutti
uno". Una promessa impossibile, se non la
facesse Dio. Solo Dio è uno, cioè
non diviso. Il resto è divisione, in tutti i campi e in tanti modi,
anche all'interno delle istituzioni nelle quali ufficialmente siamo
uniti.
Ci
sono, certo, unità parziali (religiose, politiche, tribali,
nazionali, sportive, ecc.), ma non c'è mai l'unità di tutti. Quando
siamo uniti, manca sempre qualcuno. Quasi
non c'è unità che non significhi anche, per altri, divisione.
Immersi come siamo in tante divisioni (senza che - sovente - neppure
ce ne accorgiamo), ci aggrappiamo alla
promessa impossibile dell'unità che Dio rende possibile. La
preghiera per l'unità è questo aggrapparsi alla promessa dell'unità,
cioè a Dio stesso, perché l' unità è
essere uniti a Lui. Pregare per l'unità significa pregare che Dio
sia la nostra unità, e così, perché uniti a Lui, "siamo
tutti uno".
Che
dire, ora, dell'unità fra i cristiani? A che punto siamo dopo un
secolo di ecumenismo? Tanti progressi
sono avvenuti, le chiese hanno persino sottoscritto una "Carta
Ecumenica" comune, eppure per certi aspetti siamo ancora al
punto in cui si era cent'anni fa. Il movimento avanza nelle
coscienze ma non smuove le istituzioni.
Il
popolo ecumenico è una realtà trasversale attraverso le chiese e
le confessioni, che però continuano imperterrite a non riconoscersi
a vicenda come chiese di Cristo, a non praticare l'ospitalità
reciproca alla mensa del Signore, a fare da sole tante cose che
potrebbero essere fatte insieme, a non vivere bene, cioè
in una sana dialettica fraterna, i loro conflitti, che non mancano.
Il tema della Settimana di quest'anno illumina bene questa
situazione. Il tema è: "Un tesoro in vasi di terra" (2
Corinzi, 4,7). Il tesoro, ovviamente, è l' Evangelo,
i vasi di terra siamo noi, la chiesa, le chiese, lo stesso apostolo
Paolo.
Anche
il movimento ecumenico è un vaso di terra,
oscuro e fragile. Non è glorioso né potente. Ma
racchiude un tesoro. Il tesoro non è il movimento, è la speranza
che lo anima, la forza che lo muove, la promessa alla quale si
richiama e che suscita la sua preghiera. Ma
questa promessa - impossibile eppure possibile - è veramente
creduta, presa sul serio come promessa di Dio, capace quindi di
mobilitare le chiese e le persone o invece è una promessa che
onoriamo sì con le labbra ma il nostro cuore è lontano da lei?
"Se credi hai, se non credi non
hai" diceva Lutero. Se non c'è fede, non c'è nulla, cioè
c'è solo apparenza. Se non c'è fede, il
rito - anche quello della Settimana di preghiera - è disperatamente
vuoto. Se non c'è fede, non succede
nulla. Se c'è fede, fede nella promessa,
tutto è possibile.
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