Bruno
Forte, Teologhe in Europa oggi
Arcivescovo
di Chieti-Vasto, Presidente della
Commissione Episcopale per la Dottrina
della Fede, l’Annuncio e la Catechesi
la Catechesi
(Intervento al Convegno
Teologhe: in quale Europa?. Roma 30 Marzo
2006)
La questione che attraversa per
intero il nostro presente in Europa è la
questione dell’altro: tramontata
l’epoca dell’ebbrezza dell’identità
unica, propria dei mondi ideologici e dei
loro blocchi contrapposti, è la
differenza ad emergere, al di là di ogni
semplicistico calcolo di unificazione
meramente economica e di ogni operazione
culturale falsamente omologante. Dal
rapporto Est - Ovest nella nuova scena
mondiale, a quello fra il Nord e il Sud
del pianeta, fino alla sfida delle
relazioni fra le radici culturali
permanenti e le nuove presenze legate ai
flussi immigratori, è la questione
dell’altro, delle sue potenzialità,
della sua accoglienza, della sua diversità
e delle relazioni a cui chiama, quella
che pervade oggi il continente europeo.
La questione dell’altro non è
nuova alla coscienza dell’Occidente:
essa è per eccellenza la questione
dell’anima ebraica, aperta
all’ascolto dell’alterità
inquietante della Trascendenza e proprio
così alla sfida della differenza. Lo
attesta la deliziosa risposta che
l’auto-ironia ebraica dà alla domanda
su che cosa faccia un ebreo naufrago su
un’isola deserta: costruisce,
ovviamente, due sinagoghe di frasche,
l’una che frequenterà e l’altra,
dove non metterà mai piede per tutto
l’oro del mondo. Il pensiero ebraico ha
bisogno del “conflitto delle
interpretazioni” come dell’aria per
respirare: e questa diversità è figlia
del riconoscimento dell’altro.
La questione dell’altro è però
anche la vera questione cristiana, se si
pensa come la fede in Cristo si fondi
sull’accoglienza del divino Straniero
venuto fra noi. Perciò il cristianesimo
è per sua natura radicalmente
anti-idolatrico e afferma la sua identità
nella misura in cui accetta di restare
appeso alla Croce del Figlio e di vivere
con Lui il primato della carità in ogni
rapporto, perfino nell’ora
dell’abbandono e della solitudine.
L’inseparabilità dei due amori, per
Dio e per il prossimo, è per questo il
cuore del “comandamento nuovo”.
La questione dell’altro è
infine semplicemente la questione umana,
in quanto è l’altro che ci fa esistere
come persone, perché col solo fatto di
esserci chiama ciascuno all’esodo da sé
senza ritorno in cui perdendosi ciascuno
potrà ritrovarsi. “È visibile un
volto?” - si chiede Edmond Jabès, il
filosofo del riconoscimento dell’alterità.
E risponde: “Forse è proprio
attraverso la sua originaria invisibilità
- quella del volto di Dio - che tentiamo,
invano, di interrogarne i tratti. La
verità del volto è quella di
un’assenza pazientemente modellata” (Uno
straniero con, sotto il braccio, un libro
di piccolo formato, Milano 1991, 42).
Lo sguardo sul volto d’altri è scuola
di una continua scoperta, di un’attesa
sempre di nuovo abitata.
Ed insieme, l’Altro sta già in
te che ti mostri, in te che ti esprimi.
Spesso, perciò, è la solitudine la
scuola dell’altro, il luogo
dell’Assente. “La solitudine -
afferma Massimo Cacciari - è ospitale.
È ospite di un pensare-immaginare
rivolto all’Infinito-Altro, che mira,
cioè, all’ultimo, laddove sa
di naufragare” (Hospes. Il volto
dello straniero da Leopardi a Jabès,
a cura di Alberto Folin, Marsilio,
Venezia 2003, 131). Nella solitudine
pensosa riscopri l’altro che è in te,
l’altro di cui hai bisogno per vivere,
la reciprocità come pane della tua
anima. È così che ti rendi conto di
quanto l’altro ti riveli a te stesso:
in verità, è l’altro, con la sua
differenza, a consentirti di scorgere il
profilo della tua identità. Perciò,
ciascuno nega se stesso quando nega
l’altro: “il razzista è colui che
nega se stesso per quello che è” (E.
Jabès, Uno straniero..., o.c.,
25). La reciprocità ospitale è la verità
del nostro essere e volerci umani.
In questa reciprocità il
penultimo rivela l’ultimo e le
profondità del mistero si incontrano:
“Dio - scrive Jabès - in permanenza ha
libero accesso a casa mia. Perché lo
straniero, fratello spogliato di tutto,
non dovrebbe averlo?” (Uno
straniero..., o.c., 130).
Questione dell’altro e questione di Dio
si coappartengono, unite e separate al
contempo da una soglia che fa del volto
d’altri la traccia dell’Ultimo, lo
sfolgorio del Suo abisso.
Farsi
testimoni e umili custodi dell’Altro,
che si affaccia nello straniero,
nell’ospite, nel diverso: è quanto mi
sembra venga chiesto oggi ai cristiani
nell’Europa di inizio millennio. Ed è
proprio qui che può situarsi in maniera
significativa il contributo di una
teologia di genere, pensata da teologhe
al servizio di tutti: essa non è solo
un’educazione – pur sempre necessaria
– a resistere all’oblio dell’alterità
e a scuotere l’indifferenza per
l’altro; essa può offrire oggi più di
prima il dono di un pensiero che sia
veramente custode dell’Altro, apologia
della reciprocità di cui tutti abbiamo
bisogno per vivere ed essere pienamente
umani.
È
la teologia che questo Convegno di
teologhe, provenienti da varie parti
d’Europa, potrà stimolare sempre più
al servizio della comune casa europea:
una teologia che educhi a resistere
all’oblio dell’umano che è in noi e
che ci ricordi che potremo veramente
ritrovarci solo riconoscendoci
nell’altro, lo straniero, l’ospite,
la donna, l’uomo, fino ad accoglierlo
come fratello/sorella in umanità, uniti
davanti al Mistero. Una teologia, che
proprio per questo rimetta al centro il
Dio che è amore, quale lo ha presentato
nella Sua prima, bellissima Enciclica
Papa Benedetto XVI, e che aiuti così a
costruire insieme a tutti un cammino di
verità, di dialogo, di giustizia e di
pace, mostrando credibilmente agli altri
la Chiesa
che amiamo quale casa e scuola della
comunione, popolo della carità che viene
da Dio e che apre al Dio, che è in se
stesso reciprocità: il Dio Trinità, che
è Amore.