Roma. Anche se «l'obiettivo della piena unità» tra cattolici e protestanti «non è
ancora stato raggiunto», non mancano i segni di speranza. Lo ha ribadito ieri il Papa,
ricevendo in udienza un gruppo ecumenico di cattolici ed evangelici della Germania. Nel
suo discorso in tedesco Giovanni Paolo II ha sottolineato: «Non siamo più estranei, ma
fratelli». E lo testimoniano fatti significativi come la storica e ancora recente
dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione o quelli che il Pontefice ha
definito «segni profetici» di alto respiro ecumenico sperimentati durante il grande
Giubileo dello scorso anno. Se l'unità non è vicina, non per questo non si deve andare
avanti con tenacia in un dialogo animato «dall'amore per la verità» e «dal rispetto e
dalla stima per l'interlocutore», che permetta di superare le contrapposizioni ancora
esistenti.
Il gruppo di teologi cattolici e protestanti, una quarantina in tutto, si ispira proprio
a questi principi. Fu fondato, infatti, all'indomani della fine della II Guerra mondiale
dal cardinale Lorenz Jäger e dal vescovo luterano Wilhelm Stälhin. E anche oggi è
presieduto in comune, dal cardinale Karl Lehman e dal presule evangelico Hartmunt
Löwe.
Il Papa li ha ringraziati per aver voluto incontrarlo in occasione della conferenza che il
gruppo ha organizzato in questi giorni a Roma. E proprio in riferimento a questo fatto ha
sottolineato: «Intravedo un segno di speranza nella vostra scelta di Roma quale luogo per
la conferenza: forse un giorno con un dialogo paziente si riuscirà a trovare insieme una
forma nella quale il ministero petrino possa realizzare un servizio alla verità e
all'amore riconosciuto dagli uni e dagli altri».
Ai suoi ospiti, inoltre, Giovanni Paolo II ha augurato di continuare ad essere «pionieri
dell'ecumenismo», come lo furono i fondatori del gruppo. «Confido - ha concluso - che
continuiate a restare consapevoli della vostra origine, per contribuire anche in futuro,
quale laboratorio dell'ecumenismo, alla realizzazione dell'unità».
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