La Settimana di preghiera per
l’unità dei cristiani di quest’anno riunisce due
temi, due inviti estesi alle chiese e al popolo
cristiano: pregare ed impegnarsi insieme per
l’unità dei cristiani, e, nello stesso tempo,
unirsi per dare una risposta alla sofferenza
umana. Queste due responsabilità sono
profondamente inter-connesse. Entrambe si
riferiscono alla guarigione del corpo di Cristo,
per questo motivo il testo scelto come tema
della Settimana narra di una guarigione.Marco
7, 31-37 racconta come Gesù guarì un uomo
sordomuto. Gesù lo condusse lontano dalla folla,
per parlare con lui da solo. Egli pose le sue
dita sugli orecchi dell’uomo, sputò e toccò la
lingua dell’uomo dicendogli: “Effatà!”, cioè
“Apriti!”, una parola spesso usata nel rito del
battesimo cristiano. La buona novella proclamata
in questo racconto ha molte dimensioni. Come in
molti altri brani evangelici, anche in questa
storia di guarigione, vediamo la risposta
compassionevole di Dio di fronte alla sofferenza
umana. È una prova eloquente della misericordia
di Dio. Nel restituirgli l’udito e la capacità
di parlare, Gesù manifesta la potenza di Dio e
il suo desiderio di portare l’umanità alla
pienezza, realizzando la promessa di Isaia:
“Allora i ciechi riacquisteranno la vista e i
sordi udranno di nuovo. Allora lo zoppo salterà
come un cervo, e il muto griderà di gioia” (Is
35, 5-6). Il dono dell’udito rende l’uomo capace
di ascoltare la buona novella proclamata da Gesù;
il dono della parola gli permette di proclamare
agli altri ciò che ha visto e udito. Queste
dimensioni si ritrovano nella reazione di quelli
che sono stati testimoni della guarigione:
“Tutti erano molto meravigliati e dicevano: ‘È
straordinario! Fa sentire i sordi e fa parlare i
muti!’” (Mc 7, 37).
Come l’uomo guarito da Gesù, anche noi tutti,
battezzati in Cristo, abbiamo ricevuto l’“Effatà!”
del vangelo. Nella Prima Lettera di Giovanni si
parla della comunione di quanti hanno ricevuto
la buona novella: “La Parola che dà vita
esisteva fin dal principio: noi l’abbiamo udita,
l’abbiamo vista con i nostri occhi, l’abbiamo
contemplata, l’abbiamo toccata con le nostre
mani” (Gv 1, 1). Era desiderio del Signore (cf
Gv 17) che i suoi discepoli, che avevano
ricevuto il suo messaggio, fossero una cosa
sola, in un’unità radicata nella sua comunione
con il Padre e con lo Spirito Santo. Come corpo
di Cristo la Chiesa è chiamata ad essere una,
cioè la comunità che ha udito e visto le
meraviglie operate dal Signore, e che è stata
inviata ad annunziarle fino ai confini della
terra. Come corpo di Cristo siamo chiamati ad
essere uniti nel compiere questa missione. Parte
di questa missione consiste nel prendersi cura
di quanti soffrono e sono nel disagio. Come Dio
ha ascoltato il pianto e compreso la sofferenza
del suo popolo in Egitto (cf Es 3, 7-9), come
Gesù ha risposto con compassione a coloro che
gli chiedevano aiuto, così anche la chiesa deve
ascoltare la voce di quanti soffrono, rispondere
con comprensione, dare voce a chi non ha voce.
Facendo convergere i due aspetti della missione
della chiesa, la Settimana di preghiera di
quest’anno intende sottolineare la connessione
essenziale fra l’impegno di pregare per l’unità
dei cristiani e le iniziative per rispondere
alle necessità e alle sofferenze umane. Lo
stesso Spirito che ci rende fratelli e sorelle
in Cristo ci dà anche la capacità di tendere le
braccia e raggiungere ogni essere umano nella
necessità. Lo stesso Spirito che vivifica ogni
nostra opera per rendere visibile l’unità fra i
cristiani, ci dona anche la forza per rinnovare
la faccia della terra. Ogni piccolo sollievo
alla sofferenza umana rende la nostra unità
ancor più visibile, ogni passo verso l’unità
rafforza l’intero corpo di Cristo.
Origine del materiale di preghiera della
Settimana
Quest’anno il tema della Settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani ha origine
dall’esperienza delle comunità cristiane della
regione di Umlazi, vicino a Durban, in Sud
Africa. Ogni anno la prima bozza del testo per
la Settimana di preghiera è preparata da un
gruppo locale, poi rielaborata per l’uso
internazionale, distribuita in tutto il mondo e
quindi adattata ai diversi contesti locali. Il
materiale riflette l’esperienza che sta a cuore
ad un popolo che ha dovuto sopportare una
grandissima sofferenza.
Umlazi è stata fondata, originariamente,
sotto il regime apartheid come sobborgo per la
gente di colore (township). Il retaggio
del razzismo, della disoccupazione e della
povertà continua a provocare situazioni
terribili alla popolazione, che ancora soffre
della scarsità di scuole, ospedali, case
adeguate. Il contesto di disoccupazione e
povertà dà origine ad un alto tasso di
criminalità e a problemi di abuso all’interno
delle famiglie e delle comunità. Ma la sfida
grande che la popolazione della township
e degli insediamenti precari deve affrontare è
quella dell’AIDS. È stato calcolato che il 50%
della popolazione di Umlazi ne è infetta.
In un recente incontro, i capi della varie
comunità cristiane di Umlazi si sono chiesti che
cosa potessero fare insieme per combattere ciò
che affligge la popolazione. Essi si sono
accorti che un motivo di aggravio della
situazione è il marchio che impedisce alle
persone che hanno sofferto abusi, alle vittime
di violenze o a malati affetti da AIDS, di
parlare dei loro problemi. Vi è una mentalità
culturale che suggerisce di non parlare di temi
legati alla sessualità. Nella lingua Zulu il
termine ubunqunu, letteralmente “nudità”,
indica che questi argomenti sono tabù. Come
risultato molte persone esitano a chiedere
assistenza - che sarebbe disponibile, spesso
proprio a livello ecumenico, attraverso le
chiese locali - di direzione, di cura pastorale,
di assistenza domiciliare, dei centri di
supporto comunitario e di cura della salute.
In ragione di questa situazione, dei modi
detti o non detti in cui la popolazione,
soprattutto i giovani, sono indotti a permanere
in questo stato di silenzio, i capi delle chiese
locali di Umlazi hanno organizzato una
celebrazione ecumenica centrata sul tema del
“rompere il silenzio”. La celebrazione invitava
i giovani di Umlazi a trovare il coraggio di
dire l’“indicibile” e a chiedere assistenza,
consci che mantenere il silenzio può significare
la morte.
L’invito a rompere il silenzio si estende
anche alle chiese fuori dal Sud Africa, nelle
regioni pesantemente colpite dall’AIDS. Nessuna
guerra nella storia ha mietuto tante vittime
quanto l’AIDS. Sebbene molte organizzazioni,
regioni e chiese abbiano cercato di dare
sostegno alle regioni devastate dall’epidemia di
AIDS, purtroppo i risultati non sono stati
proporzionati alle aspettative.
Nel 1993, durante la V assemblea mondiale di
Fede e Costituzione, il vescovo Desmond Tutu ha
ricordato ai partecipanti che, durante l’apartheid,
i capi di chiese hanno imparato come “l’apartheid
fosse troppo più forte di una chiesa divisa”.
Oggi, nell’affrontare l’epidemia dell’AIDS e di
altre realtà disumanizzanti, si riconosce che
anch’esse sono troppo più forti di una chiesa
divisa. A Umlazi vi è un tribunale, un ospedale,
un ufficio postale, una clinica, una serie di
negozi, e un cimitero, che riflette la pressante
prova che le persone devono affrontare. Nella
stessa township le persone, quasi tutte
cristiane, accettano le Scritture, le quali
affermano che c’è un solo corpo, un solo
Spirito, una sola speranza, un solo Signore, una
sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e
Padre di tutti (cf Ef 4, 4-6). Eppure ci sono
molte chiese che non sono in piena comunione fra
loro, e che rimangono segno di una cristianità
divisa. A Umlazi si prova insofferenza e
frustrazione per una divisione generata molti
secoli fa in un’altra terra - come descritto
nella appendice IV sulla situazione in Sud
Africa fornita dal gruppo locale.
Nell’incontro fra il rappresentante del
gruppo di Umlazi e la Commissione preparatoria
internazionale, essi hanno riflettuto sulla
ricerca della piena unità visibile fra le chiese
cristiane alla luce dell’esperienza dei
cristiani di Umlazi e del loro invito a “rompere
il silenzio” che opprime e isola le persone
nella loro sofferenza. Insieme hanno selezionato
il brano di Marco 7, 31-37 come testo biblico
centrale per la Settimana di preghiera, e hanno
determinato un quadro biblico-teologico sul tema
dell’ascoltare, del parlare e del silenzio,
all’interno del quale sia la ricerca dell’unità
che la ricerca di una risposta cristiana alla
sofferenza umana, trovino spazio. È stata presa
la decisione di mantenere questo duplice fuoco
sia nella celebrazione liturgica che nei
commenti per ciascuno degli otto giorni,
indirizzando intenzionalmente, in ciascun testo,
entrambe: la sofferenza umana e la
ricerca della piena visibile unità fra tutti i
cristiani.
Gli otto giorni
Il Libro della Genesi inizia presentando la
parola creativa di Dio. Dal caos, rompendo il
silenzio, la parola di Dio si manifesta. È una
parola viva, che realizza ciò che proclama, e
proclama la vita. Dio parla e la
creazione viene all’esistenza. Dio parla e gli
esseri umani vengono creati a sua immagine e
somiglianza. Dio parla nella storia e gli esseri
umani sono invitati ad un’alleanza con lui.
Anche il vangelo di Giovanni comincia con la
parola di Dio e proclama il cuore della fede del
Nuovo Testamento quando annuncia che: “Colui che
è ‘la Parola’ è diventato un uomo ed è vissuto
in mezzo a noi uomini” (Gv 1, 14). Gesù Cristo,
Verbo incarnato, parla di Dio stesso. Durante il
suo ministero, Gesù parla in molti modi, qualche
volta anche attraverso il silenzio (come con
Ponzio Pilato). La parola proferita da Gesù è
sempre una parola di misericordia, una parola
che conduce i suoi ascoltatori ad una vita più
profonda, una vita di comunione con Dio e con
gli altri. Questa lieta novella viene
proclamata, a sua volta, dalle parole e dalle
opere di tutti coloro che sono battezzati nel
nome del Dio Trinitario. Solo nella potenza
dello Spirito Santo i cristiani sono in grado di
ascoltare e rispondere alla chiamata di Dio.
Dal primo al terzo giorno viene presentata la
prospettiva trinitaria. Il primo giorno
invita a riflettere sulla parola creativa di Dio
pronunciata in principio e continuamente
proferita. Quanti sono creati a sua immagine e
somiglianza sono chiamati a fare eco
pronunciando una parola creativa ed efficace nel
caos dell’oggi. La meditazione del secondo
giorno invita a ponderare che cosa
significhi essere un seguace di Gesù Cristo, il
Verbo incarnato, che fa sentire i sordi e
parlare i muti. Il terzo giorno medita
sull’opera dello Spirito Santo nella vita dei
cristiani, che rende capaci sia di proclamare la
lieta novella, sia di essere strumenti della
presenza guaritrice di Cristo, ascoltando e
dando voce a coloro che sono stati ridotti al
silenzio e non hanno potuto narrare la propria
storia.
L’intrinseca relazione fra la promozione
dell’unità e la risposta alla sofferenza umana
viene chiaramente alla luce nella riflessione di
san Paolo sulla Chiesa come corpo di Cristo:
“Siamo stati battezzati con lo stesso Spirito
per formare un solo corpo” (1 Cor 12,13). Cristo
ci ha resi uno. Le nostre divisioni ostacolano e
diminuiscono la nostra unità. Ma non la
distruggono, perché tutti apparteniamo a Cristo,
ogni parte del suo corpo ha bisogno delle altre,
deve prendersi cura delle altre: “Se una parte
soffre, tutte le altre soffrono con lei”(1 Cor
12, 26). Il quarto giorno ci interroga su
che cosa significhi essere una comunità unita in
Cristo, una comunità in piena solidarietà con le
sue parti sofferenti.
Il quinto e sesto giorno si soffermano sul
tema proposto dalle chiese di Umlazi: la fine
del silenzio degli oppressi. Coloro che soffrono
spesso sono lasciati soffrire in silenzio, e la
loro speranza di giustizia e compassione rimane
disattesa. Ci sono momenti in cui i cristiani e
le chiese sono rimasti in silenzio davanti al
dolore, mentre avrebbero dovuto parlare; ci sono
state volte in cui non hanno aiutato i muti a
parlare. Ci sono state circostanze in cui le
divisioni fra le chiese hanno impedito di
ascoltare il dolore del prossimo, o hanno
lasciato la risposta velata, conflittuale,
inefficace, non consolatrice (quinto giorno).
Questo è peccato, se non altro perché alle
chiese è stata data voce, è stato dato un
messaggio da proclamare, una missione da
compiere; non un messaggio divisivo, non una
missione conflittuale. Vivificata dallo Spirito
Santo, vi è una sola coerente manifestazione: la
buona novella dataci da Cristo stesso. In Cristo
abbiamo la grazia di rompere il silenzio. In
Cristo siamo la comunità che deve dire ai muti e
ai sordi: “Apriti!”. Il cammino verso la fedeltà
e l’integrità richiede che noi cristiani
combattiamo e preghiamo per l’unità per la quale
Cristo ha pregato, e, malgrado le nostre
divisioni, impariamo a parlare con un’unica
voce, per esprimerci come unico corpo con
compassione, dando vita alla buona novella che
proclamiamo (sesto giorno).
La salvezza e la resurrezione di Cristo sono
il cuore della parola che Dio pronuncia per
l’umanità. Il settimo giorno si riflette
sulla Croce di Cristo alla luce dell’esperienza
di sofferenza e morte, a Umlazi e in tante altre
regioni. Vivendo nella valle della morte, ove la
sofferenza supera ogni misura, in mezzo a
cimiteri dove i morti sono spesso sepolti uno
sopra l’altro, la popolazione di Umlazi conosce
e comprende la desolazione della croce di
Cristo. Nella fede, essi sanno anche che Cristo
non ha posto una distanza fra lui e il peso
dell’umana sofferenza, e che più ci avviciniamo
alla sua sofferenza, più ci avviciniamo gli uni
agli altri. È una proclamazione particolarmente
profonda di resurrezione, che si alza dai
cimiteri stessi, quando durante le prime ore
dell’alba del giorno di Pasqua, i cristiani si
radunano fra le tombe dei loro amati con le
candele accese e proclamano che Cristo è risorto
dai morti (ottavo giorno). Malgrado
divisioni e avversità, il mistero pasquale getta
un seme di speranza: tutto il silenzio
opprimente certamente scomparirà, e un giorno
ogni lingua si unirà nel confessare che Gesù
Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre! (cf
Fil 2, 11).
Conclusioni
Il tema biblico centrale per questo testo
della Settimana di preghiera per l’unità dei
cristiani, Marco 7, 31-37, racconta che Gesù
alzò gli occhi al cielo e fece un sospiro
prima di guarire l’uomo. San Paolo scrive ai
Romani che lo Spirito Santo accompagna le nostre
preghiere “con sospiri che non si possono
spiegare a parole” (Rom 8, 26). La frase di san
Paolo è evocativa del desiderio profondo che lo
Spirito sa coltivare nei nostri cuori e nelle
nostre menti: un desiderio per una piena unità
visibile fra tutte le chiese cristiane, un
desiderio per la fine della sofferenza umana.
Nella celebrazione di ciascuno degli otto
giorni, è stato indicato un principio
strutturale che incorpora il riferimento
esplicito sia al bisogno di pregare e operare
continuamente per l’unità fra le nostre chiese,
sia alle voci della popolazione di Umlazi e di
altre regioni il cui pianto si eleva ai cieli.
Coltiviamo la speranza che quest’anno la
Settimana di preghiera aiuti a rompere il
silenzio che opprime, e presti attenzione al
rapporto intrinseco fra preghiera e ricerca
dell’unità con la chiamata dei cristiani e delle
chiese a lavorare insieme come strumenti di
compassione e giustizia verso il mondo.
Preparazione del testo della Settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani 2007
Il materiale è stato elaborato, nell’attuale
forma, durante un incontro della Commissione
preparatoria internazionale nominata dalla
commissione Fede e Costituzione del Consiglio
ecumenico delle chiese e dal Pontificio
consiglio per l’unità dei cristiani. La
Commissione preparatoria si è riunita a Château
de Faverges, Haute-Savoie, Francia; la
Commissione esprime il proprio ringraziamento
per la professionalità e l’ospitalità dello
Staff che ha contribuito a sostenerne il
lavoro.
La bozza iniziale del testo è stata preparata
da un gruppo di laici, pastori e sacerdoti di
Umlazi-Bhekithemba, Sud Africa. La traccia è
stata ripresa da un culto ecumenico celebrato
presso il Comprehensive Technical High School
(COMTEC) a Umlazi. Durante questo culto
(organizzato su invito della scuola) clero e
laici di diverse tradizioni religiose si sono
radunati per rendere la loro unità in Cristo
visibile, e per offrire una comune testimonianza
di fronte alla sfida che sia i giovani studenti
sia l’intera società del Sud Africa si trovano
ad affrontare. Il gruppo locale ha anche fornito
lo schema dei testi biblici da utilizzare
durante l’intera Settimana.
La Commissione preparatoria internazionale
esprime il proprio ringraziamento al gruppo
locale del Sud Africa, composto da:
Canon L.L. Ngewu
Rev. Fr. Thamisanqua Shange OGS
Rev. Bruce Buthelezi
B. Buthelezi
Rev. Fr. Anton Mbili
Rev. S. Mosia
Mr. W.L. Luthuli
Mr. R. Mauze
Zamimpilo (progetto per infermieri professionali
HIV/AIDS, St. Philip, Enwabi)
Mrs. G. Phungula
La Commissione internazionale è grata a padre
Thami Shange OGS, per essersi unito a loro e
averne condiviso il compito, sia presentando
loro il materiale della prima bozza e le fasi
del processo preparatorio, sia portando alla
luce il materiale e la situazione in Sud Africa.
La Commissione desidera inoltre ringraziare il
vescovo David Beetge della diocesi di Highveld,
Brakpan, e il canonico Livingstone Ngewu,
College of the Transfiguration a Grahamstown,
Sud Africa, per la loro preziosa collaborazione.
****
Nota
I testi biblici riportati nel presente libretto
sono tratti da:
- Parola del Signore. La Bibbia. Traduzione
interconfessionale in lingua corrente per la
lettura. Nuova Versione, Elledici-Alleanza
Biblica Universale, Leumann-Roma 2000.