Impedire i ghetti con
la forza della persuasione
«Vogliamo una scuola fatta solo per
noi». Le parole di una mamma di via Quaranta, la scuola islamica
milanese da tempo al centro di polemiche, rivelano uno stato d'animo
diffuso tra i frequentatori di quello che è diventato un
luogo-simbolo dell'ideologia della «separatezza». La donna le ha
pronunciate durante l'assemblea che ha messo di fronte da una parte i
responsabili della Direzione scolastica regionale, dall'altra le
famiglie islamiche che mandano i figli all'istituto di via
Quaranta.
Alla fine di quell'incontro
sono purtroppo cadute nel vuoto le «offerte» fatte ai genitori
musulmani: inserimento dei ragazzi nelle scuole statali con la
garanzia di corsi di lingua e cultura araba, o in alternativa la
formula dell'istruzione paterna, che prevede la presa in carico della
formazione scolastica da parte della famiglia, con verifica finale del
ministero.
È prevalsa la linea
dei duri e puri, che vorrebbero continuare sulla strada del ghetto:
chiedono che il Comune di Milano metta a disposizione un edificio in
sostituzione di quello di via Quaranta, dichiarato inagibile. Una
scuola fatta solo per loro, e per i loro figli. Senza rischi di
contaminazione con tutto ciò che ritengono haram, impuro,
estraneo all'islam.
Vogliono che la loro scuola diventi paritaria, senza che vi siano le
carte in regola per chiedere il riconoscimento della parità. Le
stesse carte che vengono (giustamente) richieste a tutti coloro che si
candidano a entrare a far parte del sistema scolastico nazionale:
laici, cattolici, ebrei o musulmani che siano.
Anche i numeri hanno la loro importanza in questa quérelle. Le 200
famiglie di via Quaranta dimenticano, o fingono di dimenticare, che
6000 studenti arabofoni, quasi tutti musulmani, stanno già
frequentando le scuole di Milano (statali e non statali), e che in
tutta la Lombardia sono 19mila, quattromila in più dell'anno scorso.
Gente che affronta i problemi linguistici e culturali che questa
scelta porta con sé, senza pretendere un trattamento speciale in nome
della sua diversità etnica o religiosa. Accetta, cioè, le regole
dello stato di diritto secondo il quale tutti i cittadini sono uguali
di fronte alla legge. Forse è un'implicita, sana lezione di laicità,
quella che migliaia di famiglie di tradizione islamica stanno
silenziosamente impartendo agli irriducibili di via Quaranta, chiusi
nel loro fortino ideologico e timorosi di spingersi nel mare aperto
del confronto con le culture «altre».
La difesa dell'identità, che sta loro molto a cuore, non significa
guardarsi allo specchio, ma rischiare il confronto con chi ci vive
accanto a partire da quanto abbiamo di più caro. Solo accettando di
rapportarsi con l'ambiente circostante si possono generare
personalità mature: questo è il sale di ogni processo educativo. Non
può esserci un «io» senza un «tu» con cui misurarsi.
C'è da augurarsi che, sottraendosi alla logica di chi vuole
strumentalizzarli per fini ideologico-politici, la stragrande
maggioranza dei genitori di via Quaranta accetti infine di mandare i
figli nelle scuole statali come è stato loro proposto. Se non lo
faranno, si metteranno fuori dalla legge commettendo il reato di
evasione dell'obbligo scolastico. Ma soprattutto priveranno tanti
bambini del piacere di crescere, studiare e giocare insieme ai loro
coetanei italiani. Difficile diventare grandi restando chiusi in un
ghetto.