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Prove di dialogo tra la Chiesa e i 138
studiosi islamici
Si
apre oggi un incontro tra il dicastero vaticano per il dialogo interreligioso ed
una rappresentanza dei firmatari della lettera “Una parola comune tra noi e
voi”. Un colloquio di grande rilievo, preparatorio ad un colloquio degli
islamici con Benedetto XVI.
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Cercare le vie per “affermare i valori del reciproco
rispetto, solidarietà e pace”, guardando a ciò che unisce, senza nascondere ciò
che divide. È l’obiettivo di fondo del colloquio tra cristiani e musulmani
auspicato nella lettera scritta il 13 ottobre 2007 da 138 studiosi musulmani
ai
leader cristiani, alla quale oggi fa seguito un primo incontro in Vaticano tra
alcuni firmatari del documento ed il Pontificio consiglio per il dialogo
interreligioso.
Si tratta di un colloquio di grande rilievo, e che è preparatorio ad un incontro
che alcuni dei firmatari islamici dovrebbero avere con lo stesso Benedetto XVI,
il quale, rispondendo al documento dei musulmani, in una lettera del 29 ottobre
a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, esprime
“gratitudine” e “profondo apprezzamento” per l’iniziativa e “per la chiamata a
un impegno comune per promuovere la pace nel mondo”. “Senza ignorare o
sottovalutare le nostre differenze come musulmani e cristiani - scriveva ancora
- possiamo e dobbiamo guardare ciò che ci unisce, la fede in un unico Dio,
Creatore provvidenziale e Giudice universale che alla fine del tempo giudicherà
ogni persona secondo le azioni da questa compiute. Siamo chiamati – prosegue -
ad affidarci totalmente a Lui e ad obbedire alla Sua sacra volontà”.
Il gruppo degli studiosi islamici è rappresentato da Abdel Hakim Murad Winter
della University of the Muslim Academic Trust (Regno Unito), Aref Ali Nayed, già
docente del Pontificio istituto di studi arabi e orientali (Pisai), Sergio Yahya
Pallavicini del Coreis (Italia), Ibrahim Kalin della Seta Foundation di Ankara e
Sohail Nakhooda, giordano, direttore di Islamica Magazine, il periodico che,
pubblicando il 15 ottobre 2006 una
lettera di 138 studiosi musulmani in risposta
alla lezione di Benedetto XVI a Regensburg, può essere considerato l’apripista
musulmano del dialogo.
Dialogo non facile. La lettera dei 138, intitolata “Una parola comune tra noi e
voi”, propone infatti sostanzialmente un dialogo teologico sui comandamenti
dell'amore di Dio e del prossimo, presenti sia nel Corano che nella Bibbia.
Benedetto XVI ha invece indicato le più concrete vie dei “diritti dell'uomo e
specialmente la libertà della fede e del suo esercizio”, come ebbe a dire,
proprio in un passaggio dedicato al dialogo con l’islam nel discorso alla curia
romana del 22 dicembre 2006.
La libertà religiosa, peraltro, dal punto di vista cattolico “è una delle
tematiche più delicate” e “anche fondamentale”, ha evidenziato oggi don Andrea
Pacini, consultore della Commissione per i rapporti religiosi con i musulmani al
Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. Intervistato da Radio
Vaticana, don Pacini ha detto che “tra l’altro, all’interno del mondo musulmano
contemporaneo, anche recentemente abbiamo assistito a delle spinte
diversificate”. Da una parte il Qatar, con “una grande apertura” che “ha portato
alla concessione di spazi alle diverse Chiese cristiane per la costruzione di
edifici di culto e quindi l’uscita non solo dalla clandestinità, ma direi anche
addirittura il dono di terreni su cui costruire le chiese”. Dall’altra “non
prendere anche atto che in Algeria, ad esempio, soltanto due anni fa è stata
emanata una nuova legge che condiziona fortemente l’esercizio della libertà
religiosa. È soltanto di un mese fa la notizia dell’arresto di un prete
cattolico soltanto perché aveva condotto una preghiera all’interno di una
famiglia cattolica. Questa legge prevede, infatti, che si possa celebrare il
culto soltanto ed esclusivamente negli edifici ufficialmente riconosciuti come
tali dallo Stato. Il dialogo sarà, quindi, efficace in quanto passerà dalla
dimensione - che ci vuole - di carattere culturale alla traduzione in prassi
giuridiche che tutelino la libertà religiosa. Questo – ha concluso - mi sembra
il banco di prova e la verifica di efficacia di ogni percorso di dialogo”.
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