“Non casuale” l’uccisione di don Andrea Santoro
mentre l’Islam è in rivolta


Padre Andrea sottolineava di avere "trovato ovunque interesse e partecipazione e un sincero desiderio di capire e di allacciare legami di comunione. Ho sentito quanto sia importante e possibile a realizzarsi uno scambio di doni spirituali tra questi due mondi: il Medio Oriente, grande terra santa dove Dio ha deciso di comunicarsi in modo speciale all'uomo - osservava - ha le sue ricchezze e la sua capacità, grazie alla luce che Dio vi ha immesso da sempre, di illuminare il nostro mondo occidentale".
 

 

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Don Santoro spiegava così la sua missione: «Ci tirano sassi, non me ne vado: è Vangelo». E si era inventato il calendario triconfessionale
Luigi Accattoli, Fabrizio Caccia, sul Corriere della Sera 6 febbraio 2006

Da sei anni don Andrea Santoro viveva da solo a Trabzon, che una volta chiamavamo Trebisonda, città turca sul Mar Nero. Unico cristiano in un ambiente totalmente musulmano: solo la domenica aveva con sé una decina di cattolici, che per raggiungerlo dovevano percorrere decine e centinaia di chilometri. Viveva da solo tra i musulmani come Charles de Foucauld all’interno del Sahara e come Annalena Tonelli nel Somaliland e come loro è stato ucciso in circostanze che forse non verranno mai chiarite. «Potrebbe essere considerato un martire del dialogo interreligioso », dice il vescovo Vincenzo Paglia che l’aveva avuto compagno di studi. Sessant’anni, originario di Priverno in provincia di Latina, entrato in seminario a 11 anni dopo la morte del padre Gaetano, don Andrea aveva maturato lungamente, negli anni, la «vocazione» a farsi «ponte» e finestra» verso l’Islam. Nel 1968, inquieto sulla sua «vocazione», era andato in Terra Santa e vi era restato per quasi un anno, decidendosi infine a chiedere al cardinale Poletti di essere mandato «missionario» in Medio Oriente. Poletti gli rispose che anche l’Italia era ormai «terra di missione» e gli affidò la parrocchia di Gesù di Nazareth, in un quartiere della periferia romana ancora senza chiesa.

 Nel Duemila è tornato a bussare alla porta del cardinale vicario Ruini, che infine l’ha autorizzato a partire per la Turchia. Anche la Turchia per lui era una Terra Santa, «perché vi sono passati gli apostoli e vi è scorso il sangue dei martiri ». Gli amici romani che l’avevano aiutato a restaurare la chiesa dove è morto, ultimamente l’avevano chiamato a tenere una conferenza il 22 gennaio alla Sapienza. Lì don Andrea aveva «narrato» la sua idea di «fare da finestra, cioè da luogo di comunicazione e di incontro tra mondi lontani, tra Islam, Ebraismo e Chiese cristiane ».

Così, non a caso, aveva fondato l’associazione «Finestra per il Medio Oriente» (www.finestramedioriente.it). Apriva la sua chiesa ai visitatori musulmani due volte la settimana. Non si spaventava se i ragazzi del quartiere entravano di corsa a sputare sul pavimento e di corsa fuggivano e se la sera, quando scriveva agli amici lontani, sobbalzava al botto di un sasso o di una bottiglia di plastica piena d’acqua che qualche «bullo» lanciava contro la sua porta. «È gente buona», diceva ai visitatori. E ancora: «Stare qui è difficile ma è Vangelo. Dobbiamo essere come agnelli, seguendo l’insegnamento di Gesù». In una lettera dell’anno scorso alla diocesi di Roma, che si può leggere nel sito del Vicariato (www.vicariatusurbis.org), aveva scritto: «Il lievito, come dice il Vangelo, ha una sua capacità misteriosa di fermentare la pasta, se viene messo in contatto con essa. Che la nostra vita sia la cera che si consuma in totale disponibilità». Maddalena Santoro, la sorella più piccola, sceglie parole semplici: «Mio fratello era un missionario nel vero senso della parola. Per lui l'uomo era uno solo, gli uomini, cristiani o musulmani, sono uguali».

Sulla via del dialogo, il sacerdote aveva deciso un anno fa di aprire dalle 10 alle 11 di mattina e poi dalle 15 alle 16 le porte della chiesa anche ai musulmani. «Era per far vedere — spiega Maddalena — che le religioni sono uguali: i cristiani pregano ad un'ora e i musulmani ad un'altra, così come alcuni popoli parlano una lingua e altri un'altra. Ma l'incontro è possibile ». Era un prete così, don Andrea. S’era inventato pure il calendario triconfessionale, con le festività più importanti per i cattolici, i musulmani e gli ebrei. «Uno che quando diceva l’omelia, tu Gesù lo vedevi...», racconta commossa Beatrice Naso, una sua ex parrocchiana della chiesa di Gesù di Nazareth. Fu lui, nel 1988, a fondare dal nulla questa chiesa. Prima i fedeli del Forte Tiburtino, periferia est della capitale, si radunavano come carbonari in un modesto casotto condominiale adibito anche a deposito della spazzatura. Lui lottò con il Comune per otto anni, finché ottenne l’area per l’edificazione. Poi nel 2000 fu parroco nella chiesa dei Santi Flaviano e Venanzio. «Ma il suo sogno era sempre stato quello di fare il missionario », racconta da Latina la cugina Stella Picozza. E arrivò Trebisonda. Dalla Turchia, comunque, è sempre rimasto in contatto con i suoi parrocchiani di Roma. Mandava loro e-mail come queste: «Coraggio, andate avanti, non abbiate paura, fate come me». Ed ecco l’ultima: «Fate del vostro meglio, accumulate il Bene, il capitale poi lo troverete in Cielo». Una fede senza confini.

                                    

AsiaNews intervista il Vicario Apostolico per l'Anatolia                           torna su

Appare sempre più probabile la matrice islamica dell’assassinio di don Andrea Santoro: ne è convinto mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, il quale, raggiunto telefonicamente da AsiaNews, dice che “non sembra casuale” il fatto che l’assassinio sia avvenuto mentre l’intero mondo islamico è squassato dalle proteste per le vignette su Maometto.

“Stamattina – racconta – sono stato all’obitorio. Don Andrea è stato ucciso con due colpi: dopo il primo ha fatto in tempo a gridare ad un ragazzo che era in chiesa di nascondersi, il secondo colpo lo ha ucciso”.

Ci sono novità sull’assassino?

Sembra proprio che non fosse un ragazzo. Sia il giovane che era in chiesa che la volontaria romana che aiutava in parrocchia parlano di un adulto. Don Andrea era inginocchiato, chi ha sparato non è neppure dovuto entrare, si è fermato sulla porta, a 4/5 metri di distanza. Ha preso la mira ed ha sparato.

Si ha un’idea della matrice dell’assassinio? Si è ipotizzato un collegamento con le proteste per le vignette su Maometto o con una vendetta della criminalità per l’azione che don Andrea stava facendo a favore delle prostitute.

Sarei portato ad escludere la seconda ipotesi. Don Andrea era un moderato anche in questo e non credo che la sua azione fosse ad uno stadio così avanzato da provocare un’uccisione. Magari gesti intimidatori da parte della criminalità.

Allora ritiene possibile un collegamento con le proteste per le vignette su Maometto.

Il fatto che l’assassinio sia capitato proprio ora non mi sembra casuale; altrimenti sarebbe potuto accadere anche in un altro momento. D’altro canto anche qui c’è un’atmosfera calda, anche se non voglio dire surriscaldata. E anche qui ci sono islamisti fanatici.

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Più che scontro, vuoto di civiltà. Un martire per cancellare le vignette
Luigi Geninazzi, su Avvenire del 7 febbraio 2006

Adesso cercheranno di farlo passare per il gesto isolato di un folle o magari anche per un delitto di racket, dunque un episodio di criminalità che avrebbe un legame del tutto strumentale con il fondamentalismo, maschera grottesca di un povero squilibrato o di un killer spietato. Purtroppo si fa fatica a credere a una simile ipotesi. Temiamo piuttosto di dover vedere il marchio dell'odio e del fanatismo nel barbaro assassinio di don Andrea Santoro, compiuto al culmine di una giornata di proteste e di violenze nel mondo islamico per le caricature di Maometto apparse su alcuni giornali occidentali. Lo stesso giorno in cui il sacerdote cattolico di Trebisonda veniva ucciso a sangue freddo, a Beirut una folla inferocita metteva a ferro e fuoco il quartiere cristiano ed assaltava una chiesa. Evidentemente c'è chi vorrebbe cancellare l'inchiostro irridente se non blasfemo di alcune vignette addirittura con il sangue dei cristiani. Il che è orribile, anche perché sfugge ad ogni logica. Quel che sta avvenendo sotto i nostri occhi, per dirla con la famosa frase di Talleyrand, «è peggio di un crimine, è un errore».

Che nesso esiste infatti fra il giornale di Copenaghen che ha disegnato le caricature del Profeta ed i libanesi del quartiere cristiano Ashrafieh che domenica scorsa si recavano a messa? Chi mai può sospettare la minima complicità tra un vignettista scandinavo, laico e ultra-secolarizzato, ed un sacerdote cattolico? C'è una distanza abissale fra loro, non meno grande forse di quella che esiste tra un cristiano ed un musulmano. Coloro che teorizzano lo scontro di civiltà dovrebbero riflettere su questo paradosso e chiedersi come mai la lotta tra il fondamentalismo islamico e l'Occidente laico e secolarizzato faccia sempre più vittime tra i cristiani, colpiti a morte sul fronte della libertà religiosa.

Le "anime belle" della vecchia Europa scherzano sulla religione, rivendicano il diritto a «fare la caricatura di Dio» e parlano di libertà d'espressione. È in nome di questi principi di laicità che "la satira su Maometto" è dilagata negli ultimi giorni su quotidiani piccoli e grandi di mezza Europa. Una provocazione culturale, l'hanno definita orgogliosamente. In realtà una provocazione assai poco responsabile, che è servita solo a buttare olio sul fuoco della rabbia islamica. E in quest'incendio che divampa da giorni gli oltranzisti della laicità e del libero pensiero non si scottano neanche un dito, mentre a bruciare sono le vite di quei cristiani che vivono in posti di frontiera, divenuti ancora una volta segni di contraddizione.

Chi dà prova di coraggio, chi testimonia il valore infinito della libertà? Il religioso che, in spirito di dialogo, vive ogni giorno la propria fede in un Paese musulmano o l'intellettuale che scherza su Maometto vantandosi di appartenere ad una cultura superiore? Forse, più che ad uno scontro, stiamo assistendo ad un vuoto di civiltà.

L'Occidente, se davvero vuole reggere il durissimo confronto con l'islam, deve tornare alle sue radici, deve riscoprire parole come sacrificio e martirio senza le quali la libertà è solo una vuota pretesa. Don Andrea Santoro era andato in Turchia per essere presente in una terra che ha visto le origini del cristianesimo. Voleva bere a questa sorgente di civiltà, l'unica in grado di vincere l'odio e il fanatismo.

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"La morte di un cristiano chiama alla pace"

Meditazione di Andrea Riccardi nella veglia di preghiera in Santa Maria in Trastevere, il 6 febbraio 2006, in ricordo di don Andrea Santoro, sacerdote romano, ucciso barbaramente a Trebzon, in Turchia, al termine della celebrazione liturgica

«Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini; perché vi metteranno in mano ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per servire di testimonianza davanti a loro e ai pagani. Ma quando vi metteranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come parlerete o di quello che dovrete dire; perché in quel momento stesso vi sarà dato ciò che dovrete dire. Poiché non siete voi che parlate, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello darà il fratello a morte, e il padre il figlio; i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato. Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra; perché io vi dico in verità che non avrete finito di percorrere le città d'Israele, prima che il Figlio dell'uomo sia venuto. Un discepolo non è superiore al maestro, né un servo superiore al suo signore (Matteo 10, 16-17; 21-24)

Cari fratelli e sorelle,

queste parole di Gesù sono rivolte ai discepoli. Ma noi spesso abbiamo dimenticato che ci riguardano. Tuttavia una pecora, un servo del Signore, un prete di Roma, Andrea Santoro, è stato ucciso come fosse in mezzo ai lupi. Il funerale sarà celebrato Venerdì. Ricordo le parole che Ghassan Tueni disse al funerale di suo figlio assassinato: "In quest'occasione non invito alla vendetta e all'odio, ma, insieme a mio figlio, voglio che anche l'odio sia seppellito per sempre". La morte di un cristiano chiama alla pace.
Don Andrea è stato ucciso a Trebisonda, nella piccola chiesa di Santa Maria, dove aveva celebrato l'Eucarestia della Domenica in quella ridottissima comunità. Ci fu un tempo in cui lì c'era una grande comunità cristiana. Chiese antiche, monasteri, liturgie in tante lingue e riti, quando il canto degli armeni si intrecciava con quello dei greci. Era l'inizio del secolo scorso. L'hanno cancellata massacri terribili e spostamenti di popolazione in seguito alle vicende politiche della prima guerra mondiale. La moderna città nasconde la storia di una sofferenza antica e tanti morti cristiani in viaggi estenuanti, in massacri, affogati in mare. Ma è storia di quasi un secolo fa.
Così è avvenuto in Turchia, un tempo terra anche di cristiani, perché patria della predicazione cristiana, dell'apostolo Paolo, cittadino di Tarso, e della sua evangelizzazione, delle Chiese dell'Apocalisse. Alcuni cristiani, pochissimi, fantasmi di una storia, come quelli del Tur Abdin siriaco (dove hanno resistito più di 1500 anni, ma ora non sono più). Sembrano resti di un naufragio storico. Privi di futuro. Storie antiche, su cui non si piange, anche se i nomi di quelle città sono familiari all'amico della Bibbia. Eppure qualcuno torna. A che fare? Andrea Santoro, sessant'anni, era partito attratto da una vocazione per quella terra. Missionario? Ma non chiamato al proselitismo, ma a dire con la presenza che Dio è amore: Dio ama tutti, lui, i cristiani, i turchi, i musulmani, gli ebrei. Non è una missione da poco.
Quella è una terra santa, benedetta dai piedi di coloro che hanno annunciato l'Evangelo: quell'Oriente da cui è sorto il sole della predicazione di Gesù, che ha illuminato il mondo. Non può restare senza la missione d'amore la terra che ha dato Paolo e tanti. Andrea Santoro, in una città turca del Mar Nero, lontano dal mondo romano, quello ecclesiastico o quello della periferia dov'era stato parroco, aveva scelto di vivere dal 2000 nella terra del tramonto del cristianesimo. Con tenerezza per la gente, con una pietà tutta romana, con simpatia, con tanta preghiera, aspettava l'aurora di un nuovo giorno. Con pazienza, senza fretta…
Domenica è venuta la morte. Una morte che -dicono- è stata inflitta da un giovane che ha gridato "Allah akbar" come grido di guerra. Follia? Certo un atto che si inquadra nel clima infuocato del mondo musulmano, almeno di una sua parte, dopo la scoperta delle vignette satiriche su Maometto. No, in quell'ora Dio non era grande, ma umiliato come nell'ora della passione: umiliato che si pronunciasse il nome dell'Eterno mentre si spargeva il sangue dell'amico. Non spetta a noi dire che questo non è islam; ma questa, certo, non è umanità.

Povero don Andrea: se ne è andato con i suoi sogni, con la sua bontà, con i suoi messaggi agli amici romani, con il suo sito, finestra sul Medio Oriente, con la sua passione per il cristianesimo orientale, per le memorie di un grande passato, per le briciole del presente. Prete buono, inquieto figlio del Concilio, compagno del nostro don Vincenzo, aveva mostrato la santità di un'inquietudine fattasi missionaria: esempio per i preti e i cristiani di Roma. A sessant'anni se ne è andato. Come una pecora in mezzo ai lupi.

È un musulmano chi lo ha ucciso? "Il fratello darà a morte il fratello". Questo è grave. Torna la storia di Caino con Abele. Perché don Andrea era solo un fratello. Voleva essere un fratello dei musulmani. Come fratel Carlo di Gesù, ucciso stupidamente nel deserto del Sahara e beatificato da Benedetto XVI. L'assassino è sempre uno stupido. Don Andrea è morto come un fratello in una città deserta di cristiani, fratello tra uomini che amava. Fin quando i fratelli uccideranno i fratelli? Fin quando, come in Libano, le loro chiese saranno bruciate? "Chi sparge il sangue dell'uomo, dall'uomo il suo sangue sarà sparso, perché da immagine di Dio egli ha fatto l'uomo" -dice il Santo nel patto di Noé che ogni uomo è tenuto a rispettare, qualunque sia la sua religione.

Non ci saranno mani vendicatrici: non perché siamo deboli, ma perché sappiamo che "forte come la morte è l'amore". I sassi e i coltelli possono strappare una presenza d'amore, come quella cristiana, ma non impediranno di amare. Il sangue sparso è di chi è stato odiato per il nome di Gesù, chiamato Belzebù. Forse uno solo l'ha odiato, forse dieci o cento: non so. Ma la sua vita è Vangelo. Quel sangue sparso rivela a noi tutti quanto è preziosa quella terra. Sembra una terra che non dà frutti cristiani, inutile da coltivare, inutile spenderci la vita… Così alla saggezza comune. Ma non a don Andrea Santoro, prete della periferia di Roma, morto nella Turchia moderna, in cui lui vedeva ancora le orme degli apostoli.

Non dobbiamo anche noi, cari fratelli, amare di più quelle terre, i cristiani rimasti, i non cristiani viventi? Anche questo è amore: è un amore che sembra sterile, quello del tramonto, come quello per gli anziani. Ma senza questo tramonto -lo capiscono i martiri- non c'è aurora. E' un tramonto dorato, prezioso come il sangue degli amici di Dio, in cui misteriosamente è nascosta la resurrezione.

Voleva svegliare l'aurora I preti sanno morire per amore
Andrea Riccardi

Parlare di don Andrea Santoro dopo questa morte non è facile. Il suo martirio infatti getta certo nuova luce sulla sua vita, ma ne rivela anche il mistero. Don Andrea non è un caduto nello scontro di civiltà, né è l'eroe di una lotta, quasi fosse l'avanguardia dell'aborrito Occidente. È morto da cristiano. Perché là? Perché scegliere una vita povera e priva di mondani successi, in una terra che doveva apparire già a lui ingrata? Aveva detto qualche giorno fa a Roma: "Io mi sento prete per tutti, perché questi sono i figli che Dio ama: musulmani, ebrei, cristiani…".
Era un prete di Roma. Anche i preti romani (talvolta rappresentati come diplomatici o indolenti) sanno morire per amore. E il suo era un ministero d'amore tra Eucarestia e simpatia per tutti gli umani figli di Dio. "Noi siamo quelli della croce - aveva detto - non quelli della spada. A noi il Signore ha detto: metti la spada nel fodero… E tutto questo passa attraverso la croce. Se vuoi tenere la spada in mano, non farai mai l'unità. La croce è farsi agnello". Voleva fare unità e far comunicare quelli che erano tanto divisi.
A Trebisonda, dov'è stato ucciso, c'era fin all'inizio del Novecento una grande comunità cristiana: chiese, monasteri, liturgie, dove il canto degli armeni si intrecciava con quello dei greci. È un mondo finito tra massacri e spostamenti di popolazione con la prima guerra mondiale. Tanti cristiani morirono, assassinati, in viaggi estenuanti, affogati in mare. La moderna città turca non ricorda questa storia comune all'Anatolia, già terra di Paolo, delle Chiese dell'Apocalisse, dunque di un cristianesimo vivo. Oggi in Turchia restano pochissimi cristiani autoctoni, fantasmi di una storia smarrita. Sembra la terra del tramonto senza fine del cristianesimo. Eppure qualcuno si sente chiamato a tornare, come don Andrea.
L'amore lo chiamava in un deserto di vita cristiana. Terra inutile da coltivare perché sterile di frutti cristiani? Lui amava quella terra: vi vedeva l'aurora antica del cristianesimo, spaziava con il pensiero in Medio Oriente, simpatizzava per gente estranea alla sua fede. Con tenerezza per loro, con una pietà romana, con tanta preghiera e pazienza, aspettava l'aurora di un nuovo giorno.
Domenica è venuta la morte. Una morte inflitta da un giovane che ha gridato "Allah u akbar" come grido di guerra. No, in quell'ora di morte, Dio più che grande, era umiliato dal sangue sparso da uno dei suoi figli, mentre l'aggressore pronunciava il nome dell'Eterno. L'assassino non ha cercato di guardare in volto la sua vittima, preso dall'attuale clima infuocato del mondo musulmano, o almeno di una sua parte, ma ha colpito alle spalle. "Il fratello darà a morte il fratello". Perché don Andrea era un fratello anche per i musulmani. Come Charles de Foucauld, ucciso stupidamente nel deserto del Sahara (e beatificato di recente da Benedetto XVI). L'assassino è sempre uno stupido.
Povero don Andrea: se n'è andato con i suoi sogni apostolici, con la sua bontà, tutta romana, con il suo sito sul Medio Oriente, la sua passione per il cristianesimo orientale, per quel grande passato e per le briciole del presente.
La sua vita di prete esprime una nota forte che sorprende e interroga, specie quando incliniamo verso la mediocrità nell'amore. Il suo sangue chiede: fin quando i fratelli uccideranno i fratelli? Il colore martiriale della sua morte allontana la vendetta e rifugge ogni interpretazione politica: esige e implora che l'odio sia seppellito con lui nella tomba.
Illusione? Noi la chiamiamo fede. C'è un valore misterioso di una vita caduta a terra, anche se non è dato di conoscere i tempi del germoglio. Per chi crede è il caso di riflettere in profondità su questa vita e di ricordare il detto dei primi secoli cristiani: "Io vi do una grande eredità che il mondo non ha".

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Per non uccidere Don Andrea una seconda volta
Bernardo Cervellera

La morte di don Andrea Santoro, il sacerdote della diocesi di Roma ucciso alle spalle, mentre pregava nella sua chiesa  a Trebisonda, era quasi da prevedere. Come era quasi sicura la violenza contro la chiesa di san Marone a Beirut e gli attacchi alle chiese in Iraq. Tutte le volte che si crea tensione fra il mondo islamico e il mondo occidentale, chi ne fa le spese sono sempre i cristiani. Essi – sebbene appartengano a una comunità più antica dell’Islam - sono sempre presentati come una longa manus dell’occidente. In più, offrono una caratteristica importante per chi voglia colpirli: sono indifesi, disarmati, perfino amorosi verso i loro persecutori. Sono la vittima giusta. Era perciò quasi prevedibile che nella tempesta islamica causata dalla pubblicazione delle vignette su Maometto, qualche cristiano ne facesse le spese.

Chi ha ucciso don Andrea? Ankara ha già fatto arrestato un giovane. Ma dietro la mano assassina vi è una connivenza più grande. C’è anzitutto quella dei governi che soffiano sul fuoco dello scandalo islamico. Le violenze in Siria, Libano, Iran, Iraq, Afghanistan è difficile pensare siano avvenute senza il sostegno, il pagamento, la soddisfazione di Damasco e Teheran.

Il nostro timore adesso è che Don Andrea rischia di essere ucciso una seconda volta, diluendo o vanificando il senso del suo martirio.

Il primo passo l’ha fatto il governo turco e tutti coloro che hanno voluto minimizzare la sua morte, dicendo che è causata solo da un giovane squilibrato e che l’elemento religioso non è importante.

Tant’è: proprio ieri il giovane killer ha confessato di essere stato spinto all’odio dallo scandalo in lui suscitato dalle vignette blasfeme su Maometto, pubblicate nella stampa occidentale. Pur continuando a  dire che la pista del conflitto religioso non vale, Ankara ha messo guardie e vigilanza a tutte le chiese e gli obiettivi religiosi del paese. Anche personalità del governo italiano hanno dichiarato ai media che “la Turchia è un paese molto secolarizzato e non bisogna vedere nell’uccisione del sacerdote un gesto anti-cristiano”.

Un altro passo verso la vanificazione è compiuto dal parlamento europeo che desideroso di inglobare la Turchia nella comunità economica, fa richieste sulla libertà di mercato, ma si dimentica di domandare piena libertà religiosa ad un paese che -  “molto secolarizzato” – non permette alle chiese cristiane di avere seminari, scuole, possedere case o chiese, senza garantire stabilità a persone e comunità che vivevano in Turchia molti secoli prima dell’Islam.

Un passo ulteriore per uccidere la testimonianza di don Andrea è fatto da coloro che lo trasformano in un profeta del multiculturalismo e del dialogo a priori, paurosi nell’affermare la chiara e bella identità cristiana di questo sacerdote. Benedetto XVI, ha ricordato oggi nell’udienza, “l’anima sacerdotale” di don Andrea, la sua “commovente testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa”. A leggere infatti le riflessioni del sacerdote ci si accorge che egli è andato in Turchia non spinto dal “dialogo” slavato, o dalla voglia di fare del bene a poveri e derelitti, ma dal desiderio di far rivivere la Chiesa, corpo di Cristo. È da questo che nasce anche tutto il suo impegno verso i poveri e le prostitute, il suo dialogo con l’Islam, ma anche con l’ebraismo. In un brano da lui scritto, pervenuto ad AsiaNews, egli dice cos’è il dialogo: “Europa e Medio Oriente (Turchia compresa…), Cristianesimo e Islam devono parlare di se stessi, della propria storia passata e recente, del modo di concepire l'uomo e di pensare la donna, della propria fede. Devono confrontarsi sull'immagine che hanno di Dio, della religione, del singolo individuo, della società, su come coniugano il potere di Dio e i poteri dello Stato, i doveri dell'uomo davanti a Dio e i diritti che Dio, per grazia, ha conferito alla coscienza umana”.

A leggere queste parole si resta stupiti per la loro attualità. La mancanza di dialogo e i tentativi di guerra fra oriente e occidente vengono proprio dalla mancanza degli elementi dettati da don Andrea: da una parte, un’Europa dimentica di sé, della propria tradizione religiosa, irrispettosa della propria storia e superficiale nello sguardo alle altre religioni; dall’altra un Islam che non sa parlare di sé, né guarda a sé,  all’individuo, alla donna, ai poteri di Dio e dello stato e continua a buttare sull’altro, sugli altri, sui nemici, le colpe della propria arretratezza. E così diventa strumento in mano al dittatore di turno.

Se l’occidente vuole davvero sconfiggere il fondamentalismo, deve lavorare per esigere dai paesi islamici piena libertà di agire e di parlare ai cristiani e alle altre religioni. Lo stesso devono attuare i paesi dell’oriente, se vogliono davvero testimoniare che l’Islam è una religione della pace e della tolleranza. Don Andrea Santoro aveva offerto la sua carne perché “Cristo abitasse in Turchia”, come ha detto una volta. Nella sua morte, Cristo ha abitato in Turchia fino al sacrificio della croce. Per questo, come ha detto ancora il papa, il martirio di don Andrea contribuirà “alla causa del dialogo fra le religioni e della pace fra i popoli”.

Quel prete ci sta scuotendo                                                         torna su
Saverio Simonelli, su Avvenire 10 febbraio 2006

Accade a tutti di imbattersi con la vita di qualcuno solo dopo la sua morte, quando a raccontarcela sono le tracce che questi ha lasciato.
Ecco, quella di don Andrea Santoro è una vita che a molti lascia il rimpianto di averne condiviso semplicemente il tratto conclusivo, e di fare oggi esperienza di quella voce e di quel volto "solo" nelle immagini che lo incastonano nel paesaggio più recente della sua traversata terrena: il Mar Nero, le pendici innevate dell'Ararat, il variopinto andirivieni di una città come Trebisonda, il cui nome è già scrigno di storie lontane. Con che trepidazione infatti a Sat2000 si sono estratte dagli archivi le cassette di un reportage datato 2004 sulle antiche Chiese della Turchia, dove lui, il mite e schivo don Andrea, inevitabilmente c'era. Fotogrammi fortunosi, anzi provvidenziali, che in questi giorni hanno doverosamente fatto il giro delle televisioni, restituendoci l'emozione di un incontro dal vivo, come non l'avevamo avuto. E che scoperta, che privilegio, che emozione sentire lui che racconta, sereno e lucido, mansueto e forte, a momenti quasi presago.

Ecco allora che la traccia di quella vita comincia a dipanarsi, che il filo si fa sempre più spesso, e miracolosamente, tenendolo tra le nostre mani ci accorgiamo che non di un solo filo si tratta, ma di tanti e che ciascuno ci porta da qualche parte ed è legato ad altre mani: ci raccontano della sua parrocchia romana, che prima era un condominio - stanze fredde da riscaldare - e subito vediamo l'opera di tanti amici che aiutano Don Andrea: e così nasce la chiesa, la chiesa che però è un capannone, perché lui la vuole «la più umile possibile». Ogni cosa della vita di quest'uomo si trasforma, ogni momento ne genera un altro e i fili diventano rete, e la rete si allarga. Così nei racconti degli amici c'è un pri mo viaggio in Terra Santa, ma quel viaggio diventa subito una porta, un transito verso un mondo diverso che ne calamita l'anima e lo porta a vivere in quell'Oriente, in quei Paesi sedimentati di storia e arroventati dalle tensioni, dove però la Parola era stata pronunciata per la prima volta.

E qui un altro aspetto di quest'uomo: l'amore per la Chiesa delle origini si lega all'urgenza di un annuncio da rinverdire, da rinnovare ma nelle forme disadorne, essenziali che lì sono ammesse.

In Oriente don Andrea aveva però trovato il «singolare privilegio di vivere della memoria biblica» e quando guardava le falde dell'Ararat gli piaceva pensare a quell'arca posatasi come una colomba a 5.000 metri sul livello del mare «che testimoniano l'altezza della misericordia di Dio».

E infine, a Trebisonda, la sua vita terrena si spezza senza che sia intaccato (come potrebbe, oramai?) quell'intreccio di amore e condivisione che lui ha minuziosamente tessuto. Tant'è che il pomeriggio di domenica, proprio prima di morire, pregava per un incontro di dialogo interreligioso: ancora la parola che unisce, genera, che crea qualcosa d'altro. Ancora una rete, appunto. Pur se piccola ai nostri occhi. Ma per quelli di Dio?

Ora che abbiamo provato a conoscerlo, don Andrea ci lascia nella memoria anzitutto un segno, un segno che è un invito e una direzione. Fare spazio, lasciare posto alla realtà che ci viene a visitare, accogliere nella vita le vite, moltiplicare le esperienze in un reticolo che non si esaurisce mai. Chissà perché a qualcuno è parso che dell'assassinio di don Andrea finora si sia fatta "una gestione distratta, prevedibile, automatica". No, no. Prima di giudicare, cercate di apprendere l'alfabeto semplice e nudo che questa vita pretende da tutti, a partire da chi ne riceve l'eredità. Guai a sgualcirla. La sua non è una delle tante vite anonime che acquistano un attimo di notorietà e poi spariscono. La sua continua ad essere la vita di un padre, un padre che ha generato come gli è stato insegnato a fare, perché nelle tante cose che ci sono in cielo e in terra ha saputo vedere il disegno di Dio. Senza pretendere di piegarlo, semplicemente lasciandogli spazio, lasciandogli la propria vita.

Il dolore personale sul volto di un popolo                                   torna su
Andrea Riccardi

La cattedrale di Roma ha accolto ieri, per l'ultimo saluto, il corpo di don Andrea Santoro. Tra tanta gente, in mezzo ai suoi confratelli visibilmente scossi, nella chiesa della sua ordinazione, la vita e la morte di don Andrea hanno espresso pienamente il loro senso profondo. Che non fu quello di una battaglia politica o ideologica, quasi una prova in più a disposizione di chi sostiene che lo scontro frontale tra religioni e civiltà sia a questo punto inevitabile. La sua vicenda in realtà non è nemmeno quella di un mediatore culturale tra mondi tanto diversi, sorta di ponte ingenuo quanto impalpabile. Andrea Santoro è stato un prete: prete di Roma, prete del Concilio, uomo di preghiera, capace di grande prossimità con la gente, come testimoniavano i tanti accorsi al suo funerale. Erano volti segnati da un dolore personale e dalle lacrime: popolo che ha colto il mistero di una vita gratuitamente donata per gli altri.

Da questo tessuto cristiano, che spesso si ignora ma che è profondo, sgorgano le testimonianza più belle, come quella dell'anziana madre del sacerdote. Maria Santoro, piegata ma non vinta, ha avuto cuore di perdonare l'assassino, «essendo anche lui un figlio dell'unico Dio che è amore».

Don Andrea ci ha riproposto oggi l'antica parabola dei martiri, come ha detto il cardinale Ruini. Dunque, parola di Vangelo. Seppur taluno potrebbe dire che la sua è stata una missione muta e inutile in una terra tutta musulmana. Si è arrivati a parlare di proselitismo forzoso e addirittura pagato; ma è noto come il sacerdote fosse rispettoso non solo dell'islam, ma anche delle altre comunità cristiane. A lui ben si attagliano le parole di Benedetto XVI nella sua enciclica: «Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l'amore». Per don Andrea, l'Anatolia era un deserto di vita cristiana, ma popolato da donne e uomini (musulmani) da guardare negli occhi e da amare. Egli credeva nel dialogo, ma soprattutto a quell'amore che si fa amicizia quotidiana con le donne e gli uomini di una religione diversa con cui si vive.

«Il suo - ha giustamente detto il cardinal vicario - era un coraggio cristiano, quel tipico coraggio di cui i martiri hanno dato prova…». Ed aggiungeva: «Un coraggio, cioè che ha la sua radice nell'unione con Gesù Cristo, nella forza che viene da lui, in maniera tanto misteriosa quanto vera e concreta». L'esistenza di Andrea Santoro non era sopraffatta dalle difficoltà o dal clima non sempre sereno in cui operava; ma manifestava la forza di chi prende sul serio il Vangelo, senza ridurlo. E prenderlo sul serio significava prima di tutto viverlo, pagando personalmente: stare vicino ai suoi pochi cattolici, stare in mezzo ai turchi, rischiare la vita in un ambiente che non teneva sotto controllo. Tutt'altra immagine di un cristianesimo infiacchito o, al contrario, nervosamente aggressivo. Viene da pensare all'apostolo Paolo, e al suo: «Comportatevi da uomini, siate forti. Tutto si faccia tra voi nella carità...» ( 1Cor 16,13-14). 

Umanesimo e forza interiore si connettono profondamente nella carità: è la via amoris, che richiede il coraggio più grande. La forza "umile" del cristiano può andare incontro a insuccessi, ma resta animata da una fiducia che non ha la sua misura nel risultato immediato. André Jarlan, prete fidei donum come don Andrea, ucciso in Cile nel 1984, aveva scritto: «Coloro che fanno vivere sono quelli che offrono la loro vita, non quelli che la tolgono agli altri. Per noi la resurrezione non è un mito: questo evento, che celebriamo in ogni Eucarestia, ci conferma che vale la pena di dare la vita per gli altri...».

«I popoli sono molti ma l'umanità è una»                                          torna su

L'ultima "corrispondenza" da Trabzon di don Andrea Fontana è on line sul sito "Finestra per il Medio Oriente", un giornalino dal quale il sacerdote Fidei Donum ogni tre mesi pubblicava pensieri e riflessioni sulla sua "missione" in Turchia.

S. Maria - Trabzon

«Avverto in me motivi per amare gli uni e gli altri, motivi per tenerli serrati nello stesso calice e radunati ai piedi della stessa croce - scriveva il sacerdote nella lettera del novembre 2005 -. Ma avverto anche delle lontananze tra loro, pur corrette, ma a volte solo camuffate, da dichiarazioni di amicizia, di rispetto e di collaborazione, a volte invece davvero lenite da sforzi sinceri fatti da più parti per capirsi, accettarsi, offrire ognuno il proprio patrimonio e scoprire quello dell'altro. Altre volte ho l'impressione che questi mondi non si parlino in profondità, ma facciano come quelle coppie che parlano solo di spesa, di bollette, di mobili da spostare e di salute dei figli e si illudono di comunicare e invece diventano sempre più estranei». 

Poi uno sguardo alla situazione internazionale: «Europa e Medio Oriente, Turchia compresa, anche se è un caso a sé, Cristianesimo e Islam devono parlare di se stessi, della propria storia passata e recente, del modo di concepire l'uomo e di pensare la donna, della propria fede - aggiungeva don Andrea -. Devono confrontarsi sull'immagine che hanno di Dio, della religione, del singolo individuo, della società, su come coniugano il potere di Dio e i poteri dello stato, i doveri dell'uomo davanti a Dio e i diritti che Dio, per grazia, ha conferito alla coscienza umana. Devono confrontarsi su cosa intendono per vita, famiglia, futuro, progresso, benessere, pace. Sul senso che danno al dolore e alla morte, su cosa voglia dire che i popoli sono molti ma l'umanità è una, che la terra è divisa in nazioni territoriali ma tutta intera è una casa comune».

Infine una riflessione dettata dall'esperienza pastorale e missionaria, frutto di un lavoro quotidiano di raccordo e conciliazione: «Credo che ognuno di noi dentro di sé possa diminuire la lontananza tra questi mondi. È a partire dallo sguardo di Cristo e dall'amore del Padre, che lo ha inviato a tutti i suoi figli, che possiamo riscoprire vicini quanti sentiamo lontani - proseguiva don Andrea -. In questa fase rileggo il passato della missione, scruto il presente, rivado agli inizi della Chiesa a Gerusalemme, ascoltiamo le Scritture, cerchiamo di capire meglio il mondo da cui veniamo e il mondo dove siamo arrivati, cerchiamo di rendere accogliente quanto più possibile, per ogni evenienza, la chiesa, il monastero, la casa, i molteplici locali annessi».

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Il testamento spirituale di don Andrea
"Dialogate con le altre religioni"

Carissimi,

vi scrivo da Roma, dove sono arrivato da circa 3 settimane prima di ripartire per la Turchia tra qualche giorno. Sono stati giorni molto intensi dedicati a testimonianze, incontri, catechesi, conferenze, momenti di preghiera. Il tutto finalizzato a favorire passaggi di informazioni e conoscenze tra Medio Oriente, visto attraverso la mia
esperienza personale, e la realtà del nostro Occidente, come e nelle finalità della "Finestra per il Medio Oriente".

Ho trovato ovunque interesse e partecipazione e un sincero desiderio di capire e di allacciare legami di comunione. Ho sentito quanto sia importante e possibile a realizzarsi uno scambio di doni spirituali tra questi due mondi. Il Medio Oriente, grande "terra santa" dove Dio ha deciso di comunicarsi in modo speciale all'uomo, ha le sue ricchezze e la sua capacità, grazie alla luce che Dio vi ha immesso da sempre, di illuminare il nostro mondo occidentale.

Ma il Medio Oriente ha la sue oscurità, i suoi problemi spesso tragici e i suoi "vuoti". Ha bisogno quindi a sua volta che quel Vangelo che di lì è partito vi sia di nuovo riseminato e quella presenza che Cristo vi realizzò vi sia di nuovo riproposta. È una reciproca "rievangelizzazione" e arricchimento che i due mondi si possono scambiare.

A Trabzon, nel frattempo, la minuscola comunità cristiana si è riunita ogni domenica mattina per celebrare la liturgia della Parola e la chiesa è stata aperta ai visitatori musulmani due volte la settimana sotto la responsabilità di una persona di fiducia. Vi farò sapere come è andata.

Vi saluto affidandovi queste riflessioni ed esortando me e voi a mettere sempre in contatto la fede con il presente. Non una fede astratta e generica ma una fede quasi come da quei primi "inizi" ci è stata riversata in grembo di generazione in generazione. Il lievito, come dice il Vangelo, ha una sua capacità misteriosa di fermentare la pasta, se viene messo in contatto con essa. La pasta di ogni tempo, di ogni luogo, di ogni generazione.

Inoltre Gesù diceva: «Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre». Se la sua luce è in noi, non solo illuminerà ogni situazione, fosse pure la più tragica, ma noi pure, come sempre Lui diceva, saremo luce. La luce fioca di una candela illumina una casa, un lampadario fulminato lascia tutto al buio, che Lui brilli in noi con la sua parola, con il suo Spirito, con la linfa dei suoi santi. Che la nostra vita sia la cera che si consuma in totale disponibilità.

Con affetto. Don Andrea


v. anche:
Antiochia. Testimonianza di una volontaria

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