Scoppia la voglia di dialogo nel mondo islamico e si moltiplicano i segni di
tolleranza nei Paesi musulmani: una nuova chiesa in Kuwait,
una nel Qatar;
aperture verso il Vaticano;
la lettera dei 138 saggi musulmani a Benedetto XVI; il varo di una Commissione islamo-cattolica; visita
di Abdallah dell’Arabia Saudita alla Santa Sede… Proprio dal monarca saudita
vengono ulteriori segnali di apertura e tolleranza: l’incontro
interconfessionale alla Mecca (4-6 giugno 2008) e l’incontro interreligioso di
Madrid (16 -18 luglio) per aprire un dialogo interreligioso anche con gli ebrei.
Sembra proprio che sia scoppiato il dialogo, in una religione che dall’11
settembre 2001, dall’attacco delle Torri Gemelle di New York, è apparsa al
grande pubblico come la religione più intollerante. Cosa sta succedendo? Ecco
l’analisi dell’islamologo p. Samir Khalil Samir.
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Tutti questi segnali indicano che sta davvero cambiando qualcosa, ne sono
certo. Il motivo di questo cambiamento è insieme politico e religioso. E in
questo caso, l’unità fra i due non è necessariamente un male.
Anzitutto c’è il fatto che l’elemento religioso è divenuto importante nella
politica internazionale. Il mondo intero è in ebollizione ovunque. I motivi per
questi sussulti possono pescare nella religione o nell’ateismo che combatte la
religione. Ad ogni modo, il fenomeno religioso sta diventando un fatto che mette
in discussione molte idee e posizioni del passato. Pensiamo alla caduta del
comunismo: è stato uno shock che ha spinto molta gente a domandarsi se era la
religione l’oppio dei popoli o se non è invece il contrario: l’ideologia come il
vero oppio dei popoli. Lo vediamo anche in Cina – grazie alle notizie che voi di
AsiaNews fornite – la reazione e il contrasto nel mondo sulle questioni del
buddismo in Tibet, in Nepal e in Myanmar. In India vi sono contrasti fra gruppi
indù fanatici e ultranazionalisti da una parte e altre comunità (cristiane e
musulmane) dall’altra …
Una nuova immagine dell’Islam
In Europa l’Islam ha scosso il modo in cui la coscienza europea guarda al
fenomeno religioso. In Francia tutti erano tranquilli nello schema della laicità
francese, dove vige il dogma della separazione assoluta fra fede e vita e della
religione come fatto privato. Ci si accorge invece che questo legame fra fede e
vita pubblica è ancora più forte nell’Islam e questo mette in crisi alcune
certezze del laicismo contemporaneo. A questa “scoperta” si aggiunge lo scoppio
del fanatismo religioso: nel mondo islamico – per motivi politici e culturali –
si manifesta una violenza inaudita, mai giunta in passato a questo punto.
L’interesse per il mondo islamico ha anche motivi “numerici”: un miliardo e
più di persone hanno un peso enorme nella politica e demografia mondiale.
Anche nel mondo ebraico – grazie alla collusione fra sionismo e politica –
c’è pressione e violenze; lo stesso avviene nel mondo indù, con
l’identificazione tra induismo e identità indiana.
Correggere la (cattiva) immagine dell’Islam
Tutto ciò fa sì che da anni, nel mondo musulmano, in tutti gli incontri della
Lega Araba, in quelli della Lega mondiale islamica, si discuta senza fine di
violenza e terrorismo per dire che questo non ha nulla a che vedere con l’Islam;
che l’Islam è una religione della tolleranza; ecc… Allo stesso tempo, tutti i
ministri dei Paesi islamici, affermano che il loro primo compito è combattere
questo terrorismo che ha come origine proprio il fondamentalismo (cioè
l’interpretazione letterale e non contestuale del Corano e della Sunna, la
Tradizione muhammadiana) e il radicalismo religioso musulmano.
Purtroppo, tutte le decisioni prese finora non portano a una riduzione del
terrorismo, che è sempre più vivo, forse perché una delle cause del radicalismo
islamico è precisamente la corruzione, la dittatura e le ingiustizie sociale
diffuse nel mondo politico musulmano. Per questo, personalità politiche
musulmane, soprattutto presidenti e re sono molto favorevoli a una svolta: “se
vogliamo difendere l’Islam dall’immagine negativa che sta assumendo nel mondo –
essi dicono – non possiamo continuare così; dobbiamo mostrare in positivo che
l’Islam è una religione di pace e di dialogo”.
La spinta al dialogo nasce da questo tentativo di mostrare una nuova immagine
dell’Islam. Secondo una statistica recente, negli Stati Uniti, il 45% degli
americani giudica che l’Islam è la religione più minacciosa che esista, mentre
nel 2005 erano 36% a giudicarlo così.
Forse anche in Europa si potrebbe giungere alla stessa percentuale. Anche nel
mondo islamico – sebbene non lo si confessi in pubblico – tutti sanno che il
fatto più terribile è l’islam militante e armato. Nel mondo musulmano è emersa
prepotente la coscienza che l’Islam deve ormai difendersi da una cattiva
immagine di se stesso.
Questo è avvenuto anzitutto nel convegno della Mecca del 2005 (7-8 dicembre).
Già allora i governi musulmani hanno deciso di dire “basta!”, combattendo
l’immagine negativa dell’Islam e l’islamofobia. Questo termine si è diffuso
ormai ovunque. I musulmani considerano la paura verso l’Islam come un errore,
una reazione ingiusta; ma è anche vero che molta violenza contemporanea è
assommabile all’islam, perlomeno quello radicale.
In Europa vi è una cristianofobia, forse anche più forte dell’islamofobia, ma
tant’è: negli ultimi anni musulmani ed europei in Spagna hanno condannato
l’islamofobia; un documento dell’Onu ha condannato l’islamofobia (senza nulla
dire dell’atteggiamento sprezzante contro tutte le religioni)…
Un elemento che torna di continuo nei documenti di Mecca e Madrid è proprio
questo: dobbiamo lottare contro la falsa immagine che i media (occidentali)
danno di noi. Da notare che in essi non parlano di “terrorismo islamico”. Per
gli estensori del documento, il terrorismo non è islamico, anche se la gente
attribuisce questa violenza proprio a musulmani.
Di fronte a questa situazione, il re saudita Abdallah ha iniziato a muoversi.
Nell’incontro con il papa il 6 novembre scorso, ha fatto una dichiarazione molto
importante: l’apertura per un dialogo con cristiani ed ebrei e anche una
collaborazione comune con queste religioni sull’etica spirituale[1]
.
Se si va a vedere i risultati dell’incontro alla Mecca (4-6 giugno 2008) dei
Paesi musulmani sul dialogo, è interessante vedere che pur parlando ai
musulmani, essi cercano di rivolgersi e aprirsi a tutto il mondo.
Musulmani per il “dialogo”
Nel documento finale della Mecca, si giustifica anzitutto il dialogo, dicendo
che esso è “centrale nell’Islam”, perché è stato usato per primo dal profeta
Maometto. “Il dialogo – si afferma – è un’autentica metodologia coranica; è una
tradizione profetica mediante la quale i profeti hanno comunicato con altre
persone. La biografia del profeta Maometto presenta una chiara metodologia a
questo proposito, mediante il dialogo del Profeta con i cristiani di Najran[2]
”.
Il documento continua: “e la sua corrispondenza con grandi imperatori e
monarchi”
[3]. Da qui l’affermazione: “il dialogo
è uno degli strumenti più importanti per la diffusione dell’Islam nel mondo”:
insomma una grande ambiguità. Per convincere i Paesi islamici al valore del
dialogo, essi si rifanno a quanto ha fatto il Profeta e – in modo un po’ ingenuo
– confessano che questo serve per diffondere di più l’Islam.
E ancora: “La società di Medina creata dal Profeta è il modello ottimale di
coesistenza positiva dei seguaci dei messaggi divini”[4]
. La frase è pesante: il modello ottimale di coesistenza per le genti del Libro
(ebrei, cristiani e sabaiti) sarebbe questa struttura, precorritrice del sistema
dei dhimmi. È evidente la difficoltà per il mondo islamico di uscire
dall’idealità del modello del VII secolo. Questo porta anche a contraddizioni:
che fare degli atei, presenti nelle nostre società contemporanee? Ai tempi di
Maometto essi venivano combattuti: o si sottomettevano all’Islam, o venivano
uccisi.
Certo a Madrid, alla presenza di rappresentanti di altre religioni, tutto
questo non è stato detto. Ma alla Mecca, fra rappresentanti islamici, si è usato
questo linguaggio. Doppio linguaggio o discorsi “pedagogici”?
Va anche detto che per l’epoca del VII secolo quel tipo di convivenza poteva
avere degli aspetti positivi. Ma era un patto politico e non religioso. Ormai si
tratta di uscire da questo sistema islamico del VII secolo, durato poi per tutto
il Medioevo, per creare un nuovo stile di convivenza. Altrimenti la parola
“dialogo” è ambigua.
Alcune aperture
Il documento finale della Mecca presenta 12 punti. I primi due sono tutti
sulla correzione della cattiva immagine dell’Islam, in modo sempre difensivo. Il
terzo punto è interessante: “affrontare sfide e offrire soluzioni ai problemi
dell’umanità, che sono il risultato del suo abbandono della religione e del suo
allontanamento dai principi di quest’ultima”. Questa è un’idea che anche noi
cristiani condividiamo, anche se è da vedere in tutte le sfumature. Il documento
sottolinea ad esempio che i problemi sono “il risultato dell’abbandono della
religione”. Ma non si può dimenticare che vi sono problemi derivati dalla
interpretazione cattiva della religione. Il card. Jean-Louis Tauran – invitato
alla Mecca e a Madrid - ha fatto un’allusione a questo aspetto, quando nel suo
intervento finale ha detto: “Accusano la religione di essere causa della
violenza. La religione non è causa della violenza, ma [è violento] l’uso che ne
fanno gli addetti della religione”. Fra i problemi della società contemporanea,
accanto all’abbandono della religione, bisogna tener presente anche la
deformazione, la politicizzazione della religione, ciò che non è stato ancora
recepito dal mondo musulmano.
Il 4° punto allude ai diritti umani: “sostenere e difendere le giuste cause
relative alle violazioni dei diritti umani”. Anche questo è molto buono, ma è
essenziale definire quali sono i “diritti umani”, accettandone la definizione
universale corrente. Alludo qui al fatto che nel mondo islamico, in più
occasioni – almeno due – è stata pubblicata una lettura musulmana dei diritti
umani: una carta islamica, una carta araba, ecc.. Il che significa che per
l’Islam non esiste una carta universale dei diritti umani. Varrebbe la pena
affrontare cosa sono i diritti umani.
Il documento continua sullo scontro delle civiltà; il 6° punto chiede di
rifiutare le accuse secondo cui l’Islam è “nemico della civiltà contemporanea”.
Ora, ci sono delle accuse, ma se un certo tipo di Islam si presenta come nemico
della civiltà contemporanea, allora le accuse sono giuste. “Tali accuse – si
dice - inculcano la fobia dell’Islam”. Ci troviamo di nuovo sull’idea di
“islamofobia”, sulla auto-vittimizzazione dell’Islam, divenuta un’idea fissa nel
mondo musulmano. Finché si penserà così non ci sarà autocritica e dunque nessuna
riforma in profondità!
Il 7° punto è molto buono: “imparare a conoscere persone di altre fedi e di
altre culture e stabilire con loro principi comuni che permettano una
coesistenza pacifica e la sicurezza della società umana”. Questo è certamente
positivo, ed avrebbe dovuto essere messo all’inizio del documento. Ma si vede
che psicologicamente gli estensori dovevano prima rispondere a tutte le critiche
che il mondo musulmano fa al resto del pianeta, per poi costruire ponti più
sicuri di dialogo.
L’8° punto: “Cooperare reciprocamente nel diffondere valori etici, verità,
benevolenza e pace e sfidare l’egemonia, lo sfruttamento, le degenerazioni
morali, i danni alla famiglia e altri mali che minacciano la società”. Questo va
molto bene, purché si comprenda che questi mali non sono caratteristica solo di
un gruppo, ma sono di tutte le società, occidentali e islamiche.
Anche l’11°, sulla “comprensione delle culture e delle civiltà umane”, ha
intenzioni molto positive e chiede ai musulmani “di partecipare agli accordi fra
le civiltà dell’umanità per tutelare la pace nel mondo”.
Il 12° torna a toccare il tema dell’ecumenismo all’interno dell’Islam.
“Interazione e comunicazione con i seguaci delle scuole islamiche di pensiero
per raggiungere l’unità della Umma musulmana e per indebolire il fanatismo e
l’antagonismo”. Questo punto sul fanatismo intra-musulmano è fortissimo, proprio
se si pensa all’Arabia saudita – quella che ha promosso questo convegno alla
Mecca e a Madrid – dove il wahhabismo cerca di escludere ogni altra
interpretazione islamica, sunnita o sciita. Forse questo è il tentativo dello
stesso re Abdallah di spingere la propria comunità a una maggiore tolleranza.
Gli invitati a Madrid
L’incontro della Mecca è stata una preparazione al convegno di Madrid.
Studiando quest’ultimo voglio fare qualche annotazione.
Anzitutto sulla lista degli ospiti: su 288 persone invitate, erano presenti
più di 200. Ma chi sono gli invitati? Sono persone di responsabilità politica o
sociale, non personalità strettamente religiose.
Ad es., per il Belgio, sono stati invitati 3 persone: 2 metropoliti ortodossi
e Abdul Aziz Muhammad Yahya, direttore dell’Islamic Centre del Belgio. Nessun
cattolico dunque e solo qualche ortodosso (di per sé poco significativi in
Belgio).
Se guardiamo la Francia, la lista è ancora più sorprendente. Sono state
invitate 11 persone. Fra i musulmani non vi è nessuno dei musulmani liberali più
aperti e più influenti. Hanno invece invitato: il direttore generale
dell’Unesco; 4 rabbini ebrei; un rappresentante della Chiesa armena; nessun
vescovo cattolico o cardinale!
Mi domando quale è la base di questi inviti. La presenza americana e della
Gran Bretagna, poi, è massiccia. Dalla Gran Bretagna sono state invitate 46
persone; 56 dagli Stati Uniti, e fra questi molti rabbini.
Io penso che dietro a questi inviti vi sono persone che hanno legami
culturali con il mondo anglosassone. Poi vi sono anche personalità di altre
religioni.
Fra i cattolici sono stati invitati in maggioranza quelli che di solito
idealizzano l’Islam e non fanno mai alcuna critica. Oppure hanno invitato
persone cattoliche famose – come John Esposito della Georgetown University, o
altri che in qualunque incontro islamo-cristiano prendono sempre le difese
dell’Islam. Mi domando se non sarebbe più giusto che in futuro si guardi a una
maggiore varietà delle presenze, lasciando decidere a ogni gruppo religioso chi
mandare, perché ogni rappresentante abbia dietro di sé una comunità reale.
Anche per il Medio Oriente vi sono strani squilibri: dal Libano, Paese
piccolissimo, vi era una presenza significativa di 9 persone, come per la
Spagna, ma non personalità così importante nel dialogo come il vescovo ortodosso
Georges Khodr; dalla Siria solo una persona, un vescovo (che è stato mio
studente). Dal Sudan hanno invitato un vescovo cattolico molto noto per la sua
fermezza, Gabriel Zubeir Wako, arcivescovo di Khartoum, e questo è una notevole
eccezione.
In generale mi sembra che l’incontro avesse solo una preoccupazione di
immagine: hanno invitato persone famose, come Toni Blair, o persone che non
creassero problemi all’Islam.
L’incontro di Madrid – meno che la cerimonia di apertura – era a porte chiuse
e quindi non si hanno molte notizie sulle conclusioni. Ho cercato però di vedere
le reazioni di uno o dell’altro dei partecipanti.
Le riflessioni del card. Tauran
Nel discorso finale del card. Tauran mi ha molto toccato il fatto che egli
citi l’incoraggiamento del papa, convinto che “il dialogo basato sull’amore e
sulla verità è la strada migliore per portare felicità e armonia ai popoli della
terra”. Il card. Tauran ha detto anche la sua positiva sorpresa per due fatti
emersi da quell’incontro:
1) “abbiamo reso disponibile la ricchezza delle nostre tradizioni e delle
nostri pensieri ai membri delle altre comunità a cui apparteniamo”;
2) che i credenti sono una ricchezza preziosa, un dono per la società. E ha
aggiunto: “è imperativo che la libertà religiosa includa la possibilità per i
credenti di prendere parte attiva al dialogo pubblico mediante responsabilità
sociali politiche e culturali”. Ciò è molto vicino alle percezioni musulmane,
riguardo al secolarismo dell’occidente. E questa sottolineatura è molto in
sintonia con quanto Benedetto XVI esprime spesso.
Il card. Tauran individua anche 3 semplici e importanti obbiettivi del
dialogo:
a) aumentare la conoscenza reciproca
b) incoraggiare lo studio delle religioni in maniera obbiettiva;
c) formare le persone al dialogo interreligioso.
Nel discorso finale del card. Tauran vi è un altro aspetto che personalmente
reputo importante: “Non intendo dire – egli afferma - che tutte le religioni
sono uguali, ma che tutti coloro che cercano Dio hanno pari dignità”. Questa è
una distinzione luminosa. Spesso fra cristiani e musulmani vi è un “ecumenismo”
così lasso che si crede che in fondo una o l’altra religione sono uguali e che
la conversione da una all’altra è inutile o secondaria. E invece egli sottolinea
che le religioni non sono uguali.
D’altra parte, anche l’affermazione per cui “coloro che cercano Dio hanno
pari dignità” è un punto importante nel dialogo islamo-cristiano. Questo implica
che tutti gli uomini di buona volontà hanno pari dignità; tutti gli uomini
credenti, non solo musulmani, cristiani ed ebrei [come appare dal mondo
islamico].
In conclusione
Da questo punto di vista, un fatto positivo è che all’incontro di Madrid
erano presenti membri di tutte le religioni e che lo sponsor di questo convegno
fosse il re d’Arabia. Penso perciò che questo gesto avrà un influsso importante
sul dialogo fra le religioni.
Ma il passo storico più importante di questo incontro è stato quello di
invitare dei rabbini ebrei. Alcuni rabbini presenti, come i due dello “Shalom
Center” negli Stati Uniti, hanno già dato commenti entusiasti sulla libertà di
dialogo goduta durante l’incontro: davvero un passo da gigante per la nostra
storia contemporanea. Io penso che il mondo islamico sia ormai stanco della
situazione di guerra perpetua in cui annega il Medio oriente e l’Islam. Ci
riferiamo qui al problema palestinese, che ferisce tutto il mondo musulmano.
Non sono mancate le ambiguità; la presenza delle donne era troppo esigua
(solo una musulmana spagnola ha preso la parola), ma il passo è importante. E
tutti i passi che possono costruire la pace mondiale, e soprattutto la pace fra
oriente e occidente, sono benvenuti.
[1] Cfr. AsiaNews.it , 06/11/2007
Dialogo interreligioso e pace tra israeliani e palestinesi nell’incontro tra il
Papa e re Abdallah.
[2] Najran è nel sud dell’Arabia e lì i
cristiani hanno fatto un accordo con Maometto e il suo gruppo L’accordo è però
ambiguo – perlomeno come esempio di dialogo: era un accordo di sottomissione. I
cristiani potevano conservare la loro vita, la gerarchia, ecc.. ma ogni anno
dovevano pagare un tributo in cammelli, tessuti, schiavi, ecc.. In questo si
vede quanto è fragile l’idealizzazione di tutto ciò che riguarda Maometto.
[3] Anche qui la citazione è curiosa. Il
profeta dice: “Io vi invito in nome di Allah a sottomettervi all’Islam, ecc..”:
non si può parlare proprio di dialogo!
[4] Anche qui c’è una ambiguità. A
Medina Maometto ha creato la prima società islamica, retta dal Corano. Lì hanno
fatto un accordo con gli ebrei – dopo aver trucidato centinaia di essi – che è
ancora un patto di sottomissione.