«Il nemico negato»
Fiamma Nirenstein
A pagina 1 di La
Stampa del 13 luglio 2005, Fiamma Nirenstein firma un articolo dal
titolo «Il nemico negato», che riportiamo, insieme al rimando ad altri testi, significativi
per la presa di coscienza sul momento
presente.. e non solo
Mentre ferve la discussione su come
sradicare il terrorismo e nello stesso tempo mantenere fermi gli
standard democratici, si dimentica che alla base di ogni vittoria, se
si parla di democrazia, c’è il consenso dei cittadini. Solo se la
gente è convinta che il nemico è moralmente abbietto, solo se la
classe politica su questo punto concorda, essa convince la popolazione
a seguirla in una difficile guerra.
Così fu per le democrazie che nella seconda guerra mondiale vinsero i
nazisti, ma oggi siamo ben lontani da questo: la verità è che le
classi politiche e intellettuali, l’informazione, non avendolo
interiorizzato esse stesse, per la gran parte non possono trasferire
alla popolazione uno sdegno profondo e decisivo, ma piuttosto una
grande incertezza persino nel definire il nemico. Dopo l’attacco a
Londra, tutto a un tratto la Bbc ha scoperto il sostantivo «terrorista»:
altrove, come in Israele e in Iraq, si trattava sempre di «guerriglieri»,
«militanti», «attivisti», «combattenti», perfino di «resistenti».
E già ieri, la tv inglese si è ricreduta: meglio chiamarli «bombers»,
attentatori.
La politica è madre e figlia di questi stravolgimenti terminologici,
e con pigra correttezza politica si è applicata al terrorismo
l’idea che si tratti di una protesta estrema contro ingiustizie di
varia natura, imperialiste, coloniali, sociali, geopolitiche. Così,
benché le statistiche dimostrino il contrario, se ne parla fra la
gente come di un frutto della repressione, della miseria, di qualcosa
di cui noi stessi siamo responsabili e a cui dobbiamo por fine con una
politica di appeasement.
Tony Blair, quando ha parlato del «suo» attentato come fosse causato
in parte dal conflitto mediorientale, ha compiuto un errore,
disconoscendone la mostruosa carica d’odio universale, e non sociale
né territoriale. Nega così l’orrore di una guerra che se la prende
con tutte le donne, con tutti i bambini del campo ritenuto
ideologicamente nemico. Nei discorsi pubblici e sui giornali, dalla
lista delle città bersaglio sono scomparse spesso Baghdad o le città
israeliane come Tel Aviv e Netanya (colpita ieri da un kamikaze), come
se le vittime si fossero meritate quelle bombe «militanti».
Così si trasferisce alla gente un senso di colpa e d’incertezza, e
si ostruisce quel senso di integrità e di giustizia che fa sì che
guidatori di autobus o camerieri, come è successo tante volte a
Gerusalemme, si trasformino in altrettanti soldati di pace, pronti ad
avvinghiarsi a un terrorista per coprire col proprio corpo lo scoppio
che altrimenti causerebbe decine di vittime.
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