Questo ha permesso piccoli gesti di ospitalità e di onore verso il papa ospite.
Ad esempio,
per l’entrata alla Moschea “al-Hussein bin-Talal” di Amman, hanno
permesso al pontefice di tenere le scarpe, stendendo una stuoia lungo tutto il
percorso. Lo stesso principe al-Ghazi ha tenuto le scarpe.
L’atmosfera in Giordania ispira un messaggio del tipo: siamo tutti fratelli,
beduini, cristiani, musulmani. I giordani insistono anche sul fatto che Gesù e
Maria sono parte della tradizione storica del Paese, perché hanno vissuto in
Giordania (v. il luogo del battesimo, Betania, ecc..) Loro sentono che questa è
una terra santificata dalla presenza di Gesù e dei profeti.
Religione e scienza: affinare i “talenti critici”
Ma il discorso all’università di Madaba è davvero un punto chiave di questo
pellegrinaggio. Il papa ha sottolineato varie cose, ma soprattutto l’importanza
di una educazione seria e accademica di cristiani e musulmani per lo sviluppo
personale, per la pace, per il progresso nella regione.
Il pontefice ha sottolineato con forza che lo sviluppo della persona passa per
l’istruzione che l’università deve offrire; che la pace si costruisce con la
conoscenza e lo studio più che con l’ignoranza; che il progresso integrale,
materiale ed economico, politico e democratico cresce con lo studio e la
conoscenza.
Egli sviluppa questo aspetto dicendo che lo scopo dell’università è trasmettere
agli studenti “l’amore per la verità”, promuovere “la loro adesione ai valori”,
innalzando “la loro libertà personale”.
È molto importante che in un mondo musulmano (e cristiano), spesso teocratico,
il papa, prima di parlare di religione, parli di cultura e di scienza. E la
scienza ha per scopo di amare la verità e scoprirla. Egli insiste che questa
formazione intellettuale “affinerà i loro talenti critici, disperderà
l’ignoranza e il pregiudizio, e li assisterà nello spezzare gli incantesimi
creati da ideologie vecchie e nuove”.
I “talenti critici” sono importanti nel mondo arabo: senza critica la fede può
diventare fanatismo, superstizione, o addirittura manipolazione Il papa ha
toccato un punto che è fondamentale per la crescita di questa regione: l’assenza
di sguardo critico, porta la gente a seguire in modo politico l’uno o l’altro
leader, senza domandarsi sulle esigenze di democrazia, libertà, diritti umani,
convivenza. Tutti seguono religiosamente, ma senza domandarsi sulle fondamenta
della propria fede; attenendosi alle tradizioni fino ad annegare la libertà di
coscienza. Questo vale per tutte le religioni, non solo per l’Islam. L’ignoranza
e il pregiudizio, per il papa, sono una minaccia alla pace e al dialogo.
E quando parla degli “incantesimi delle ideologie”, egli allude al modo facile
con cui uno si lascia prendere dal fanatismo e dalla violenza.
Egli dice: “la religione, come la scienza e la tecnologia, come la filosofia ed
ogni espressione della nostra ricerca della verità, possono corrompersi. La
religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il
pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso”.
Benedetto XVI mette nello stesso contenitore tutte queste realtà, perché tutto
può essere sfigurato – anche la scienza. Ciò che è importante per lui è comunque
non lasciare che la religione sia sfigurata dall’ignoranza e dall’abuso.
Necessità di una “sapienza etica”
Parlando alla Moschea di Amman egli dice anche che le società laiche pretendono
spesso che solo la religione è causa di violenza. In verità ciò avviene solo se
la religione si lascia “sfigurare”, ma questo è il rischio di tutte le
conoscenze. Per questo il papa esorta con la Lettera ai Filippesi (4,8) di
essere attenti a “tutto ciò che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, che
merita lode” Egli consiglia a cristiani e musulmani di non avere paura della
scienza, di aprire le loro menti, anche se si mette a rischio la propria fede.
Questo messaggio è coraggioso in una società come quella araba che rischia di
trovare nella religione un rifugio.
Ma il suo messaggio è rivolto anche verso la scienza, che rischia spesso di
trasformarsi in un’ideologia senza etica o apertura a Dio.
Questo è un elemento presente anche a Regensburg. Il papa sottolinea che anche
la scienza “ha i suoi limiti. Non può dar risposta a tutte le questioni
riguardanti l’uomo e la sua esistenza. In realtà, la persona umana, il suo posto
e il suo scopo nell’universo non può essere contenuto all’interno dei confini
della scienza”.
Per questo l’uso della conoscenza scientifica ha bisogno della luce orientatrice
della “sapienza etica”. “Tale sapienza ha ispirato il giuramento di Ippocrate,
la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la Convenzione di
Ginevra ed altri lodevoli codici internazionali di comportamento”.
Il papa spiega questa “sapienza etica” con il giuramento di Ippocrate, un pagano
del III secolo a.C.; poi parla della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del
’48, una dichiarazione laica; la Convenzione di Ginevra sui comportamenti in
caso di conflitto, che è anch’essa laica. Egli non si riferisce ad elementi
religiosi. Così suggerisce che la sapienza etica può essere indipendente dalla
religione. Questa sottolineatura è importante in una società musulmana o
cristiano-tradizionale: significa che il dialogo è a 360 gradi, con tutti, anche
con chi non crede. Ma a quelli che non credono dice che non è possibile agire
senza etica, o senza fondamenti religiosi, perché in tal modo viene a mancare
qualcosa di essenziale nella formazione umana.
La religione ha soffocato l’uomo arabo
La funzione dell’università cattolica è formare “uomini e donne qualificati, sia
cristiani che musulmani o di altre religioni”. Non è un messaggio solo per
l’Islam. Questa sottolineatura a non lasciare che la religione sia sfigurata; ad
accettare la sfida della scienza per avere uno sguardo critico; a ricercare
un’etica religiosa e laica per creare una comunità da diverse religioni e non
credenti, mi pare un discorso importante nel nostro mondo arabo.
Quelli citati dal papa sono i valori che molti oggi ricercano e che noi arabi
abbiamo vissuto in passato (dal 1860 al 1950, con il cosiddetto ‘Rinascimento’,
Nahda), oppure nell’epoca medievale (dal IX all’XI secolo): allora abbiamo
vissuto un rapporto vivo fra scienza e religione, con reciproche messe in
questione, in un dialogo critico, con delle sfide. Ma da mezzo secolo circa,
questo dialogo è scomparso, sia a livello scientifico, sia a livello religioso.
Alcuni anni fa studiosi arabi hanno fatto un’analisi della situazione della
conoscenza scientifica nel mondo arabo e hanno scritto un rapporto catastrofico:
dalla scuola elementare all’università, tutti si chiedono quale sia il
contributo del mondo arabo alla conoscenza universale e ci accorgiamo che esso è
inesistente. Più recentemente, il 3 marzo scorso, il giornalista algerino Anwar
Malek, sulla tv Al-Jazeera, ha fustigato gli Arabi per non aver contribuito in
nessun modo al progresso in questo secolo.
Siamo davvero regrediti dal punto di vista scientifico. E nel campo religioso,
siamo soffocati da una religione formalista, sempre più comandata dall’esterno,
attenta all’apparenza (portare il velo, la barba, il burqa, o il Niqab), a tutte
le infinite regole che gli imam danno con le loro fatwa. Ormai su tutti i più
piccoli aspetti della vita sociale e privata si emettono delle fatwa: è vietato
usare il rossetto; depilarsi le sopracciglia; mangiare con un cristiano; vivere
insieme fra sciiti e sunniti… Decine e decine di fatwa sono emesse sul vestire,
sul modo di fare l’amore fra marito e moglie, sui rapporti economici… Tutto
questo sta soffocando la libertà e si manifesta con l’assenza di scienza,
democrazia e libertà.
Spazio alla fede nelle società occidentali
Il discorso semplice, umile e coraggioso del papa, dà il benvenuto alla scienza,
allo spirito critico, alla libertà, domandando a tutti di cercare quello che è
bello, nobile e giusto. Allo stesso tempo, egli proclama il diritto di
manifestare la fede, spingendo il mondo non religioso a trovare dei fondamenti
etici. Per me questo messaggio di Benedetto XVI è un prolungamento del discorso
di Regensburg sul rapporto fra fede e ragione. Lì, egli aveva sviluppato il tema
in ambiente cristiano e occidentale; qui lo ha ampliato in un ambiente
musulmano.
Ridurre questo messaggio a “qualcosa che serve solo per i musulmani” significa
essere miopi. Il papa ha parlato per tutto il mondo, anche per quello
occidentale, che continua ad annegare nel relativismo, nella mancanza di fede e
nel disprezzo per le religioni. A questo proposito, nel suo discorso alla
Moschea al-Hussein bin-Talal egli ha messo in guardia dal pericolo del laicismo:
“non possiamo non essere preoccupati – ha detto – per il fatto che oggi, con
insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua
pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia,
un’espressione di comunione fra persone e con Dio. Di fatto, alcuni asseriscono
che la religione è necessariamente una causa di divisione nel nostro mondo; e
per tale ragione affermano che quanto minor attenzione vien data alla religione
nella sfera pubblica, tanto meglio è”.
Questa è una critica chiarissima al relativismo e all’ateismo dell’occidente. Ma
egli corregge anche i musulmani, riconoscendo che c’è qualche verità in questa
posizione laica: “Tuttavia – aggiunge - non si dà anche il caso che spesso sia
la manipolazione ideologica della religione, talvolta a scopi politici, il
catalizzatore reale delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle
violenze nella società?”. Ma precisa che non è la religione tout court il
problema, ma “la manipolazione della religione”.
“Musulmani e cristiani – egli dice infine – devono oggi impegnarsi per essere
individuati e riconosciuti come adoratori di Dio fedeli alla preghiera,
desiderosi di comportarsi e vivere secondo le disposizioni dell’Onnipotente,
misericordiosi e compassionevoli, coerenti nel dare testimonianza di tutto ciò
che è giusto e buono, sempre memori della comune origine e dignità di ogni
persona umana, che resta al vertice del disegno creatore di Dio per il mondo e
per la storia”.
In ciò vi è l’affermazione che adorare Dio nella società è un diritto. Come c’è
un diritto di praticare la non religione, così c’è anche il diritto di praticare
la religione.
[Fonte: AsiaNews 14 maggio 2009]