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Discorso del Santo Padre in occasione dell'incontro con i Capi Religiosi
Musulmani, con il Corpo Diplomatico e con i Rettori delle università giordane
all’esterno della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman
[Discorso del Principe Ghazi Bin Muhammad Bin Talal]
Altezza Reale,
Eccellenze,
Illustri Signore e Signori,
è motivo per me di grande gioia incontrarvi questa mattina in questo splendido
ambiente. Desidero ringraziare il Principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal per le
sue gentili parole di benvenuto. Le numerose iniziative di Vostra Altezza Reale
per promuovere il dialogo e lo scambio inter-religioso ed inter-culturale sono
apprezzate dai cittadini del Regno Hashemita ed ampiamente rispettate dalla
comunità internazionale.
Sono al corrente che tali sforzi ricevono il sostegno attivo di altri membri
della Famiglia Reale come pure del Governo della Nazione e trovano vasta
risonanza nelle molte iniziative di collaborazione fra i Giordani. Per tutto
questo desidero manifestare la mia sincera ammirazione.
Luoghi di culto, come questa stupenda moschea di Al-Hussein Bin Talal intitolata
al venerato Re defunto, si innalzano come gioielli sulla superficie della terra.
Dall’antico al moderno, dallo splendido all’umile, tutti rimandano al divino,
all’Unico Trascendente, all’Onnipotente. Ed attraverso i secoli questi santuari
hanno attirato uomini e donne all’interno del loro spazio sacro per fare una
pausa, per pregare e prender atto della presenza dell’Onnipotente, come pure per
riconoscere che noi tutti siamo sue creature.
Per questa ragione non possiamo non essere preoccupati per il fatto che oggi,
con insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua
pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia,
un’espressione di comunione fra persone e con Dio. Di fatto, alcuni asseriscono
che la religione è necessariamente una causa di divisione nel nostro mondo; e
per tale ragione affermano che quanto minor attenzione vien data alla religione
nella sfera pubblica, tanto meglio è. Certamente, il contrasto di tensioni e
divisioni fra seguaci di differenti tradizioni religiose, purtroppo, non può
essere negato. Tuttavia, non si dà anche il caso che spesso sia la manipolazione
ideologica della religione, talvolta a scopi politici, il catalizzatore reale
delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle violenze nella
società? A fronte di tale situazione, in cui gli oppositori della religione
cercano non semplicemente di tacitarne la voce ma di sostituirla con la loro, il
bisogno che i credenti siano fedeli ai loro principi e alle loro credenze è
sentito in modo quanto mai acuto.
Musulmani e Cristiani, proprio a causa del peso della nostra storia comune
così spesso segnata da incomprensioni, devono oggi impegnarsi per essere
individuati e riconosciuti come adoratori di Dio fedeli alla preghiera,
desiderosi di comportarsi e vivere secondo le disposizioni dell’Onnipotente,
misericordiosi e compassionevoli, coerenti nel dare testimonianza di tutto ciò
che è giusto e buono, sempre memori della comune origine e dignità di ogni
persona umana, che resta al vertice del disegno creatore di Dio per il mondo e
per la storia.
La decisione degli educatori giordani come pure dei leader religiosi e civili di
far sì che il volto pubblico della religione rifletta la sua vera natura è degna
di plauso. L’esempio di individui e comunità, insieme con la provvista di corsi
e programmi, manifestano il contributo costruttivo della religione ai settori
educativo, culturale, sociale e ad altri settori caritativi della vostra società
civile. Ho avuto anch’io la possibilità di constatare personalmente qualcosa di
questo spirito. Ieri ho potuto prender contatto con la rinomata opera educativa
e di riabilitazione presso il Centro Nostra Signora della Pace, dove Cristiani e
Musulmani stanno trasformando le vite di intere famiglie, assistendole al fine
di far sì che i loro figli disabili possano avere il posto che loro spetta nella
società. All’inizio dell’odierna mattinata ho benedetto la prima pietra
dell’Università di Madaba, dove giovani musulmani e cristiani, gli uni accanto
agli altri, riceveranno i benefici di un’educazione superiore, che li abiliterà
a contribuire validamente allo sviluppo sociale ed economico della loro Nazione.
Di gran merito sono pure le numerose iniziative di dialogo inter-religioso
sostenute dalla Famiglia Reale e dalla comunità diplomatica, talvolta intraprese
in collegamento col Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso.
Queste comprendono il continuo lavoro degli Istituti Reali per gli Studi
Inter-religiosi e per il Pensiero Islamico, l’Amman Message del 2004, l’Amman
Interfaith Message del 2005, e la più recente lettera Common Word, che faceva eco ad un tema simile a quello da me
trattato nella mia prima Enciclica: il vincolo indistruttibile fra l’amore di
Dio e l’amore del prossimo, come pure la contraddizione fondamentale del
ricorrere, nel nome di Dio, alla violenza o all’esclusione (cfr Deus caritas
est, 16).
Chiaramente queste iniziative conducono ad una maggiore conoscenza reciproca e
promuovono un crescente rispetto sia per quanto abbiamo in comune sia per ciò
che comprendiamo in maniera differente. Pertanto, esse dovrebbero indurre
Cristiani e Musulmani a sondare ancor più profondamente l’essenziale rapporto
fra Dio ed il suo mondo, così che insieme possiamo darci da fare perché la
società si accordi armoniosamente con l’ordine divino. A tale riguardo, la
collaborazione realizzata qui in Giordania costituisce un esempio incoraggiante
e persuasivo per la regione, in realtà anzi per il mondo, del contributo
positivo e creativo che la religione può e deve dare alla società civile.
Distinti Amici, oggi desidero far menzione di un compito che ho indicato
in diverse occasioni e che credo fermamente Cristiani e Musulmani possano
assumersi, in particolare attraverso il loro contributo all’insegnamento e alla
ricerca scientifica, come pure al servizio alla società.
Tale compito costituisce la sfida a coltivare per il bene, nel contesto della
fede e della verità, il vasto potenziale della ragione umana. I Cristiani in
effetti descrivono Dio, fra gli altri modi, come Ragione creatrice, che ordina e
guida il mondo. E Dio ci dota della capacità a partecipare a questa Ragione e
così ad agire in accordo con ciò che è bene. I Musulmani adorano Dio, Creatore
del Cielo e della Terra, che ha parlato all’umanità. E quali credenti nell’unico
Dio, sappiamo che la ragione umana è in se stessa dono di Dio, e si eleva al
piano più alto quando viene illuminata dalla luce della verità di Dio.
In realtà, quando la ragione umana umilmente consente ad essere purificata
dalla fede non è per nulla indebolita; anzi, è rafforzata nel resistere alla
presunzione di andare oltre ai propri limiti.
In tal modo, la ragione umana viene rinvigorita nell’impegno di perseguire il
suo nobile scopo di servire l’umanità, dando espressione alle nostre comuni
aspirazioni più intime, ampliando, piuttosto che manipolarlo o restringerlo, il
pubblico dibattito.
Pertanto l’adesione genuina alla religione – lungi dal restringere le nostre
menti – amplia gli orizzonti della comprensione umana. Ciò protegge la società
civile dagli eccessi di un ego ingovernabile, che tende ad assolutizzare il
finito e ad eclissare l’infinito; fa sì che la libertà sia esercitata in
sinergia con la verità, ed arricchisce la cultura con la conoscenza di ciò che
riguarda tutto ciò che è vero, buono e bello.
Una simile comprensione della ragione, che spinge continuamente la mente umana
oltre se stessa nella ricerca dell’Assoluto, pone una sfida: contiene un senso
sia di speranza sia di prudenza. Insieme, Cristiani e Musulmani sono sospinti a
cercare tutto ciò che è giusto e retto. Siamo impegnati ad oltrepassare i nostri
interessi particolari e ad incoraggiare gli altri, particolarmente gli
amministratori e i leader sociali, a fare lo stesso al fine di assaporare la
soddisfazione profonda di servire il bene comune, anche a spese personali. Ci
viene ricordato che proprio perché è la nostra dignità umana che dà origine ai
diritti umani universali, essi valgono ugualmente per ogni uomo e donna, senza
distinzione di gruppi religiosi, sociali o etnici ai quali appartengano. Sotto
tale aspetto, dobbiamo notare che il diritto di libertà religiosa va oltre la
questione del culto ed include il diritto – specie per le minoranze – di equo
accesso al mercato dell’impiego e alle altre sfere della vita civile.
Questa mattina prima di lasciarvi, vorrei in special modo sottolineare la
presenza tra noi di Sua Beatitudine Emmanuel III Delly, Patriarca di Baghdad,
che io saluto molto calorosamente. La sua presenza richiama alla mente i
cittadini del vicino Iraq, molti dei quali hanno trovato cordiale accoglienza
qui in Giordania. Gli sforzi della comunità internazionale nel promuovere la
pace e la riconciliazione, insieme con quelli dei leader locali, devono
continuare in vista di portare frutto nella vita degli iracheni. Esprimo il mio
apprezzamento per tutti coloro che sostengono gli sforzi volti ad approfondire
la fiducia e a ricostruire le istituzioni e le infrastrutture essenziali al
benessere di quella società. Ancora una volta, chiedo con insistenza ai
diplomatici ed alla comunità internazionale da essi rappresentata, come anche ai
leader politici e religiosi locali, di compiere tutto ciò che è possibile per
assicurare all’antica comunità cristiana di quella nobile terra il fondamentale
diritto di pacifica coesistenza con i propri concittadini.
Distinti Amici, confido che i sentimenti da me espressi oggi ci lascino con una
rinnovata speranza per il futuro. L’amore e il dovere davanti all’Onnipotente
non si manifestano soltanto nel culto ma anche nell’amore e nella preoccupazione
per i bambini e i giovani – le vostre famiglie – e per tutti i cittadini della
Giordania. È per loro che faticate e sono loro che vi motivano a porre al cuore
delle istituzioni, delle leggi e delle funzioni della società il bene di ogni
persona umana. Possa la ragione, nobilitata e resa umile dalla grandezza della
verità di Dio, continuare a plasmare le vita e le istituzioni di questa Nazione,
così che le famiglie possano fiorire e tutti possano vivere in pace,
contribuendo e al tempo stesso attingendo alla cultura che unifica questo grande
Regno!
© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana
In aereo
il Papa
aveva già detto ai giornalisti:
certamente cerco di
contribuire alla pace non come individuo ma in nome della Chiesa cattolica,
della Santa Sede. Noi non siamo un potere politico, ma una forza spirituale e
questa forza spirituale è una realtà che può contribuire ai progressi nel
processo di pace.
Vedo tre livelli: da credenti, siamo convinti che la preghiera sia una vera
forza.
Apre il mondo a Dio: siamo convinti che Dio ascolti e che possa agire nella
storia. Penso che se milioni di persone, di credenti, pregano, è realmente una
forza che influisce e può contribuire ad andare avanti con la pace.
Secondo punto:
noi cerchiamo di aiutare nella formazione delle coscienze.
La coscienza è la capacità dell’Uomo di percepire la verità, ma questa capacità
è spesso ostacolata da interessi particolari. E liberare da questi interessi,
aprire più alla verità, ai veri valori è un impegno grande: è un compito della
Chiesa aiutare a conoscere i veri criteri, i valori veri, e liberarci da
interessi particolari.
E così – terzo punto – parliamo anche – è proprio così! – alla ragione:
proprio perché non siamo parte politica, possiamo forse più facilmente, anche
alla luce della fede, vedere i veri criteri, aiutare nel capire quanto
contribuisca alla pace e parlare alla ragione, appoggiare le posizioni realmente
ragionevoli. E questo lo abbiamo già fatto e vogliamo farlo anche adesso e in
futuro.
"Un papa che ha il coraggio
morale di fare e parlare secondo la propria coscienza"
di Ghazi Bin Muhammad Bin Talal
"Pax Vobis". In occasione di questa storica visita alla moschea Re Hussein Bin
Talal, qui ad Amman, le porgo, Santità, papa Benedetto XVI, il benvenuto in
quattro modi.
Innanzitutto come musulmano. Le porgo il benvenuto oggi, Santità, perché so che
questa visita è gesto deliberato di buona volontà e di rispetto reciproco da
parte del supremo capo spirituale e pontefice della più ampia denominazione
della più grande religione del mondo verso la seconda più grande religione del
mondo. Infatti, cristiani e musulmani sono il 55 per cento della popolazione
mondiale e, dunque, è particolarmente significativo il fatto che questa sia solo
la terza volta nella storia che un papa visita una moschea. La prima visita è
stata compiuta nel 2001 dal suo amatissimo predecessore papa Giovanni Paolo II,
presso un monumento della storia, la storica moschea Umayyade di Damasco, che
contiene le reliquie di san Giovanni Battista. La seconda visita l'ha svolta
lei, Santità, presso la magnifica Moschea Blu di Istanbul nel 2006.
La bella moschea Re Hussein di Amman è la moschea di Stato della Giordania ed è
stata costruita e personalmente supervisionata dal grande re Hussein di
Giordania. Che Dio abbia misericordia della sua anima! Quindi, è la prima volta
nella storia che un papa visita questa nuova moschea. In questa visita vediamo
un chiaro messaggio della necessità di armonia interreligiosa e mutuo rispetto
nel mondo contemporaneo, e anche la prova visibile della sua volontà, Santità,
di assumere personalmente un ruolo guida a questo proposito.
Questo gesto è ancor più degno di nota perché questa sua visita in Giordania è
in primo luogo un pellegrinaggio spirituale alla Terra Santa cristiana, e in
particolare al sito del battesimo di Gesù Cristo per mano di Giovanni Battista a
Betania, sull'altra sponda del fiume Giordano (Giovanni 1, 28 e 3, 26).
Tuttavia, lei, Santità, ha dedicato del tempo, nel suo programma intenso e
faticoso, stancante per un uomo di qualunque età, per compiere questa visita
alla moschea Re Hussein e onorare così i musulmani.
Devo anche ringraziarla, Santità, per il rincrescimento che ha espresso dopo il
discorso di Ratisbona del 13 settembre 2006, per il danno causato ai musulmani.
Di certo, i musulmani sanno che nulla di ciò che si può dire o fare in questo
mondo può danneggiare il Profeta, che è, come hanno attestato le sue ultime
parole, in Paradiso con il più alto compagno, Dio stesso.
Ciononostante i musulmani si sono offesi per l'amore che provano per il profeta,
che è, come Dio dice nel Sacro Corano, più vicino ai credenti di essi stessi.
Quindi, i musulmani hanno anche particolarmente apprezzato il chiarimento del
Vaticano secondo il quale quanto detto a Ratisbona non rifletteva la sua
opinione, Santità, ma era semplicemente una citazione in una lezione accademica.
È quasi superfluo dire che, fra l'altro, il profeta Maometto – che i musulmani
amano, emulano e conoscono come realtà viva e presenza spirituale – è
completamente e interamente differente da come lo si descrive storicamente in
Occidente, a partire da san Giovanni Damasceno. Questi ritratti distorti, fatti
da chi non conosce né la lingua araba, né il Sacro Corano oppure non comprende i
contesti storici e culturali della vita del Profeta e quindi fraintende e
interpreta male i motivi e le intenzioni spirituali che sottendono molte sue
azioni e parole, sono purtroppo responsabili di tanta tensione storica e
culturale fra cristiani e musulmani.
È dunque urgente che i musulmani illustrino l'esempio del profeta, soprattutto,
con opere virtuose, carità, pietà e buona volontà, ricordando che il Profeta
stesso aveva una natura elevata. Infatti, nel Corano Dio afferma: "Veramente
avete nel messaggero di Dio un esempio di comportamento, per chiunque spera in
Dio e nell'ultimo giorno".
Infine, devo ringraziarla, Santità, per i numerosi suoi altri gesti di amicizia
e di cordialità verso i musulmani, fin dalla sua elezione nel 2005, incluse le
udienze concesse nel 2005 a Sua Maestà il re Abdullah II Bin Al-Hussein di
Giordania e nel 2008 a Sua Maestà il re Abdullah Bin Ad-Al-Haziz dell'Arabia
Saudita, il custode dei due luoghi sacri. La ringrazio anche per l'affettuosa
ricezione della storica "parola comune fra noi e voi",
la lettera aperta del 13
ottobre 2007 da parte di 138 esimi studiosi musulmani di tutto il mondo, il cui
numero continua ad aumentare. È stato proprio come risultato di quell'iniziativa,
che basandosi sul Sacro Corano e sulla Sacra Bibbia ha riconosciuto il primato
dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo sia nel cristianesimo sia
nell'islam, che il Vaticano sotto la sua guida personale, Santità, ha svolto il
primo seminario del forum internazionale cattolico-musulmano, dal 4 al 6
novembre 2008.
Fra poco verificheremo con il competente cardinale Tauran l'opera avviata da
quell'incontro, ma per ora desidero citare e ripetere le sue parole, Santità,
tratte dal suo discorso in occasione della chiusura di quel primo seminario: "Il
tema che avete scelto per l'incontro – amore di Dio e amore del prossimo: la
dignità della persona umana e il rispetto reciproco – è particolarmente
significativo. È stato tratto dalla lettera aperta, che presenta l'amore di Dio
e l'amore del prossimo come centro sia dell'Islam sia del Cristianesimo. Questo
tema evidenzia in maniera ancora più chiara le fondamenta teologiche e
spirituali di un insegnamento centrale delle nostre rispettive religioni. [...]
Sono ben consapevole che musulmani e cristiani hanno approcci diversi nelle
questioni riguardanti Dio. Tuttavia, possiamo e dobbiamo essere adoratori
dell'unico Dio che ci ha creato e che si preoccupa di ogni persona in ogni parte
del mondo. [...] Vi è un grande e vasto campo in cui possiamo agire insieme per
difendere e promuovere i valori morali che fanno parte del nostro retaggio
comune".
Ora, non posso non ricordare le parole di Dio nel Sacro Corano: "Non sono tutti
uguali". Alcune persone delle Scritture formano una comunità giusta, recitano i
versetti la notte, prostrandosi. Credono in Dio e nell'ultimo giorno, amano la
decenza e proibiscono l'indecenza, competono gli uni con gli altri per compiere
opere buone. Questi sono i giusti, e qualunque azione buona compiano, non verrà
loro negata perché Dio conosce chi ha timore di Lui. E ricordo anche le seguenti
parole di Dio: "E voi troverete, e voi in verità troverete, che i più vicini a
quelli che credono sono quelli che dicono: veramente noi siamo cristiani. Questo
poiché alcuni di loro sono preti e monaci".
Poi le porgo il benvenuto, Santità, come hashemita e discendente del profeta
Maometto. Inoltre, le porgo il benvenuto in questa moschea in Giordania,
ricordando che il profeta accolse i suoi vicini cristiani di Nejran a Medina e
li invitò a pregare nella propria moschea, cosa che fecero in armonia, senza
compromettere gli uni il credo religioso degli altri. Anche questa è una lezione
di inestimabile valore che il mondo deve ricordare assolutamente.
Le porgo inoltre il benvenuto come arabo e diretto discendente di Ishmael
Ali-Salaam, dal quale, secondo la Bibbia, Dio avrebbe fatto scaturire una grande
nazione, rimanendogli accanto (Genesi 21, 18-20).
Una delle virtù cardinali degli arabi, che tradizionalmente sono sopravvissuti
in alcuni dei climi più caldi e inospitali del mondo, è l'ospitalità.
L'ospitalità scaturisce dalla generosità, riconosce le necessità degli altri,
considera quanti sono lontani o vengono da lontano come amici e di fatto questa
virtù è confermata da Dio nel Sacro Corano con le parole: "E adorate Dio e
associate l'uomo a lui, siate buoni con il padre, la madre, con i parenti, gli
orfani, i poveri, i vostri vicini imparentati e quelli estranei, gli amici di
ogni giorno e i viaggiatori".
Ospitalità araba non significa soltanto amare, dare e aiutare, ma anche essere
generosi di spirito e quindi saper apprezzare. Nel 2000, durante la visita del
compianto papa Giovanni Paolo II in Giordania, lavoravo con le tribù giordane e
alcuni membri dissero di apprezzare veramente il papa. Interrogati sul perché
piacesse loro visto che lui era un cristiano mentre loro erano musulmani,
risposero sorridendo: "Perché ci ha fatto visita". Di certo Giovanni Paolo II
come lei stesso, Santo Padre, avreste potuto immediatamente andare in Palestina
e in Israele, ma invece avete scelto di cominciare il pellegrinaggio con una
visita a noi, in Giordania, cosa che noi apprezziamo.
Infine, le porgo il benvenuto come giordano. In Giordania, tutti sono uguali
davanti alla legge, indipendentemente dalla religione, dalla razza, dall'origine
o dal genere, e chi lavora nel governo deve fare tutto il possibile per tutelare
tutti nel paese, con compassione e giustizia. È stato questo l'esempio personale
e il messaggio del compianto re Hussein, che nel corso del suo regno durato 47
anni provò per tutti nel paese ciò che provava per i propri figli. È anche il
messaggio di suo figlio, Sua Maestà il re Abdullah II, che ha scelto come
singolare obiettivo del suo regno e della sua vita quello di rendere la vita di
ogni abitante della Giordania, e di fatto di ogni persona del mondo che può
raggiungere, decorosa, degna e felice, per quanto può con le scarse risorse
della Giordania.
Oggi, i cristiani in Giordania hanno diritto all'8 per cento dei seggi in
parlamento e a quote simili a ogni livello di governo e società, sebbene in
realtà il loro numero sia inferiore a quello previsto. I cristiani, oltre ad
avere leggi relative al proprio status e corti ecclesiali, godono della tutela
dello Stato sui loro luoghi sacri, sulle loro scuole. Lei, Santità, ha già
potuto constatare questo di persona, presso la
nuova università cattolica di Madaba. A Dio piacendo presto vedrà sorgere la nuova cattedrale cattolica e la
nuova chiesa melchita sul sito del battesimo.
Quindi, oggi, in Giordania, i cristiani prosperano, come del resto hanno fatto
negli ultimi duecento anni, in pace e armonia, con buona volontà e relazioni
autenticamente fraterne fra loro e con i musulmani. Questo avviene, in parte,
perché i cristiani in precedenza erano in percentuale più numerosi rispetto a
oggi. Con il calo demografico fra i cristiani e i più elevati livelli di
istruzione e di prosperità che li hanno portati a essere molto richiesti in
Occidente, il loro numero è diminuito. Ciò avviene anche perchè i musulmani
apprezzano il fatto che i cristiani erano già qui 600 anni prima di loro.
Infatti, i cristiani giordani formano forse la più antica comunità cristiana del
mondo, e per la maggior parte sono sempre stati ortodossi, aderenti al
patriarcato ortodosso di Gerusalemme in Terra Santa, che, come lei, Santità, sa
meglio di me, è la Chiesa di san Giacomo, fondata durante la vita di Gesù.
Molti di loro discendono da antiche tribù arabe e, nel corso della storia, hanno
condiviso la sorte e le lotte dei musulmani. Infatti, nel 630, durante la vita
del Profeta, entrarono a far parte del suo esercito, condotto dal figlio
adottivo e da suo cugino, e combatterono contro l'esercito bizantino degli
ortodossi nella battaglia di Mechtar. È da questa battaglia che presero il loro
nome tribale che significa "i rinforzi" e lo stesso patriarca latino Fouad Twal
discende da queste tribù.
Poi, nel 1099, durante la caduta di Gerusalemme, furono massacrati dai crociati
cattolici accanto ai loro commilitoni. In seguito, dal 1916 al 1918, durante la
grande rivolta araba, combatterono contro i musulmani turchi, accanto ai loro
amici musulmani, sotto mandato coloniale protestante, e nelle guerre
arabo-israeliane del 1948, del 1967 e del 1972 combatterono con i musulmani
arabi contro gli ebrei.
I giordani cristiani non solo hanno sempre difeso la Giordania, ma hanno anche
contribuito instancabilmente e patriotticamente alla sua edificazione, svolgendo
ruoli importanti nei campi dell'educazione, della sanità, del commercio, del
turismo, dell'agricoltura, della scienza, della cultura e in molti altri
settori. Tutto questo per dire che mentre Lei, Santità, li considera suoi
compagni cristiani, noi li consideriamo nostri compagni giordani e fanno parte
di questa terra come la terra stessa. Spero che questo spirito unitario giordano
di armonia interreligiosa, benevolenza e rispetto reciproco, sarà da esempio a
tutto il mondo e che Lei, Santità, lo porti in luoghi come Mindanao e alcune
parti dell'Africa sub-sahariana, in cui le minoranze musulmane subiscono forti
pressioni da parte di maggioranze cristiane, e anche in altri luoghi dove accade
l'opposto.
Oggi, proprio come la ho accolta in quattro modi, la ricevo in quattro modi,
Santità.
La ricevo come leader spirituale, supremo pontefice e successore di Pietro per
l'1,1 miliardi di cattolici che vivono accanto ai musulmani ovunque, e che
saluto, ricevendola.
La ricevo come papa Benedetto XVI, il cui pontificato è caratterizzato dal
coraggio morale di fare e parlare secondo la propria coscienza,
indipendentemente dalle mode del momento, e che è anche un maestro teologo
cristiano, autore di encicliche storiche sulle belle virtù cardinali dell'amore
e della speranza, che ha reintrodotto la tradizionale messa in latino per chi la
sceglie, e ha contemporaneamente fatto del dialogo interreligioso e
intrareligioso la priorità del suo pontificato, per diffondere buona volontà e
comprensione fra tutte le popolazioni della terra.
La ricevo come capo di Stato, che è anche un leader mondiale e globale su
questioni vitali di morale, etica, ambiente, pace, dignità umana, alleviamento
della povertà e della sofferenza e persino crisi finanziaria globale.
La ricevo, infine, come un semplice pellegrino di pace che giunge con umiltà e
gentilezza a pregare laddove Gesù Cristo, il Messia – la pace sia con lui! – è
stato battezzato e ha cominciato la sua missione 2000 anni fa.
Quindi, benvenuto in Giordania, Santo Padre, papa Benedetto XVI! Dio dice nel
Sacro Corano al profeta Maometto: "Sia gloria al tuo Signore, il Signore della
potenza... E la pace sia con i messaggeri, e si renda lode a Dio, il Signore dei
mondi".
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