Il dialogo secondo Benedetto XVI
Lucetta Scaraffia, 5 dicembre 2008

Il terreno concreto del confronto culturale


Nella lettera a Marcello Pera pubblicata nel suo libro Perché dobbiamo dirci cristiani, Benedetto XVI ha scritto che è necessario un "dialogo interculturale che approfondisca le conseguenze culturali delle idee religiose di base".

Anche se l'affermazione ha provocato molti commenti, non è certo la prima volta che il Papa esprime questa convinzione e cerca di indirizzare in questo senso il dialogo con le altre religioni.

Già in uno dei primi momenti del suo pontificato, nel messaggio dopo la messa concelebrata con i cardinali il 20 aprile 2005, si è espresso a questo proposito: "Non risparmierò sforzi e dedizione per proseguire il promettente dialogo avviato dai miei venerati Predecessori con le diverse civiltà, perché dalla reciproca comprensione scaturiscano le condizioni di un futuro migliore per tutti".

Questa affermazione, seguita e confermata da diverse altre prese di posizione, ha fatto capire che l'atteggiamento della Santa Sede nei confronti del dialogo con le altre religioni - fra le quali naturalmente spicca l'Islam - avrebbe preso un tono diverso. Si sarebbe passati cioè da un clima di scambio più teorico a un confronto concreto fra le civiltà che erano frutto delle diverse tradizioni religiose.

La dichiarazione Dominus Iesus, infatti, ha chiarito in modo irrevocabile che il dialogo interreligioso doveva prendere le distanze da un percorso che poteva portare verso "il relativismo delle religioni", pericolo che si correva realmente in un clima divenuto - come il cardinale Joseph Ratzinger aveva sottolineato in un'intervista al quotidiano italiano "la Repubblica" pubblicata il 16 gennaio 2005 - "una sorta di anarchismo morale e intellettuale" che "porta a non accettare più una verità unica. Il dialogo interreligioso non deve diventare un movimento nel vuoto".

Infatti, se il confronto avviene su temi teologici come la natura di Dio e le vie della salvezza, è quasi impossibile non scivolare, da una parte, sul piano della sterile contrapposizione o, dall'altra nell'eccesso opposto, cioè quello di considerare come ugualmente vere tutte le religioni.

La dichiarazione Dominus Iesus si proponeva di fare chiarezza non solo - e questo è stato l'unico aspetto preso in considerazione dai commentatori - rispetto ad alcune linee che si stavano manifestando all'interno del processo di dialogo interreligioso dal punto di vista teorico (e cioè di fronte a nuove aperture da parte di teologi cattolici), ma anche nei confronti di un processo concreto di pratica interreligiosa che è in atto negli organismi mondiali. Intorno alle Nazioni Unite si stavano infatti formando, sotto la veste di variegati movimenti interreligiosi, dei gruppi internazionali ben finanziati che si proponevano di cancellare le religioni tradizionali per sostituirle con una religione mondiale, unica per tutti, che avrebbe garantito la pace nel mondo. In un clima sempre meno interessato alla libertà religiosa - e che proprio per questo mette tutte le religioni sullo stesso piano, siano esse tolleranti o intolleranti, confondendo volutamente il proselitismo con la violenza - nei documenti ufficiali dell'Onu è stato infatti ribadito più volte che chi considera vera la propria religione a discapito delle altre è colpevole di fanatismo, e ricade quindi in quello che viene considerato "odio religioso", anche se il suo atteggiamento non contempla il ricorso alla discriminazione e alla violenza. E oggi esiste una rete mondiale, formata da una quindicina di organizzazioni internazionali che si qualificano come interreligiose, che ha già organizzato grandi incontri.

Proprio di fronte a questa realtà, di cui spesso i gruppi cattolici dediti al dialogo interreligioso non si rendono conto, si è imposta la necessità di porre dei punti fermi, cioè l'unicità e l'universalità della salvezza costituita da Cristo nella storia dell'umanità, e di conseguenza la necessità della Chiesa come mediatrice assoluta di questa.

In sostanza, la Dominus Iesus ha chiarito i termini teologici entro i quali può spingersi il dialogo con le altre religioni, termini che senza dubbio sono poco flessibili. Ma Benedetto XVI ha chiarito che il dialogo, invece, può e deve avvenire fra le culture che di queste religioni sono frutto. Questo centrare il dialogo su temi culturali permette del resto di affrontare nodi centrali, come la dignità dell'essere umano, il rispetto della donna e la libertà religiosa, temi che il dialogo teologico, o la prassi di riunioni di preghiera non affrontavano.

Il primo incontro di Benedetto XVI con esponenti di altre religioni è avvenuto a Colonia, all'inizio del quinto mese di pontificato, nel corso della ventesima Giornata mondiale della gioventù. Particolarmente significativo è stato quello con la rappresentanza dei musulmani - con i quali il dialogo si è attenuto strettamente ai temi "culturali" - il 20 agosto 2005. Il gesuita Samir Khalil Samir ha commentato le sue parole sottolineando come il pensiero del Papa sia rivelatore di una linea forte: "Il dialogo con l'islam e con le altre religioni non può essere essenzialmente un dialogo teologico o religioso, se non in senso largo di valori morali. Esso deve essere un dialogo di culture e di civiltà".

Perché - scrive ancora lo studioso gesuita - "si tratta di affrontare il vivere insieme sotto gli aspetti concreti della politica, dell'economia, della storia, della cultura, delle usanze". Benedetto XVI propone cioè, se vogliamo trovare una base comune, di "uscire dal dialogo religioso per mettere fondamenti umanistici alla base di questo dialogo, perché solo questi sono universali e comuni a tutti gli esseri umani".

Il fatto di spostare il confronto dalla sfera religiosa a quella culturale ha permesso a Benedetto XVI non solo di affrontare temi centrali come la dignità dell'essere umano e la libertà religiosa, ma anche di prendere le distanze da alcuni aspetti della modernità occidentale contrari alla tradizione cattolica. Questo avviene soprattutto per un nodo centrale nel rapporto fra l'Occidente e le altre culture: il ruolo della donna e di conseguenza l'etica sessuale e familiare. A questo proposito il Papa, pur difendendo con forza la dignità e l'uguaglianza della donna, ha preso le distanze da un processo di emancipazione femminile occidentale centrato sulla separazione fra sessualità e riproduzione, cioè sulla presa di distanza delle donne dal loro ruolo biologico di madri.

Benedetto XVI ha infatti denunciato più volte la crisi morale in cui versa la civiltà occidentale, individuando già nel libro Il sale della terra in essa la principale ragione del conflitto in atto con i musulmani: "Poi è sopravvenuta la grande crisi morale del mondo occidentale, che poi è il mondo cristiano. Di fronte alle profonde contraddizioni dell'Occidente e alla sua confusione interiore - di fronte alla quale contemporaneamente si sviluppava una nuova potenza economica dei paesi arabi - si è risvegliata l'anima islamica: siamo noi che abbiamo una identità migliore, la nostra religione resiste, voi non ne avete più nessuna. Così i musulmani hanno oggi la consapevolezza che l'islam, alla fine, è davvero rimasto sulla scena come la religione più vitale, che essi hanno da dire al mondo qualcosa e che sono dunque la vera forza religiosa del futuro". Tanto da dire esplicitamente che l'Europa "è arrivata ad odiare se stessa".

E non c'è dubbio che il cardinale Ratzinger ha individuato una delle ragioni centrali di questa decadenza nella separazione fra sessualità e procreazione che è diventato un "diritto" imprescindibile. Rispetto a questa tendenza dei diritti tipica di una certa cultura progressista occidentale il Papa ha preso nettamente le distanze, e in questo modo ha aperto una possibilità di confronto positivo con le altre culture che - legate alla realtà naturale e a una etica familiare pure spesso diversa da quella cristiana - vedono però con preoccupazione questo processo in atto nei paesi occidentali.

In Occidente, infatti, si è cercato di togliere dal matrimonio tutto ciò che costituiva rinuncia e sacrificio, quanto sembrava incompatibile con il progetto di realizzazione individuale, e lo si è distrutto, o almeno lo si è svuotato del suo vero significato.

In questo contesto, con la sua prima enciclica Deus caritas est Benedetto XVI ricorda con forza la ricchezza del matrimonio cristiano sia alla secolarizzata cultura occidentale sia alle altre culture: ancora una volta, cioè, un tema teologico come l'amore e il matrimonio possono essere ricondotti a un dialogo culturale, a un confronto non ideologico ma legato alla realtà di vita degli esseri umani, a quella realtà di vita quotidiana dove si sperimentano le convivenze possibili fra tradizioni culturali diverse.

Quindi, proprio lo spostamento del dialogo dal terreno teorico a quello delle più concrete forme di civiltà permette di affrontare davvero i problemi principali invece di creare apparenti ma falsi piani di collaborazione. E di far risaltare le differenze fra la tradizione culturale che nasce dal cattolicesimo e la deriva secolarizzata della cultura occidentale.


(©L'Osservatore Romano - 5 dicembre 2008)

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