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TURCHIA. L’ecumenismo nella vita
quotidiana di don Andrea Santoro
Simone Sereni, su pimemilano giugno/luglio 2007
«Nel villaggio di Bareshtepe un giovane
monaco ortodosso ci ha mostrato gli splendori “feriti” della chiesa. Ci ha
detto: “Gesù ci ha chiesto di amarci e di essere “uno”, noi cristiani invece
ci siamo divisi». Era fatta di tanti invisibili incontri come questo la
presenza silenziosa ma vivissima di don Andrea Santoro, il prete romano,
missionario fidei donum dal 2000, ucciso in circostanze non ancora del tutto
chiarite il 5 febbraio scorso a Trabzon sulle sponde turche del Mar Nero. Le
sue lettere – che sono disponibili sul sito internet
www.finestrasulmedioriente.it
– sono fitte di racconti di viaggio e di “normale” quotidianità missionaria
come il passo citato.
Si è parlato molto del suo rapporto con l’islam, ma il suo itinerario di fede
era in principio frutto del desiderio ispirato di riscoprire in Medio Oriente
le radici della fede cristiana comune a tanti battezzati. Don Andrea amava
dire che era necessaria una reciproca “rievangelizzazione” (ri-annuncio) tra
il Medio Oriente, grande terra santa dove Dio ha deciso di comunicarsi in modo
speciale all'uomo e l'Occidente, tenendo presenti i vuoti e le oscurità di
entrambi i contesti: «Un vero e proprio scambio di doni umani, spirituali,
culturali e religiosi che possono arricchire entrambi e contrastare quello
scambio di odio, di minacce e di guerra che troppo spesso è all’orizzonte o
quel semplice scambio di interessi che sta a cuore a molti ma che non può
bastare».
L’ecumenismo di don Andrea era dunque fatto di
concreti scambi umani e di fede: con i pochi battezzati (cattolici orientali e
ortodossi) sparsi in ogni dove in Medio Oriente (bellissimi i suoi racconti
sulle famiglie che custodiscono le “loro” vecchie chiese o gli antichi
monasteri) e, negli ultimi tempi di Trabzon, soprattutto con le tante donne
cristiane, in maggioranza ortodosse, immigrate in Turchia dai paesi confinanti
dell’ex Unione sovietica. E spessissimo nascoste nelle pieghe del mondo della
prostituzione della città.
Pur nella consapevolezza delle reciproche rigidità e chiusure, questo era il
“popolo” di don Andrea, a cui dedicava un paziente e umile servizio di
ascolto, di parola, di incontro e soprattutto di preghiera per essere “uno”
nel nome di Cristo, dimostrando che la Persona di Cristo s'incontra attraverso
le persone che decidono di seguirlo e di prestargli «anima, mente, cuore,
corpo».
Don Andrea Santoro ha davvero aperto una “finestra sul Medio Oriente” da cui
si può intravedere la strada per il futuro della Chiesa. E della pacifica
convivenza tra i popoli.
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