Esce un volume con 33 lettere scritte dal
sacerdote, dal maggio 2000 ai giorni della morte violenta in Turchia. La
difficile presenza dei cristiani, il dialogo con l’islam dopo l’11
settembre, lo stile evangelico di una testimonianza discreta ma tenace.
Nell’ultima missiva la citazione di Giovanni Crisostomo: «Cristo pasce
agnelli non lupi»
Lui le chiamava
«inezie», ma i suoi scritti sono intrisi di Vangelo, là, in terra di
missione, di cultura musulmana
Trentatré lettere
dall'Asia Minore. Come quelle che scriveva Paolo alle sue comunità.
Pagine di un sacerdote fidei donum romano andato a vivere tra i
pochi cristiani sperduti dell'Est della Turchia. Una testimonianza
semi-nascosta. Ma che una morte violenta, avvenuta a Trabzon (Trebisonda)
il 5 febbraio scorso, ci ha rivelato in tutta la sua forza. A farci
cogliere davvero il senso della vita e soprattutto della morte di don
Andrea Santoro giunge dunque quanto mai utile la pubblicazione delle sue Lettere
dalla Turchia, che arrivano ora in libreria, edite da Città Nuova
insieme a «Finestra per il Medio Oriente», l'associazione che lui stesso
aveva creato per far sì che la sua esperienza in Turchia fosse davvero
un'occasione di dialogo tra Oriente e Occidente.
Le lettere raccolte sono
quelle che don Andrea, dal maggio 2000 fino all'inizio del 2006, aveva
scritto per il giornalino dell'associazione. Sono pagine piene di
«inezie», come le chiamava lui. Piccole storie, incontri, domande
buttate lì a bruciapelo da qualcuno dei suoi nuovi amici. Parabole della
fatica, ma insieme della bellezza di una relazione tra mondi diversi. Vi
si trova l'ammirazione di fronte a famiglie poverissime ma che non hanno
paura di accogliere la vita. C'è la gioia interiore dello scoprire gesti
e pensieri familiari nell'imam della moschea vicina. E c'è
soprattutto la consapevolezza che, anche in questa terra dove le tragedie
della storia hanno ridotto i cristiani al lumicino, la Parola di Dio
risuona ancora. Anzi, nella sua essenzialità qui probabilmente parla
ancora più forte.
Può succedere anche al
corso di turco, tra compagni siriani, iraniani, georgiani, yemeniti… Si
inizia a discutere del Medio Oriente, delle cause degli odi e degli
scontri. E don Andrea a parlare della paura della diversità, della
necessità di spezzare la catena: tu mi rifiuti e io ti rispetto, tu mi
odi e io ti amo. «Una ragazza - racconta don Santoro - mi guarda e mi fa:
"Qualcuno deve cominciare, tu dici. Perché non cominci tu?". A
questo punto mi sono sentito gettare dentro, nel più profondo di me, il
Vangelo e ho sentito che mi toccava in prima persona: "perché non
cominci tu?". Il Medio Oriente non c'era più e neppure la classe.
C'ero soltanto io».
«Amare incondizionatamente
- scrive nell'introduzione al libro il cardinale vicario di Roma Camillo
Ruini -, essere sempre disponibile all'accoglienza, offrire occasioni di
incontro e di dialogo, testimoniare il perdono, affermare la sua continua
disponibilità al confronto, reprimendo ogni umano moto d'ira, soffocando
l'egoismo, combattendo i propri limiti per rimanere coraggiosamente fedele
alla chiamata di Dio: questo è stato il filo conduttore che ha sempre
seguito don Andrea, e che ha specialmente contraddistinto gli anni della
permanenza in Turchia».
Non è l'atteggiamento di
un ingenuo. A don Santoro non sfugge la delicatezza del momento storico
che stiamo vivendo. L'11 settembre lo coglie a Urfa, nella "Casa di
Abramo", il padre delle tre religioni monoteiste apparentemente
sconfitto dallo scontro tra civiltà. «Noi non abbiamo giornali,
dibattiti televisivi e conferenze - annota don Andrea -, ma forse questa
è la nostra fortuna. Ci siamo confrontati ogni giorno ampiamente, in
spirito di preghiera e di ascolto, con la Parola di Dio, con la realtà
spicciola del musulmanesimo locale, con i problemi concreti di un Paese
che da una parte è proteso verso l'Europa, dall'altra ha una sua lunga
storia, molto diversa dalla nostra, e affonda profondamente le sue radici
nella cultura mediorientale e nella religione musulmana».
Dell'islam il sacerdote
venuto da Roma apprezza la fede dei semplici, la grandezza di alcuni
gesti. Ma questo non gli impedisce di vederne i limiti, soprattutto quando
chiede all'Occidente diritti che poi non concede in Oriente. Tra le righe,
accanto ai tanti vicini musulmani che vogliono bene all'uomo che prega Dio
in un altro modo, si intuisce anche la presenza di qualcun altro che
invece è ostile. Ma la risposta di don Santoro è sempre la stessa: anche
se costa fatica, sforziamoci di amarli di più. Alle obiezioni sul
Crocifisso o sulla Trinità la sua risposta è sempre «mettiamoci insieme
nelle mani di Dio, lasciamo a lui il compito di giudicare».
È soprattutto questo stile
profondamente evangelico a emergere con chiarezza pagina dopo pagina.
«Sono qui - spiega in un'altra lettera - per abitare in mezzo a questa
gente e permettere a Gesù di farlo prestandogli la mia carne. In Medio
Oriente il peccato dell'uomo ha assunto forme terribili. In Medio Oriente
i peccati della Chiesa si sono manifestati in modo drammatico e i suoi
dolori hanno avuto delle caratteristiche particolari. Il Medio Oriente -
è la conclusione - deve essere riabitato come fu abitato ieri da Gesù:
con lunghi silenzi, con umiltà e semplicità di vita, con opere di fede,
con miracoli di carità, con la limpidezza inerme della testimonianza, con
il dono consapevole della vita». Uno stile così, però, non è da
battitori liberi. E allora si capisce il ritornello delle lettere:
«Venite!».
L'invito, nonostante le
migliaia di chilometri di distanza, a ritrovarsi comunque uniti al
giovedì nella preghiera davanti all'Eucaristia «perché il Signore mandi
operai alla sua messe». E la gioia nel raccontare che una persona o
l'altra si è fermata anche solo una settimana. Portando con la propria
semplice presenza un tesoro prezioso per la Turchia. E, insieme, ricevendo
molto da questa gente. Perché per don Santoro la fede a Roma per rimanere
vitale oggi ha assolutamente bisogno di restare in contatto con luoghi
come Urfa o Trabzon.
Nell'ultima lettera,
scritta pochi giorni prima di morire, don Andrea torna a citare una frase
di san Giovanni Crisostomo, già incontrata parecchie pagine prima:
«Cristo pasce agnelli non lupi. Se ci faremo agnelli vinceremo, se
diventeremo lupi perderemo». «Non è facile - aggiungeva lui -, come non
è facile la croce di Cristo sempre tentata dal fascino della spada. Ci
sarà chi voglia regalare al mondo la presenza di "questo"
Cristo?». È la grande domanda che don Santoro ci ha lasciato in eredità
in questo impaurito inizio di millennio.
v. anche:
::"Non
casuale" l'uccisione di Don Santoro mentre l'Islam è in rivolta,
6 febbraio 2006
:: Vedete chi sono i
cristiani? [dal sito promosso da Don Andrea Santoro]
:: Impariamo a
conoscerlo: un suo scritto da Finestra per il Medio Oriente
:: Un altro scritto: «Alla vera pace si arriva col perdono»
:: Omelia del Card.
Ruini ai solenni funerali in S. Giovanni in Laterano, 10 febbraio 2006
:: Comunicato del
Pontificio Consiglio Giustizia e Pace