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DI FRONTE ALL’AUMENTO DELL’IMMIGRAZIONE DEI MUSULMANI VERSO I PAESI EUROPEI E IL NORD AMERICA, LA CHIESA CHIEDE

AUTENTICO DIALOGO, MUTUO RISPETTO E SOLIDARIETÀ UMANA

Dialogo, sollecitudine della Chiesa e rapporto tra Stati e libertà religiosa: sono parole chiave del Documento Finale pubblicato oggi dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, a seguito della XVII Plenaria che si è svolta dal 15 al 17 maggio scorso. 

Il dato di partenza è che aumenta l’immigrazione dei musulmani verso i Paesi europei e il Nord America. La prima riflessione è che si incoraggia “una integrazione” che non significa assimilazione. E dunque, c’è subito una raccomandazione: “i cristiani devono essere solidali e aperti alla condivisione con gli immigrati musulmani”. Si tratta di conoscere meglio cultura e religione ma al tempo stesso il cristiano è sempre chiamato a testimoniare i propri valori cristiani, anche nella prospettiva di una nuova evangelizzazione. Ma a questo proposito c’è una significativa precisazione: la testimonianza sia sempre “rispettosa della libertà di coscienza e di religione”. E il documento invita i cristiani ad approfondire la loro identità di discepoli di Cristo, testimoniandola nella vita.

In definitiva, si ribadisce “la necessità del rispetto mutuo e della solidarietà umana, in un clima di pace”, per poi ricordare che la base deve essere “nella centralità della persona umana, della sua dignità e dei suoi diritti-doveri. “Naturalmente – si legge – i diritti umani e le libertà di ognuno vanno insieme con quelli delle altre persone”.

Il documento del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti approfondisce il tema del dialogo, raccomandando che sia autentico. Spiega che bisogna saper distinguere quello che le società che accolgono i migranti possono tollerare o no della cultura islamica, quel che va rispettato o condiviso, in relazione ai credenti di altre religioni”, aggiungendo che è aperta la possibilità di dare indicazioni, a tale riguardo, anche ai politici, per una giusta formulazione della legislazione civile, nel rispetto delle competenze di ciascuno.

Guardando alla situazione in alcuni Paesi a maggioranza islamica, viene ricordato che in Paesi a maggioranza islamica, risulta che cristiani e, generalmente, lavoratori immigrati poveri e senza vero potere contrattuale, sperimentano gravi difficoltà per il riconoscimento dei loro diritti umani. Questi ultimi, inoltre, hanno poca possibilità di far valere la loro causa in giustizia, poiché possono essere facilmente puniti o espulsi.

Si spendono parole di forte incoraggiamento ad assicurare nel concreto la sollecitudine della Chiesa nei vari settori della mobilità umana. In particolare, si parla di scuole e educazione per ribadire l’importanza di assicurare l’educazione delle nuove generazioni. Si legge che “la scuola ha un ruolo fondamentale per vincere il conflitto dell’ignoranza e dei pregiudizi e per conoscere correttamente e obiettivamente la religione altrui, con speciale attenzione alla libertà di coscienza e religione”. “Per i cristiani, - viene precisato - si provvederà a fornire la base di un discernimento evangelico dell’esperienza religiosa degli altri credenti e dei segni dei tempi”.

Tra le riflessioni a proposito del rapporto tra Stati e libertà religiosa, emerge la constatazione che “poiché molto spesso è lo Stato a dare “forma” all’Islam in una certa Nazione a maggioranza islamica, a organizzare il culto, a interpretarne lo spirito, a trasmetterne il patrimonio, dando alla società un carattere globalmente islamico, i non musulmani vi si sentono molto spesso cittadini di seconda classe”. Per gli immigrati cristiani la difficoltà è quindi ancora maggiore. Ma c’è anche l’espressione della soddisfazione nel constatare che “molti Stati a maggioranza islamica hanno stabilito relazioni diplomatiche con la Santa Sede, diventando con ciò più sensibili verso i diritti umani e mostrandosi desiderosi di un dialogo interculturale e interreligioso, in una cornice di sana pluralità.”

Infine, la considerazione sul ruolo dei media che si fa raccomandazione: “I mass media – si legge – possono anche offrire un importante contributo alla ‘formazione’ e purtroppo anche alla ‘deformazione’ di cristiani e musulmani”. Da qui l’invito a giornalisti e ad operatori ad assumersi le proprie responsabilità ricordando che “particolare importanza ad essi si riconosce nella creazione di un clima adatto di comprensione e di rispetto nell’informazione sui fenomeni religiosi”.

Pubblichiamo la sintesi degli interventi alla Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e Itineranti, tenutasi in Vaticano dal 15 al 17 maggio 2006 sul tema “Migrazione e itineranza da e verso i Paesi a maggioranza islamica”.

Segno dei tempi, il fenomeno della mobilità umana pone non pochi problemi anche religiosi e spirituali, oltre che sociali, economici e politici. Quando poi si tratta di “Migrazione e itineranza da e per (verso) i Paesi a maggioranza islamica”, la complessità, l’attualità, l’importanza dell’argomento sono sotto gli occhi di tutti. Su tale problematica si è svolta la XVII Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, con la partecipazione dei Membri e Consultori del Dicastero, insieme a Operatori pastorali ed esperti.

Nel salutare in Vaticano i partecipanti, Sua Santità Benedetto XVI ha affermato che il dialogo interreligioso è parte integrante dell’impegno ecclesiale a servizio dell’umanità oggi, e costituisce quasi il “pane quotidiano” per chi opera a contatto con migranti, rifugiati e itineranti. I singoli cristiani – ha aggiunto il Santo Padre – “sono chiamati ad aprire le loro braccia e il loro cuore a ogni persona – specialmente ai piccoli e ai poveri – da qualunque Paese provenga, lasciando poi alle autorità responsabili della vita pubblica di stabilire in merito le leggi ritenute opportune per una sana convivenza”, nel rispetto dei diritti umani di tutti. Papa Benedetto XVI così ha concluso: “C’è da sperare che anche i cristiani che emigrano verso Paesi a maggioranza islamica trovino là accoglienza e rispetto della loro identità religiosa”. Egli ha altresì definito la pastorale per i migranti e gli itineranti “una frontiera significativa della nuova evangelizzazione nel mondo attuale globalizzato”.

Sulla linea di quanto affermato dal Santo Padre, il Presidente del Dicastero, il Cardinale Renato Raffaele Martino, introducendo i lavori con un discorso dal titolo “Il tema della Plenaria dai nostri recenti documenti e congressi”, ha rilevato che per risolvere positivamente i problemi posti dal numero sempre crescente di migranti e itineranti da e verso i Paesi a maggioranza islamica, è necessario un franco e leale dialogo interreligioso, una vissuta testimonianza di carità e di accoglienza, lo scrupoloso rispetto della libertà religiosa, una giusta integrazione sociale e culturale con osservanza delle leggi civili vigenti, una reciprocità rettamente intesa. Tra i punti salienti del discorso del Porporato, vi è l’auspicio che, non solo da parte cattolica, ma anche da parte musulmana, vi sia una maggiore “presa di coscienza che è imprescindibile l’esercizio delle libertà fondamentali, dei diritti inviolabili della persona, della pari dignità della donna e dell’uomo, del principio democratico nel governo della società e della sana laicità dello Stato” (Istruzione Erga migrantes caritas Christi – d’ora in poi EMCC – 66).

Dal canto suo, il Segretario del Pontificio Consiglio, Arcivescovo Agostino Marchetto, nel suo intervento dal titolo “I cambiamenti, il pensiero e l’opera del Pontificio Consiglio, dall’ultima Sessione Plenaria”, ha sottolineato che fra gli obiettivi di questa Riunione vi è quello di convincere dell’importanza di un vero dialogo, sempre a più ampio raggio, traendosi alcune concrete conclusioni per assicurare accoglienza e comprensione a chi è in mobilità umana anche da e verso i Paesi a maggioranza islamica. A queste persone, o gruppi, poi, è pure chiesto di offrire il loro contributo leale e generoso al bene della comunità che li ospita e alla stessa Chiesa locale. Mons. Marchetto ha quindi aggiunto che le comunità più stabili sono invitate a comprendere i bisogni particolari degli “ospiti” o degli immigrati, sviluppando un senso grande di solidarietà. In questo modo tutti insieme, locali e nuovi arrivati, possono contribuire a realizzare una cultura di convivenza, di comprensione e di pace, nel rispetto dei diritti umani di ciascuno. Mons. Segretario, quindi, partendo da un’analisi più critica degli avvenimenti storici che oggi condizionano ancora la mobilità, ha attestato che è possibile per le Chiese (a qua e ad quam) offrire un contributo indispensabile alla società, per un giusto regolamento della mobilità stessa e la protezione delle persone che vi sono coinvolte, e di tutti. Ne sono fondamento il rispetto reciproco e la giustizia nei trattamenti giuridico religiosi. “La reciprocità è anche un atteggiamento del cuore e dello spirito, che ci rende capaci di vivere insieme e ovunque in parità di diritti e di doveri” (EMCC 64).

Parlando, nel pomeriggio del primo giorno della Plenaria, il P. Maurice Borrmans, M. Afr., Professore emerito del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica, ha offerto un quadro completo (numericamente e geograficamente) e dettagliato (statisticamente) delle attuali dimensioni “del ‘vivere insieme’ nei Paesi di popolazione musulmana maggioritaria e di presenze cristiane minoritarie, antiche o recenti”. Secondo P. Borrmans, per il futuro, la possibilità di un tale ‘vivere insieme’ è resa molto precaria dagli scontri tra diverse fazioni e dagli attentati terroristici degli ultimi anni. Infatti – egli ha affermato – “sono sempre le minoranze, che rischiano di diventare ‘capri espiatori’ in seguito a facili generalizzazioni e agli amalgami semplicistici che ridanno vita a vecchi pregiudizi e a sogni di crociate o di jihâd”. Il mondo islamico non è monolitico. La mobilità umana ha rinnovato le problematiche delle convivenze. Ne risulta un rapporto originale e talvolta contraddittorio tra religione, cultura, Stato e ordinamento giuridico, tanto più che nella ricezione della modernità, della democrazia e della laicità, ogni Paese realizza una sintesi del tutto contestualizzata.

Il Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Arcivescovo Pier Luigi Celata, intervenuto successivamente, ha osservato che “il crescente fenomeno della mobilità umana continua a determinare il superamento di quei confini geo-politici che un tempo costituivano, in molti casi, anche le linee di separazione tra il mondo cristiano e quello islamico”. Per giungere a una pacifica convivenza, Mons. Celata ha ricordato l’affermazione del Santo Padre Benedetto XVI: “il dialogo è una necessità vitale”, soprattutto per i cristiani, che sono chiamati ad amare il prossimo, nella forza e sull’esempio di Cristo. Richiamandosi all’insegnamento del Papa nel discorso rivolto ai musulmani a Colonia lo scorso anno, il Presule ha messo in luce le sfide comuni alle quali cristiani e musulmani sono chiamati a dare una risposta. Tra queste vi è, anzitutto, il terrorismo, per combattere il quale, si deve riuscire “a estirpare dai cuori il sentimento di rancore, a contrastare ogni forma di intolleranza e a opporci a ogni manifestazione di violenza”. Mons. Celata ha quindi sottolineato l’importanza della collaborazione tra cristiani e musulmani per assicurare i valori che attengono alla dignità della persona umana, come la libertà religiosa, il rispetto reciproco, la solidarietà e la pace. Riferendosi, poi, alle tensioni ereditate dal passato, il Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso ha invitato a far nostra la volontà espressa dal Santo Padre a “ricercare vie di riconciliazione e imparare a vivere rispettando ciascuno l’identità dell’altro”. Inoltre, nel relativismo conoscitivo e morale, e nel secolarismo immanentistico, oggi così diffusi nelle nostre società, Mons. Celata ha visto una sfida, per cristiani e musulmani, a testimoniare insieme il trascendente. Di fronte, poi, alla difficoltà, piuttosto diffusa tra i musulmani, a comprendere e vivere il principio di una sana laicità, come pure in considerazione della necessità di una loro corretta integrazione nelle società occidentali, come cristiani e ‘cittadini’ “siamo interpellati perché, attraverso un’opportuna opera di dialogo, offriamo loro, in atteggiamento di rispettosa amicizia”, la testimonianza della nostra esperienza.

Nella seconda giornata della Plenaria, affrontando il tema delle migrazioni dai Paesi a maggioranza islamica, il Segretario Generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, Mons. Aldo Giordano, a nome del P. Hans Vöcking, M. Afr., impossibilitato a partecipare, ha presentato la situazione degli immigrati musulmani in Europa. La loro presenza è infatti cresciuta fortemente, contribuendo a rendere la società europea multi-religiosa. Il crocevia con cui i musulmani sono confrontati nella diaspora europea è quello della modernità e post-modernità. Certo alcuni musulmani intravedono la via di una “inculturazione” nella società europea (“Islam dei lumi”), ma la maggioranza vede in termini molto problematici la cultura europea e aspira a un ritorno del modello medievale dell’islam con un forte legame tra religione, società e politica. Secondo P. Vöcking, per trovare una strada di integrazione appare importante la garanzia della libertà religiosa, l’indipendenza dai finanziamenti esteri, la creazione di strutture per la formazione dei responsabili, l’attenzione per l’educazione civica, la democrazia e i diritti dell'uomo, il dialogo tra le religioni e anche una corretta informazione sui media. In questo modo – egli conclude – si troverà la strada per un’interpretazione dell’islam che tenga conto dei valori più che delle leggi, delle scelte personali più che della nostalgia di una “età dell’oro”.

Nel Brunei la presenza dei migranti rappresenta per la Chiesa locale una sfida a esprimere la sua solidarietà in modo tangibile e fraterno, anzi – ha sottolineato il vescovo Cornelius Sim, Vicario Apostolico – la Chiesa, rispondendo alle loro necessità spirituali, garantisce un servizio ancor più necessario dell’aiuto materiale. “I lavoratori migranti trovano nella Chiesa una strada per servire i compagni cattolici, arricchendo così la mutua esperienza dell’essere Chiesa”, partecipando anche alla promozione culturale ed economica del Paese.

Il Prof. Stefano Zamagni, Presidente della Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni, intervenendo sull’accoglienza odierna di un gran numero di rifugiati musulmani, ha notato invece come essi portino con sé concezioni di vita e credenze religiose profondamente diverse da quelle degli autoctoni. Egli ha quindi invitato a evitare i due scogli che intralciano un loro armonioso inserimento nel tessuto sociale, cioè il sincretismo relativista – per cui tutte le religioni sono uguali –, e l’assimilazionismo più o meno forzato. Ha poi spronato a elaborare un modello di dialogo interculturale che proporzioni la risposta, anche in risorse pubbliche, al grado di “accettabilità” (“morale consequenziale”) delle loro richieste.

L’Arcivescovo di Bobo-Dioulasso, in Burkina Faso, Mons. Anselme T. Sanon, – nell’impossibilità di essere presente – ha inviato la sua relazione sul tema dell’accoglienza dei rifugiati cristiani nei Paesi dell’Africa Occidentale a maggioranza islamica. L’ha letta S.E. Mons. Béchara Raï, Vescovo di Jbeil, in Libano. Si sono così evidenziate e sintetizzate in un articolato prospetto tutte le diverse situazioni che connotano tali ingressi. Sottolineando, inoltre, l’importante ruolo che alla Chiesa spetta svolgere in questo ambito, si è offerta una gamma di risposte pastorali da dare, tra cui, in particolare, la creazione, nelle diocesi, di una cappellania per i rifugiati, per cercare di rispondere alle loro domande. Si sono sollecitati, allo stesso tempo, un responsabile impegno da parte delle Istituzioni internazionali e una preziosa opera di sensibilizzazione dei mezzi di comunicazione.

Il Dott. Michael Galligan-Stierle, Assistente Segretario per la Pastorale Universitaria della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti d’America, ha presentato la realtà degli studenti esteri (internazionali) negli USA provenienti da Paesi islamici. Egli ha riassunto brevemente la storia dei molteplici incontri, delle consultazioni e dichiarazioni congiunte, in dialogo fra musulmani e cattolici, a partire dal 1987. Ha quindi sottolineato i dati statistici relativi ai 16,3 milioni di studenti universitari del suo Paese, di cui 591.188 sono esteri (internazionali). Ha poi delineato alcune delle maggiori preoccupazioni che toccano quelli musulmani, con considerazione prioritaria per il luogo in cui pregare nei Campus, elencando un gran numero di programmi offerti per la popolazione studentesca musulmana, grazie alle risposte a un questionario inviato ai 1.200 cappellani della pastorale universitaria. Infine, ha raccomandato che tutti i progetti pastorali per gli studenti esteri (internazionali) siano espressione di rispetto, dialogo, apertura culturale e libertà.

P. Bernard Lapize de Salée, S.J., illustrando la situazione degli studenti esteri (internazionali) in Algeria, il cui numero è in crescita, ha riferito che colà la Chiesa considera la loro presenza una grande grazia e un’ottima testimonianza nell’Algeria musulmana. Infatti, anche se i musulmani sono più numerosi, molti sono i cristiani, provenienti essenzialmente dai Paesi francofoni dell’Africa occidentale. Tali studenti partecipano attivamente alla vita della Chiesa e costituiscono l’elemento più giovane delle comunità cristiane nel Paese. Inoltre essi offrono la loro esperienza diretta con la gioventù algerina musulmana, con la quale vivono a contatto nelle città universitarie. P. Lapize de Salée ha concluso che sarebbe auspicabile una collaborazione, o almeno avere dei contatti, tra le Chiese dei Paesi di provenienza e quelle del Maghreb (Africa del Nord), cosa che già in parte avviene.

Passando all’itineranza, da e per i Paesi a maggioranza islamica, sulla problematica dei Rom, la Dott.ssa Hannelore Valier, dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, ha rilevato che, escludendo l’India, per la maggior parte vivono in Europa centrale e orientale. Nonostante siano comunemente associati al nomadismo, essi si trovano stabilmente in Paesi europei da centinaia di anni. Fra i problemi cui devono far fronte vi sono emarginazione, xenofobia e razzismo, nonché basso livello di istruzione, elevata disoccupazione (50-90%), insufficiente assistenza sanitaria e condizioni molto povere di alloggio. Malgrado tutto ciò, la volontà di sopravvivere è stata la spinta che ha guidato i Rom nel corso dei secoli. La comunità internazionale sta lavorando comunque per migliorare la loro integrazione sociale, nel rispetto della loro identità culturale, basandosi sul principio di un trattamento equo. È necessario dunque rafforzare la maturità delle società democratiche e la loro capacità di comprendere e rispettare la diversità sociale, culturale e religiosa degli Zingari.

Nel settore dell’Apostolato del Mare, il Diacono Ricardo Rodriguez Martos, di Barcellona (Spagna), ha riferito che tale azione pastorale offre servizi fondamentalmente uguali a tutti i marittimi, qualunque sia la loro religione. Secondo calcoli statistici, il 18% dei marittimi mercantili sarebbero musulmani, ovvero circa 200 mila persone. In genere essi sono molto religiosi e praticanti. I musulmani non chiedono comunque assistenza spirituale ai cristiani e, se viene loro proposta (per es. fornendo un contatto con una Moschea), generalmente la declinano. Essi apprezzano tuttavia un aiuto materiale – quando necessario – e testimonianze di carità e amicizia. L’Apostolato del Mare ha sollecitato per es., nell’ultimo decennio, una collaborazione con le moschee di Barcellona, ma senza successo. Recentemente, tuttavia, il Consiglio Islamico della città si è mostrato favorevole a una collaborazione che vedrà l’AM indirizzare i marittimi musulmani, che chiedono assistenza religiosa, alla loro comunità locale.

Dal canto suo, il Rev. P. Xavier Pinto, C.Ss.R., Direttore nazionale dell’Apostolato del Mare in India, ha dichiarato che il 70% dei marittimi che colà visitano i centri Stella Maris sono filippini, mentre indiani, bangladesi e pachistani – nell’ordine – si contendono la maggior parte del restante 30%. Secondo il relatore, per numerosi musulmani, Gesù è un esempio di santità e di pietà, che avrebbe vissuto il vero Islam. Questo sarebbe il punto di partenza che permette di interagire con i musulmani e lavorare insieme. Egli ha aggiunto che, per poter esercitare l’apostolato per i marittimi in navigazione e in sosta nei porti, è necessario anzitutto rispettare le leggi del Paese ospitante e riuscire a integrare l’Apostolato del Mare nella pastorale d’insieme della Chiesa locale, anche nei Paesi a maggioranza islamica.

Sr. Patricia Ebegbulem, SSL, con riguardo all’assistenza alle “donne di strada” nigeriane, sia in patria che in terra straniera, ha riferito che la maggior parte di esse si avviano al triste commercio del loro corpo per ragioni di povertà e discriminazione. La Chiesa cattolica è all’avanguardia nella riabilitazione e promozione della dignità delle donne e della femminilità (con citazione di Giovanni Paolo II, nell’Esortazione Apostolica Ecclesia in Africa, n. 121). Sr. Patricia ha proposto che il 2010 venga dichiarato anno della Dignità delle Donne e ha rivolto un invito a sostenere tale proposta.

Il P. Martin McDermott, S.J., con riferimento al Libano, ha rilevato che attualmente ci sono due tipi di “donne di strada” nel Paese, le ex-domestiche, alla mercé dei loro “protettori”, sia musulmani che cristiani, e le cosiddette artiste. La prostituzione viene teoricamente proibita, ma in pratica regolamentata. Tali donne, una volta giunte in Libano, si trovano nell’impossibilità di cambiare vita e, perfino, di spostarsi all’interno del Paese, con un meccanismo che le priva dei diritti, dei documenti e quindi della libertà.

Nel suo intervento, la Sig.ra Thérèse Farra, libanese, ha indicato nei pellegrinaggi cosiddetti “condivisi” – cioè fatti insieme – tra cristiani e musulmani, un’occasione per allacciare amicizie durevoli e stabilire una rete di relazioni costruttive. L’organizzazione “Darb Maryam” (Il cammino di Maria), operante in questo campo, si propone di offrire un ambito per incontri dove esercitarsi al “dialogo della vita” e incoraggiare alla ricerca dei valori comuni. I partecipanti vi scoprono la religione degli altri, camminando e pregando assieme per la pace, fianco a fianco, cercando di costruirla fra di loro e diffonderla attorno a sé.

Mons. Liberio Andreatta, Amministratore Delegato dell’Opera Romana Pellegrinaggi, affrontando l’argomento dei pellegrinaggi cattolici nei Paesi a maggioranza islamica, ha fatto notare come l’incontro con i musulmani sia abbastanza frequente in varie tappe del pellegrinaggio. In tali occasioni si avviano conversazioni, dialoghi, a volte anche discussioni, che non portano, però, a un avvicinamento delle posizioni religiose o delle idee, a motivo di convinzioni molto radicate. È possibile, inoltre, anzi doveroso, che i cristiani, nel pellegrinaggio, riscoprano la loro identità, cioè il loro essere discepoli di Gesù Cristo e impegnati nella “Missione ad Gentes”. Certo che l’archetipo del pellegrinare risiede nell’andare alla ricerca del volto di Cristo nella persona dei fratelli.

Nel campo infine dell’apostolato dell’aviazione civile, Don Paschal Ryan, cappellano dell’aeroporto di Heathrow, a Londra, ha osservato che, per la “mondializzazione”, gli aeroporti sono diventati anche crocevia della civiltà contemporanea. Essi non riflettono soltanto la propria comunità locale, ma anche la comunità globale. Negli aeroporti transitano anche numerosi credenti di diverse religioni, che viaggiano pure per motivi religiosi, in quanto la nozione di pellegrinaggio è comune a cristiani, ebrei, induisti, musulmani e altri. Nell’Islam, inoltre, i credenti sono proprio esortati a recarsi nei santuari legati al loro profeta Muhammad, almeno una volta in vita. Nell’aeroporto di Heathrow, inoltre, lavorano 65/70.000 persone di diverse religioni. Certamente la caratteristica degli aeroporti risiede nella natura fugace di tanti incontri fra persone, in quanto milioni di passeggeri vi transitano velocemente ogni anno. Ciononostante, questa situazione insolita consente, però, di incontrare lo straniero e di capire come i contatti fra cristiani e credenti di altre religioni possono portare finanche a una feconda collaborazione. Inoltre, vedendo uomini e donne di diverse religioni, razze e classi sociali lavorare insieme, oppure condividere lo stesso spazio di preghiera multi-religiosa, si può immaginare come potrebbe, meglio dovrebbe, essere il mondo.

Nella giornata conclusiva della Plenaria, l’Arcivescovo Giovanni Lajolo, Segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, ha affermato che, al di là di timori e titubanze, una gestione accorta e trasparente delle migrazioni potrebbe recare benefici sia ai Paesi di origine che a quelli di destinazione. Egli ha affrontato così un tema dibattuto in varie nazioni europee, timorose di aprire il proprio territorio e, tuttavia, in cronica necessità di manodopera giovane, flessibile e a buon mercato, il cui impiego lavorativo sembra avere limitate ricadute negative sull’occupazione dei lavoratori autoctoni. “La Chiesa – ha detto il Presule – in conformità alla natura cattolica della sua missione e alla sua scelta preferenziale per i poveri, è in favore dell’affermazione del diritto a emigrare e alla tutela dei diritti dei migranti. Ciò non toglie che sia grave compito dei politici regolare la consistenza e la forma dei flussi migratori, così che gli immigrati possano sentirsi accolti umanamente con dignità e la popolazione del paese che li riceve non sia posta in condizioni oggettivamente favorevoli al rigetto, con conseguenze nefaste per gli immigrati, ma non meno per la cultura umana della popolazione ospitante e per i rapporti tra i popoli”. Notando che la religione costituisce per varie persone provenienti dai Paesi a maggioranza islamica, un elemento di profonda identificazione, il Presule ha riaffermato la necessità di un rigoroso e reciproco rispetto della libertà religiosa, con conseguente difesa delle minoranze e dei loro diritti umani. “Se da più parti – ha rilevato Mons. Lajolo – si invoca almeno la reciprocità del rispetto e delle concessioni (libertà di culto, costruzione di luoghi di culto, ...), tuttavia questo concetto, tra numerosi Stati di vari continenti, sembra per ora estraneo in materia religiosa a gran parte dei paesi musulmani, che invocano per i loro cittadini all’estero la pienezza dei diritti che non riconoscono, invece, ai migranti di altre fedi sul proprio territorio”. Secondo Mons. Lajolo la Santa Sede continuerà a dichiarare la propria ferma opposizione a ogni tentativo di usare la religione per giustificare il terrorismo e la violenza. Da ultimo il Segretario per i Rapporti con gli Stati ha fatto cenno al delicato problema della protezione dei cristiani in Paesi a maggioranza islamica, la cui mancanza sta inducendo migliaia di fedeli a lasciare la loro patria.

Infine il Segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, l’Arcivescovo Robert Sarah, dopo aver tracciato un profilo dei migranti che provengono dall’Africa sub-sahariana, ha spiegato che le cause del loro esodo sono legate alla storia, alla situazione socio-politica, a situazioni drammatiche di insicurezza e guerra, alle condizioni economiche, a fenomeni culturali come la globalizzazione. A seguito poi delle guerre civili in alcuni Paesi, più di 4 milioni di persone sono fuggite altrove. Il Presule ha quindi spiegato che il cronico stato di povertà e insicurezza che rende il continente africano prono al sottosviluppo permanente, influisce negativamente sulle persone e le istituzioni, riduce gli investimenti esteri, incentiva la criminalità, ecc.

Nel delineare poi il percorso che i migranti compiono per recarsi nel Maghreb, Mons. Sarah definisce una vera via crucis la tragedia vissuta da queste persone, trattate poi all’arrivo in modo umiliante e inumano. Mons. Sarah, dopo aver delineato i maggiori problemi che i migranti si trovano ad affrontare, ha offerto alcune soluzioni e prospettive. “La Chiesa, particolarmente quella d’Africa, ha il dovere di assumere sempre più integralmente il ruolo del buon samaritano”. I cristiani, da parte loro, sono invitati a svolgere con chiarezza e dedizione il loro ruolo nei confronti degli immigrati e dei rifugiati. Le Conferenze Episcopali dei Paesi di partenza e di arrivo potrebbero dare il loro contributo informando, aiutando e accompagnando chi vuole migrare nella legalità. Attenzione particolare andrebbe rivolta all’aiuto per l’integrazione, nel rispetto della cultura, della religione e dei valori umani fondamentali. Mons. Sarah ha invitato quindi a favorire il dialogo sociale, interculturale e anche inter-religioso.

   
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