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DI FRONTE ALL’AUMENTO DELL’IMMIGRAZIONE
DEI MUSULMANI VERSO I
PAESI EUROPEI E IL NORD AMERICA, LA CHIESA CHIEDE
AUTENTICO DIALOGO,
MUTUO RISPETTO E SOLIDARIETÀ UMANA
Dialogo, sollecitudine della
Chiesa e rapporto tra Stati e libertà religiosa: sono parole chiave del
Documento Finale pubblicato oggi dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i
Migranti e gli Itineranti, a seguito della XVII Plenaria che si è svolta dal 15
al 17 maggio scorso.
Il dato di partenza è che
aumenta l’immigrazione dei musulmani verso i Paesi europei e il Nord America.
La prima riflessione è che si incoraggia “una integrazione” che non
significa assimilazione. E dunque, c’è subito una raccomandazione: “i
cristiani devono essere solidali e aperti alla condivisione con gli immigrati
musulmani”. Si tratta di conoscere meglio cultura e religione ma al tempo
stesso il cristiano è sempre chiamato a testimoniare i propri valori cristiani,
anche nella prospettiva di una nuova evangelizzazione. Ma a questo proposito c’è
una significativa precisazione: la testimonianza sia sempre “rispettosa della
libertà di coscienza e di religione”. E il documento invita i cristiani ad
approfondire la loro identità di discepoli di Cristo, testimoniandola nella
vita.
In definitiva, si ribadisce “la
necessità del rispetto mutuo e della solidarietà umana, in un clima di pace”,
per poi ricordare che la base deve essere “nella centralità della persona
umana, della sua dignità e dei suoi diritti-doveri. “Naturalmente – si
legge – i diritti umani e le libertà di ognuno vanno insieme con quelli delle
altre persone”.
Il documento del Pontificio
Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti approfondisce il tema
del dialogo, raccomandando che sia autentico. Spiega che bisogna saper
distinguere quello che le società che accolgono i migranti possono tollerare o
no della cultura islamica, quel che va rispettato o condiviso, in relazione ai
credenti di altre religioni”, aggiungendo che è aperta la possibilità di
dare indicazioni, a tale riguardo, anche ai politici, per una giusta
formulazione della legislazione civile, nel rispetto delle competenze di
ciascuno.
Guardando alla situazione in
alcuni Paesi a maggioranza islamica, viene ricordato che in Paesi a maggioranza
islamica, risulta che cristiani e, generalmente, lavoratori immigrati poveri e
senza vero potere contrattuale, sperimentano gravi difficoltà per il
riconoscimento dei loro diritti umani. Questi ultimi, inoltre, hanno poca
possibilità di far valere la loro causa in giustizia, poiché possono essere
facilmente puniti o espulsi.
Si spendono parole di forte
incoraggiamento ad assicurare nel concreto la sollecitudine della Chiesa nei
vari settori della mobilità umana. In particolare, si parla di scuole e
educazione per ribadire l’importanza di assicurare l’educazione delle nuove
generazioni. Si legge che “la scuola ha un ruolo fondamentale per vincere il
conflitto dell’ignoranza e dei pregiudizi e per conoscere correttamente e
obiettivamente la religione altrui, con speciale attenzione alla libertà di
coscienza e religione”. “Per i cristiani, - viene precisato - si provvederà
a fornire la base di un discernimento evangelico dell’esperienza religiosa
degli altri credenti e dei segni dei tempi”.
Tra le riflessioni a proposito
del rapporto tra Stati e libertà religiosa, emerge la constatazione che “poiché
molto spesso è lo Stato a dare “forma” all’Islam in una certa Nazione a
maggioranza islamica, a organizzare il culto, a interpretarne lo spirito, a
trasmetterne il patrimonio, dando alla società un carattere globalmente
islamico, i non musulmani vi si sentono molto spesso cittadini di seconda classe”.
Per gli immigrati cristiani la difficoltà è quindi ancora maggiore. Ma c’è
anche l’espressione della soddisfazione nel constatare che “molti Stati a
maggioranza islamica hanno stabilito relazioni diplomatiche con la Santa Sede,
diventando con ciò più sensibili verso i diritti umani e mostrandosi
desiderosi di un dialogo interculturale e interreligioso, in una cornice di sana
pluralità.”
Infine, la considerazione sul
ruolo dei media che si fa raccomandazione: “I mass media – si legge –
possono anche offrire un importante contributo alla ‘formazione’ e purtroppo
anche alla ‘deformazione’ di cristiani e musulmani”. Da qui l’invito a
giornalisti e ad operatori ad assumersi le proprie responsabilità ricordando
che “particolare importanza ad essi si riconosce nella creazione di un clima
adatto di comprensione e di rispetto nell’informazione sui fenomeni religiosi”.
Pubblichiamo la sintesi degli
interventi alla Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i
Migranti e Itineranti, tenutasi in Vaticano dal 15 al 17 maggio 2006 sul tema
“Migrazione e itineranza da e verso i Paesi a maggioranza islamica”.
Segno dei tempi, il fenomeno della mobilità umana
pone non pochi problemi anche religiosi e spirituali, oltre che sociali,
economici e politici. Quando poi si tratta di “Migrazione e itineranza da
e per (verso) i Paesi a maggioranza islamica”, la complessità,
l’attualità, l’importanza dell’argomento sono sotto gli occhi di tutti.
Su tale problematica si è svolta la XVII Sessione Plenaria del Pontificio
Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, con la partecipazione
dei Membri e Consultori del Dicastero, insieme a Operatori pastorali ed esperti.
Nel salutare in Vaticano i partecipanti, Sua Santità Benedetto XVI ha affermato
che il dialogo interreligioso è parte integrante dell’impegno ecclesiale a
servizio dell’umanità oggi, e costituisce quasi il “pane quotidiano” per
chi opera a contatto con migranti, rifugiati e itineranti. I singoli cristiani
– ha aggiunto il Santo Padre – “sono chiamati ad aprire le loro braccia e
il loro cuore a ogni persona – specialmente ai piccoli e ai poveri – da
qualunque Paese provenga, lasciando poi alle autorità responsabili della vita
pubblica di stabilire in merito le leggi ritenute opportune per una sana
convivenza”, nel rispetto dei diritti umani di tutti. Papa Benedetto XVI così
ha concluso: “C’è da sperare che anche i cristiani che emigrano verso Paesi
a maggioranza islamica trovino là accoglienza e rispetto della loro identità
religiosa”. Egli ha altresì definito la pastorale per i migranti e gli
itineranti “una frontiera significativa della nuova evangelizzazione nel mondo
attuale globalizzato”.
Sulla linea di quanto affermato dal Santo Padre, il Presidente del Dicastero, il
Cardinale Renato Raffaele Martino, introducendo i lavori con un discorso dal
titolo “Il tema della Plenaria dai nostri recenti documenti e congressi”, ha
rilevato che per risolvere positivamente i problemi posti dal numero sempre
crescente di migranti e itineranti da e verso i Paesi a
maggioranza islamica, è necessario un franco e leale dialogo interreligioso,
una vissuta testimonianza di carità e di accoglienza, lo scrupoloso rispetto
della libertà religiosa, una giusta integrazione sociale e culturale con
osservanza delle leggi civili vigenti, una reciprocità rettamente intesa. Tra i
punti salienti del discorso del Porporato, vi è l’auspicio che, non solo da
parte cattolica, ma anche da parte musulmana, vi sia una maggiore “presa di
coscienza che è imprescindibile l’esercizio delle libertà fondamentali, dei
diritti inviolabili della persona, della pari dignità della donna e
dell’uomo, del principio democratico nel governo della società e della sana
laicità dello Stato” (Istruzione Erga migrantes caritas Christi –
d’ora in poi EMCC – 66).
Dal canto suo, il Segretario del Pontificio Consiglio, Arcivescovo Agostino
Marchetto, nel suo intervento dal titolo “I cambiamenti, il pensiero e
l’opera del Pontificio Consiglio, dall’ultima Sessione Plenaria”, ha
sottolineato che fra gli obiettivi di questa Riunione vi è quello di convincere
dell’importanza di un vero dialogo, sempre a più ampio raggio, traendosi
alcune concrete conclusioni per assicurare accoglienza e comprensione a chi è
in mobilità umana anche da e verso i Paesi a maggioranza islamica. A queste
persone, o gruppi, poi, è pure chiesto di offrire il loro contributo leale e
generoso al bene della comunità che li ospita e alla stessa Chiesa locale.
Mons. Marchetto ha quindi aggiunto che le comunità più stabili sono invitate a
comprendere i bisogni particolari degli “ospiti” o degli immigrati,
sviluppando un senso grande di solidarietà. In questo modo tutti insieme,
locali e nuovi arrivati, possono contribuire a realizzare una cultura di
convivenza, di comprensione e di pace, nel rispetto dei diritti umani di
ciascuno. Mons. Segretario, quindi, partendo da un’analisi più critica degli
avvenimenti storici che oggi condizionano ancora la mobilità, ha attestato che
è possibile per le Chiese (a qua e ad quam) offrire un contributo
indispensabile alla società, per un giusto regolamento della mobilità stessa e
la protezione delle persone che vi sono coinvolte, e di tutti. Ne sono
fondamento il rispetto reciproco e la giustizia nei trattamenti giuridico
religiosi. “La reciprocità è anche un atteggiamento del cuore e dello
spirito, che ci rende capaci di vivere insieme e ovunque in parità di diritti e
di doveri” (EMCC 64).
Parlando, nel pomeriggio del primo giorno della Plenaria, il P. Maurice Borrmans,
M. Afr., Professore emerito del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica,
ha offerto un quadro completo (numericamente e geograficamente) e dettagliato
(statisticamente) delle attuali dimensioni “del ‘vivere insieme’ nei Paesi
di popolazione musulmana maggioritaria e di presenze cristiane minoritarie,
antiche o recenti”. Secondo P. Borrmans, per il futuro, la possibilità di un
tale ‘vivere insieme’ è resa molto precaria dagli scontri tra diverse
fazioni e dagli attentati terroristici degli ultimi anni. Infatti – egli ha
affermato – “sono sempre le minoranze, che rischiano di diventare ‘capri
espiatori’ in seguito a facili generalizzazioni e agli amalgami semplicistici
che ridanno vita a vecchi pregiudizi e a sogni di crociate o di jihâd”. Il
mondo islamico non è monolitico. La mobilità umana ha rinnovato le
problematiche delle convivenze. Ne risulta un rapporto originale e talvolta
contraddittorio tra religione, cultura, Stato e ordinamento giuridico, tanto più
che nella ricezione della modernità, della democrazia e della laicità, ogni
Paese realizza una sintesi del tutto contestualizzata.
Il Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso,
Arcivescovo Pier Luigi Celata, intervenuto successivamente, ha osservato che
“il crescente fenomeno della mobilità umana continua a determinare il
superamento di quei confini geo-politici che un tempo costituivano, in molti
casi, anche le linee di separazione tra il mondo cristiano e quello islamico”.
Per giungere a una pacifica convivenza, Mons. Celata ha ricordato
l’affermazione del Santo Padre Benedetto XVI: “il dialogo è una necessità
vitale”, soprattutto per i cristiani, che sono chiamati ad amare il prossimo,
nella forza e sull’esempio di Cristo. Richiamandosi all’insegnamento del
Papa nel discorso rivolto ai musulmani a Colonia lo scorso anno, il Presule ha
messo in luce le sfide comuni alle quali cristiani e musulmani sono chiamati a
dare una risposta. Tra queste vi è, anzitutto, il terrorismo, per combattere il
quale, si deve riuscire “a estirpare dai cuori il sentimento di rancore, a
contrastare ogni forma di intolleranza e a opporci a ogni manifestazione di
violenza”. Mons. Celata ha quindi sottolineato l’importanza della
collaborazione tra cristiani e musulmani per assicurare i valori che attengono
alla dignità della persona umana, come la libertà religiosa, il rispetto
reciproco, la solidarietà e la pace. Riferendosi, poi, alle tensioni ereditate
dal passato, il Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo
Interreligioso ha invitato a far nostra la volontà espressa dal Santo Padre a
“ricercare vie di riconciliazione e imparare a vivere rispettando ciascuno
l’identità dell’altro”. Inoltre, nel relativismo conoscitivo e morale, e
nel secolarismo immanentistico, oggi così diffusi nelle nostre società, Mons.
Celata ha visto una sfida, per cristiani e musulmani, a testimoniare insieme il
trascendente. Di fronte, poi, alla difficoltà, piuttosto diffusa tra i
musulmani, a comprendere e vivere il principio di una sana laicità, come pure
in considerazione della necessità di una loro corretta integrazione nelle
società occidentali, come cristiani e ‘cittadini’ “siamo interpellati
perché, attraverso un’opportuna opera di dialogo, offriamo loro, in
atteggiamento di rispettosa amicizia”, la testimonianza della nostra
esperienza.
Nella seconda giornata della Plenaria, affrontando il tema delle migrazioni dai
Paesi a maggioranza islamica, il Segretario Generale del Consiglio delle
Conferenze Episcopali Europee, Mons. Aldo Giordano, a nome del P. Hans Vöcking,
M. Afr., impossibilitato a partecipare, ha presentato la situazione degli
immigrati musulmani in Europa. La loro presenza è infatti cresciuta fortemente,
contribuendo a rendere la società europea multi-religiosa. Il crocevia con cui
i musulmani sono confrontati nella diaspora europea è quello della modernità e
post-modernità. Certo alcuni musulmani intravedono la via di una
“inculturazione” nella società europea (“Islam dei lumi”), ma la
maggioranza vede in termini molto problematici la cultura europea e aspira a un
ritorno del modello medievale dell’islam con un forte legame tra religione,
società e politica. Secondo P. Vöcking, per trovare una strada di integrazione
appare importante la garanzia della libertà religiosa, l’indipendenza dai
finanziamenti esteri, la creazione di strutture per la formazione dei
responsabili, l’attenzione per l’educazione civica, la democrazia e i
diritti dell'uomo, il dialogo tra le religioni e anche una corretta informazione
sui media. In questo modo – egli conclude – si troverà la strada per
un’interpretazione dell’islam che tenga conto dei valori più che delle
leggi, delle scelte personali più che della nostalgia di una “età
dell’oro”.
Nel Brunei la presenza dei migranti rappresenta per la Chiesa locale una sfida a
esprimere la sua solidarietà in modo tangibile e fraterno, anzi – ha
sottolineato il vescovo Cornelius Sim, Vicario Apostolico – la Chiesa,
rispondendo alle loro necessità spirituali, garantisce un servizio ancor più
necessario dell’aiuto materiale. “I lavoratori migranti trovano nella Chiesa
una strada per servire i compagni cattolici, arricchendo così la mutua
esperienza dell’essere Chiesa”, partecipando anche alla promozione culturale
ed economica del Paese.
Il Prof. Stefano Zamagni, Presidente della Commissione Cattolica Internazionale
per le Migrazioni, intervenendo sull’accoglienza odierna di un gran numero di
rifugiati musulmani, ha notato invece come essi portino con sé concezioni di
vita e credenze religiose profondamente diverse da quelle degli autoctoni. Egli
ha quindi invitato a evitare i due scogli che intralciano un loro armonioso
inserimento nel tessuto sociale, cioè il sincretismo relativista – per cui
tutte le religioni sono uguali –, e l’assimilazionismo più o meno forzato.
Ha poi spronato a elaborare un modello di dialogo interculturale che proporzioni
la risposta, anche in risorse pubbliche, al grado di “accettabilità”
(“morale consequenziale”) delle loro richieste.
L’Arcivescovo di Bobo-Dioulasso, in Burkina Faso, Mons. Anselme T. Sanon, –
nell’impossibilità di essere presente – ha inviato la sua relazione sul
tema dell’accoglienza dei rifugiati cristiani nei Paesi dell’Africa
Occidentale a maggioranza islamica. L’ha letta S.E. Mons. Béchara Raï,
Vescovo di Jbeil, in Libano. Si sono così evidenziate e sintetizzate in un
articolato prospetto tutte le diverse situazioni che connotano tali ingressi.
Sottolineando, inoltre, l’importante ruolo che alla Chiesa spetta svolgere in
questo ambito, si è offerta una gamma di risposte pastorali da dare, tra cui,
in particolare, la creazione, nelle diocesi, di una cappellania per i rifugiati,
per cercare di rispondere alle loro domande. Si sono sollecitati, allo stesso
tempo, un responsabile impegno da parte delle Istituzioni internazionali e una
preziosa opera di sensibilizzazione dei mezzi di comunicazione.
Il Dott. Michael Galligan-Stierle, Assistente Segretario per la Pastorale
Universitaria della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti d’America, ha
presentato la realtà degli studenti esteri (internazionali) negli USA
provenienti da Paesi islamici. Egli ha riassunto brevemente la storia dei
molteplici incontri, delle consultazioni e dichiarazioni congiunte, in dialogo
fra musulmani e cattolici, a partire dal 1987. Ha quindi sottolineato i dati
statistici relativi ai 16,3 milioni di studenti universitari del suo Paese, di
cui 591.188 sono esteri (internazionali). Ha poi delineato alcune delle maggiori
preoccupazioni che toccano quelli musulmani, con considerazione prioritaria per
il luogo in cui pregare nei Campus, elencando un gran numero di programmi
offerti per la popolazione studentesca musulmana, grazie alle risposte a un
questionario inviato ai 1.200 cappellani della pastorale universitaria. Infine,
ha raccomandato che tutti i progetti pastorali per gli studenti esteri
(internazionali) siano espressione di rispetto, dialogo, apertura culturale e
libertà.
P. Bernard Lapize de Salée, S.J., illustrando la situazione degli studenti
esteri (internazionali) in Algeria, il cui numero è in crescita, ha riferito
che colà la Chiesa considera la loro presenza una grande grazia e un’ottima
testimonianza nell’Algeria musulmana. Infatti, anche se i musulmani sono più
numerosi, molti sono i cristiani, provenienti essenzialmente dai Paesi
francofoni dell’Africa occidentale. Tali studenti partecipano attivamente alla
vita della Chiesa e costituiscono l’elemento più giovane delle comunità
cristiane nel Paese. Inoltre essi offrono la loro esperienza diretta con la
gioventù algerina musulmana, con la quale vivono a contatto nelle città
universitarie. P. Lapize de Salée ha concluso che sarebbe auspicabile una
collaborazione, o almeno avere dei contatti, tra le Chiese dei Paesi di
provenienza e quelle del Maghreb (Africa del Nord), cosa che già in parte
avviene.
Passando all’itineranza, da e per i Paesi a maggioranza islamica, sulla
problematica dei Rom, la Dott.ssa Hannelore Valier, dell’Organizzazione per la
Sicurezza e la Cooperazione in Europa, ha rilevato che, escludendo l’India,
per la maggior parte vivono in Europa centrale e orientale. Nonostante siano
comunemente associati al nomadismo, essi si trovano stabilmente in Paesi europei
da centinaia di anni. Fra i problemi cui devono far fronte vi sono
emarginazione, xenofobia e razzismo, nonché basso livello di istruzione,
elevata disoccupazione (50-90%), insufficiente assistenza sanitaria e condizioni
molto povere di alloggio. Malgrado tutto ciò, la volontà di sopravvivere è
stata la spinta che ha guidato i Rom nel corso dei secoli. La comunità
internazionale sta lavorando comunque per migliorare la loro integrazione
sociale, nel rispetto della loro identità culturale, basandosi sul principio di
un trattamento equo. È necessario dunque rafforzare la maturità delle società
democratiche e la loro capacità di comprendere e rispettare la diversità
sociale, culturale e religiosa degli Zingari.
Nel settore dell’Apostolato del Mare, il Diacono Ricardo Rodriguez Martos, di
Barcellona (Spagna), ha riferito che tale azione pastorale offre servizi
fondamentalmente uguali a tutti i marittimi, qualunque sia la loro religione.
Secondo calcoli statistici, il 18% dei marittimi mercantili sarebbero musulmani,
ovvero circa 200 mila persone. In genere essi sono molto religiosi e praticanti.
I musulmani non chiedono comunque assistenza spirituale ai cristiani e, se viene
loro proposta (per es. fornendo un contatto con una Moschea), generalmente la
declinano. Essi apprezzano tuttavia un aiuto materiale – quando necessario –
e testimonianze di carità e amicizia. L’Apostolato del Mare ha sollecitato
per es., nell’ultimo decennio, una collaborazione con le moschee di
Barcellona, ma senza successo. Recentemente, tuttavia, il Consiglio Islamico
della città si è mostrato favorevole a una collaborazione che vedrà l’AM
indirizzare i marittimi musulmani, che chiedono assistenza religiosa, alla loro
comunità locale.
Dal canto suo, il Rev. P. Xavier Pinto, C.Ss.R., Direttore nazionale
dell’Apostolato del Mare in India, ha dichiarato che il 70% dei marittimi che
colà visitano i centri Stella Maris sono filippini, mentre indiani, bangladesi
e pachistani – nell’ordine – si contendono la maggior parte del restante
30%. Secondo il relatore, per numerosi musulmani, Gesù è un esempio di santità
e di pietà, che avrebbe vissuto il vero Islam. Questo sarebbe il punto di
partenza che permette di interagire con i musulmani e lavorare insieme. Egli ha
aggiunto che, per poter esercitare l’apostolato per i marittimi in navigazione
e in sosta nei porti, è necessario anzitutto rispettare le leggi del Paese
ospitante e riuscire a integrare l’Apostolato del Mare nella pastorale
d’insieme della Chiesa locale, anche nei Paesi a maggioranza islamica.
Sr. Patricia Ebegbulem, SSL, con riguardo all’assistenza alle “donne di
strada” nigeriane, sia in patria che in terra straniera, ha riferito che la
maggior parte di esse si avviano al triste commercio del loro corpo per ragioni
di povertà e discriminazione. La Chiesa cattolica è all’avanguardia nella
riabilitazione e promozione della dignità delle donne e della femminilità (con
citazione di Giovanni Paolo II, nell’Esortazione Apostolica Ecclesia in
Africa, n. 121). Sr. Patricia ha proposto che il 2010 venga dichiarato anno
della Dignità delle Donne e ha rivolto un invito a sostenere tale proposta.
Il P. Martin McDermott, S.J., con riferimento al Libano, ha rilevato che
attualmente ci sono due tipi di “donne di strada” nel Paese, le
ex-domestiche, alla mercé dei loro “protettori”, sia musulmani che
cristiani, e le cosiddette artiste. La prostituzione viene teoricamente
proibita, ma in pratica regolamentata. Tali donne, una volta giunte in Libano,
si trovano nell’impossibilità di cambiare vita e, perfino, di spostarsi
all’interno del Paese, con un meccanismo che le priva dei diritti, dei
documenti e quindi della libertà.
Nel suo intervento, la Sig.ra Thérèse Farra, libanese, ha indicato nei
pellegrinaggi cosiddetti “condivisi” – cioè fatti insieme – tra
cristiani e musulmani, un’occasione per allacciare amicizie durevoli e
stabilire una rete di relazioni costruttive. L’organizzazione “Darb Maryam”
(Il cammino di Maria), operante in questo campo, si propone di offrire un ambito
per incontri dove esercitarsi al “dialogo della vita” e incoraggiare alla
ricerca dei valori comuni. I partecipanti vi scoprono la religione degli altri,
camminando e pregando assieme per la pace, fianco a fianco, cercando di
costruirla fra di loro e diffonderla attorno a sé.
Mons. Liberio Andreatta, Amministratore Delegato dell’Opera Romana
Pellegrinaggi, affrontando l’argomento dei pellegrinaggi cattolici nei Paesi a
maggioranza islamica, ha fatto notare come l’incontro con i musulmani sia
abbastanza frequente in varie tappe del pellegrinaggio. In tali occasioni si
avviano conversazioni, dialoghi, a volte anche discussioni, che non portano, però,
a un avvicinamento delle posizioni religiose o delle idee, a motivo di
convinzioni molto radicate. È possibile, inoltre, anzi doveroso, che i
cristiani, nel pellegrinaggio, riscoprano la loro identità, cioè il loro
essere discepoli di Gesù Cristo e impegnati nella “Missione ad Gentes”.
Certo che l’archetipo del pellegrinare risiede nell’andare alla ricerca del
volto di Cristo nella persona dei fratelli.
Nel campo infine dell’apostolato dell’aviazione civile, Don Paschal Ryan,
cappellano dell’aeroporto di Heathrow, a Londra, ha osservato che, per la
“mondializzazione”, gli aeroporti sono diventati anche crocevia della civiltà
contemporanea. Essi non riflettono soltanto la propria comunità locale, ma
anche la comunità globale. Negli aeroporti transitano anche numerosi credenti
di diverse religioni, che viaggiano pure per motivi religiosi, in quanto la
nozione di pellegrinaggio è comune a cristiani, ebrei, induisti, musulmani e
altri. Nell’Islam, inoltre, i credenti sono proprio esortati a recarsi nei
santuari legati al loro profeta Muhammad, almeno una volta in vita.
Nell’aeroporto di Heathrow, inoltre, lavorano 65/70.000 persone di diverse
religioni. Certamente la caratteristica degli aeroporti risiede nella natura
fugace di tanti incontri fra persone, in quanto milioni di passeggeri vi
transitano velocemente ogni anno. Ciononostante, questa situazione insolita
consente, però, di incontrare lo straniero e di capire come i contatti fra
cristiani e credenti di altre religioni possono portare finanche a una feconda
collaborazione. Inoltre, vedendo uomini e donne di diverse religioni, razze e
classi sociali lavorare insieme, oppure condividere lo stesso spazio di
preghiera multi-religiosa, si può immaginare come potrebbe, meglio dovrebbe,
essere il mondo.
Nella giornata conclusiva della Plenaria, l’Arcivescovo Giovanni Lajolo,
Segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, ha affermato
che, al di là di timori e titubanze, una gestione accorta e trasparente delle
migrazioni potrebbe recare benefici sia ai Paesi di origine che a quelli di
destinazione. Egli ha affrontato così un tema dibattuto in varie nazioni
europee, timorose di aprire il proprio territorio e, tuttavia, in cronica
necessità di manodopera giovane, flessibile e a buon mercato, il cui impiego
lavorativo sembra avere limitate ricadute negative sull’occupazione dei
lavoratori autoctoni. “La Chiesa – ha detto il Presule – in conformità
alla natura cattolica della sua missione e alla sua scelta preferenziale per i
poveri, è in favore dell’affermazione del diritto a emigrare e alla tutela
dei diritti dei migranti. Ciò non toglie che sia grave compito dei politici
regolare la consistenza e la forma dei flussi migratori, così che gli immigrati
possano sentirsi accolti umanamente con dignità e la popolazione del paese che
li riceve non sia posta in condizioni oggettivamente favorevoli al rigetto, con
conseguenze nefaste per gli immigrati, ma non meno per la cultura umana della
popolazione ospitante e per i rapporti tra i popoli”. Notando che la religione
costituisce per varie persone provenienti dai Paesi a maggioranza islamica, un
elemento di profonda identificazione, il Presule ha riaffermato la necessità di
un rigoroso e reciproco rispetto della libertà religiosa, con conseguente
difesa delle minoranze e dei loro diritti umani. “Se da più parti – ha
rilevato Mons. Lajolo – si invoca almeno la reciprocità del rispetto e delle
concessioni (libertà di culto, costruzione di luoghi di culto, ...), tuttavia
questo concetto, tra numerosi Stati di vari continenti, sembra per ora estraneo
in materia religiosa a gran parte dei paesi musulmani, che invocano per i loro
cittadini all’estero la pienezza dei diritti che non riconoscono, invece, ai
migranti di altre fedi sul proprio territorio”. Secondo Mons. Lajolo la Santa
Sede continuerà a dichiarare la propria ferma opposizione a ogni tentativo di
usare la religione per giustificare il terrorismo e la violenza. Da ultimo il
Segretario per i Rapporti con gli Stati ha fatto cenno al delicato problema
della protezione dei cristiani in Paesi a maggioranza islamica, la cui mancanza
sta inducendo migliaia di fedeli a lasciare la loro patria.
Infine il Segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli,
l’Arcivescovo Robert Sarah, dopo aver tracciato un profilo dei migranti che
provengono dall’Africa sub-sahariana, ha spiegato che le cause del loro esodo
sono legate alla storia, alla situazione socio-politica, a situazioni
drammatiche di insicurezza e guerra, alle condizioni economiche, a fenomeni
culturali come la globalizzazione. A seguito poi delle guerre civili in alcuni
Paesi, più di 4 milioni di persone sono fuggite altrove. Il Presule ha quindi
spiegato che il cronico stato di povertà e insicurezza che rende il continente
africano prono al sottosviluppo permanente, influisce negativamente sulle
persone e le istituzioni, riduce gli investimenti esteri, incentiva la
criminalità, ecc.
Nel delineare poi il percorso che i migranti compiono per recarsi nel Maghreb,
Mons. Sarah definisce una vera via crucis la tragedia vissuta da queste persone,
trattate poi all’arrivo in modo umiliante e inumano. Mons. Sarah, dopo aver
delineato i maggiori problemi che i migranti si trovano ad affrontare, ha
offerto alcune soluzioni e prospettive. “La Chiesa, particolarmente quella
d’Africa, ha il dovere di assumere sempre più integralmente il ruolo del buon
samaritano”. I cristiani, da parte loro, sono invitati a svolgere con
chiarezza e dedizione il loro ruolo nei confronti degli immigrati e dei
rifugiati. Le Conferenze Episcopali dei Paesi di partenza e di arrivo potrebbero
dare il loro contributo informando, aiutando e accompagnando chi vuole migrare
nella legalità. Attenzione particolare andrebbe rivolta all’aiuto per
l’integrazione, nel rispetto della cultura, della religione e dei valori umani
fondamentali. Mons. Sarah ha invitato quindi a favorire il dialogo sociale,
interculturale e anche inter-religioso.
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