Conclusioni

 

Mi preme aggiungere che ciò, se è vero, non lo è in assoluto e la riflessione non può finire qui. Perché doversi per forza adattare in toto e non sentirsi spinti ad indurre cambiamenti in base ad una progettualità tanto consapevole e responsabile quanto realistica? Ci si adatta o, meglio, si accetta e si fa proprio ciò che si ritiene valido; si cerca, invece, di trasformare (per quanto è possibile) ciò che si ritiene non valido o addirittura dannoso per il bene comune e che è poi sempre dannoso per il bene individuale.

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Ciò richiede, in un clima di sereno equilibrio, l’integrazione tra presa di coscienza, responsabilizzazione e attivazione delle possibilità esistenti nel proprio contesto.

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La temperie culturale dei nostri giorni ci rende consapevoli che "a partire dalla rivoluzione industriale, la scienza occidentale ha conseguito successi stupefacenti, diventando una forza potente, che modella la vita di milioni di persone. I suoi orientamenti materialistici e meccanicistici hanno sostituito completamente la teologia e la filosofia quali principi-guida dell’esistenza umana e trasformato in grado inimmaginabile il mondo in cui viviamo: I trionfi della tecnologia sono stati tanto notevoli che, fino a poco tempo fa, erano molto pochi gli individui che mettevano in discussione l’autorità assoluta della scienza nel determinare le strategie fondamentali della vita" [37]

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"La capacità di collegare concetti e scoperte di base al modello meccanicistico dell’universo sviluppato dalla fisica newtoniana divenne un criterio importante di legittimità scientifica in campi più complessi e meno sviluppati, come la biologia, la medicina, la psicologia, la psichiatria, l’antropologia e la sociologia.

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All’inizio questa stretta aderenza alla visione meccanicistica del mondo ebbe un impatto molto positivo sul progresso scientifico in queste discipline. Tuttavia, nel corso degli ultimi sviluppi, le strutture concettuali derivate dal paradigma newtoniano-cartesiano hanno perso il loro potere rivoluzionario" (38)

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Alcune notazioni su questo paradigma. Essenzialissime, per non esulare dai confini di questa trattazione, ma per meglio esplicitare, quanto basta alla riflessione, i concetti che l’hanno nutrita.

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L’universo meccanicistico di Newton è un universo di materia solida, composto di atomi, che ne sono gli elementi costitutivi. Loro caratteristiche essenziali: passività e immutevolezza. Altro dato rilevante di questo universo lo spazio tridimensionale della geometria euclidea classica, anch’esso assoluto, costante e immutabile. La stessa assolutezza e immutevolezza, pur nel flusso uniforme dal passato al presente e dal presente al futuro, è assegnata al tempo, ritenuto per di più autonomo e indipendente dal mondo materiale.

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Il contributo di Cartesio al paradigma dominante è la formulazione estrema del dualismo assoluto tra la mente (res cogitans) e la materia (res extensa), la cui più diretta conseguenza è la convinzione che il mondo materiale possa essere descritto oggettivamente, senza alcun riferimento all’osservatore umano. Ciò, se è stato determinante per l’evoluzione scientifica e tecnologica, ha avuto come conseguenza ultima l’abbandono di qualsiasi approccio olistico all’uomo e alla sua collocazione sulla terra, compresa la vita sociale.

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Una osservazione fondamentale da tenere presente è che la consapevolezza dell’intelligenza divina ben fondata nel nucleo dei "sistemi" speculativi elaborati dai due grandi pensatori, è praticamente scomparsa dall’agone scientifico contemporaneo.

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Non a caso, però, proprio dal campo della fisica, le più recenti osservazioni e scoperte ci dischiudono orizzonti aperti a dimensioni ulteriori, nuovamente orientate in direzione dell’ "osservatore-uomo", anch’egli non più a una dimensione. Lo stesso mondo della materia non appare più così deterministico (39) e avulso da una Sapienza, più che sconosciuta completamente disattesa.

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Penso che non sfugga a nessuna coscienza sufficientemente matura la necessità, ormai inderogabile, di uscire da un contesto esclusivamente meccanicistico per operare l’integrazione delle conoscenze tecnico-pratiche con quelle delle discipline più specificamente umanistiche, per recuperare una visione antropologica in senso ampio, che non trascuri le istanze più profonde della persona.

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Siamo in un momento della storia umana in cui ci troviamo al culmine di una parabola di crescita quantitativa, resa possibile dalla cultura occidentale, che sono il risultato della equazione: sapere = potere = crescita. Ora dobbiamo passare dalla quantità alla qualità; il che significa che o è la persona il luogo dello sviluppo, programmazione, elaborazione dei modelli culturali e non il destinatario passivo, o ci troveremo sempre più invischiati in un mondo fittizio che cade su quello reale pervadendolo e soffocandolo in una morsa di assurdità.

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Infatti, se manca lo scambio tra la persona e l’informazione, se non c’è attenzione consapevole, interpretazione autentica delle esigenze del momento storico, analisi intelligente delle attese effettive, la persona umana sarà sempre un destinatario da manipolare per imporgli la merce o per inculcargli idee che lo assoggettino a modelli culturali prefabbricati e non una vivente complessità e ricchezza ancora virtuale da rendere attuale.

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A me sembra che, soprattutto a livello politico, dove si forgiano le scelte di fondo, e in particolare nell’ambito delle Agenzie formative, queste istanze non dovrebbero essere disattese e si dovrebbero promuovere tutte le iniziative perché questi valori non vengano messi da parte per far posto a giochi di potere di esclusivo stampo particolaristico.

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Certamente questa affermazione discende da una visione antropologica non condivisa dai modelli culturali predominanti; ma sarà necessario prenderla in considerazione, se si vuole uscire dai meccanismi perversi che rendono la maggior parte degli uomini strumenti e non soggetti attivi del processo di crescita personale e collettiva.

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Perché ciò accada, non possiamo partire dalle premesse antropologiche, che leggono lo sviluppo in chiave di "animale uomo", teorizzate da alcune scuole di pensiero non certo tramontate e neppure da quelle che inquadrano il progresso in chiave soltanto economica, tecnologica o di mercato di un certo liberismo esasperato.

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Entrambi i contesti non considerano l’uomo nella sua globalità e nella profondità e integrazione dialettica delle sue dimensioni strutturali: fisica, psichica (mentale-affettiva), spirituale e lo ingabbiano, da prospettive diverse, in modelli pur sempre materialistici, rispettivamente, massificante (come quello di un collettivismo tuttora di stampo marxista) o mercificante (come quello indotto da un’individualismo liberista arrivato alle sue estreme conseguenze), che generano sempre e comunque alienazione e non promozione e crescita autentica.
                                                                                                             
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