Tramite l’autorevole rivista, il Vaticano denuncia con insolita
asprezza la condizione oppressa dei cristiani in terra musulmana. (Sandro Magister su L'Espresso
21.10.2003) - (Cfr. anche l'intervista con Youssef Sidhom, direttore
di “Watani”da "Il Regno" e le cronache più recenti da
AsiaNews) Testimonianze dall’Egitto
ROMA – Tra i nuovi cardinali creati
il 21 ottobre da Giovanni Paolo II spicca un assenza: quella
dell’arcivescovo Michael Louis Fitzgerald, presidente del
pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.
La spiegazione corrente è che Fitzgerald non sia stato fatto
cardinale per la linea troppo arrendevole da lui adottata nei
confronti dell’islam.
Sta di fatto che in coincidenza con questa esclusione è uscito su
“La Civiltà Cattolica” un articolo che contrasta vivacemente
con ciò che si rimprovera a Fitzgerald.
“La Civiltà Cattolica”, edita da un collegio di gesuiti di
Roma, è una rivista specialissima. Ogni suo articolo, prima
d’essere stampato, passa all’esame della segreteria di stato
vaticana. E quindi ne riflette fedelmente il pensiero.
Ebbene, sul numero in data 18 ottobre “La Civiltà Cattolica” ha
pubblicato un articolo sulla condizione dei cristiani nei paesi
islamici che colpisce per la sua durezza. La tesi centrale
dell’articolo è che “in tutta la sua storia l’islam ha
mostrato un volto guerriero e conquistatore”; che “per quasi
mille anni l’Europa è stata sotto la sua costante minaccia”; e
che quanto resta della popolazione cristiana nei paesi islamici è
sottoposto tuttora a “perpetua discriminazione”, con punte di
persecuzione sanguinosa.
Ecco qui di seguito, per gentile autorizzazione della rivista, un
ampio estratto dell’articolo, uscito su “La Civiltà
Cattolica” n. 3680 del 18 ottobre 2003:
I cristiani nei paesi
islamici torna
su
Come vivono i cristiani nei paesi a maggioranza islamica? [...] Si
deve rilevare anzitutto un fatto in apparenza assai curioso: in
tutti i paesi dell’Africa del Nord (Egitto, Libia, Tunisia,
Algeria, Marocco), prima dell’invasione musulmana e nonostante
l’invasione dei vandali, c’erano fiorenti comunità cristiane,
che avevano dato alla Chiesa universale grandi personalità, come
Tertulliano, san Cipriano, vescovo di Cartagine, morto martire nel
258, sant’Agostino, vescovo di Ippona e san Fulgenzio, vescovo di
Ruspe. Ma dopo la conquista araba, il cristianesimo fu assorbito a
tal punto dall’islam che oggi esso è presente con un
significativo numero di fedeli soltanto in Egitto con i copti
ortodossi e con altre piccole minoranze cristiane, che rappresentano
in tutto il 7-10 per cento della popolazione egiziana.
Lo stesso si deve dire del Medio Oriente (Libano, Siria, Palestina,
Giordania, Mesopotamia), nel quale c’erano fiorenti terre
cristiane prima dell’invasione islamica e in cui oggi sono
presenti solamente piccole comunità cristiane, a eccezione del
Libano dove i cristiani costituiscono una significativa parte della
popolazione.
Per quanto riguarda l’attuale Turchia, essa era stata nei primi
secoli cristiani la terra in cui il cristianesimo aveva dato i suoi
frutti migliori nel campo sia della liturgia e della teologia, sia
della vita monastica. L’invasione dei turchi selgiuchidi e la
conquista di Costantinopoli da parte di Mehmet II (1453) condussero
alla costituzione dell’impero ottomano e alla pratica distruzione
del cristianesimo nella penisola anatolica. Così oggi in Turchia i
cristiani si aggirano intorno ai 100.000, tra i quali un piccolo
numero di ortodossi, che vivono attorno al Phanar, sede del
patriarca ecumenico di Costantinopoli, il quale ha il primato di
onore sul mondo ortodosso e col quale sono in comunione
ecclesiastica otto patriarcati e molte Chiese autocefale in Oriente
e in Occidente, con circa 180 milioni di fedeli.
In conclusione, possiamo storicamente constatare che in tutti i
luoghi in cui si è imposto l’islam con la sua azione militare,
che per la sua rapidità e la sua estensione ha pochi esempi nella
storia, il cristianesimo, che vi era straordinariamente fiorente e
radicato da secoli, è praticamente scomparso oppure si è ridotto a
piccole isole in uno sterminato mare islamico. Come ciò sia potuto
accadere non è facile spiegarlo. [...]
In realtà, la riduzione del cristianesimo a piccola minoranza non
fu dovuta a forme di persecuzione religiosa violenta, ma alla
condizione in cui i cristiani, nell’organizzazione dello Stato
islamico, erano costretti a vivere. [...]
Il volto guerriero dell'Islam: il “JIHAD”
torna su
Secondo il diritto musulmano, il mondo è diviso in tre parti: dar
al-harb (casa della guerra), dar al-islam (casa dell’islam) e dar
al-‘ahd (casa del patto), cioè i paesi con i quali è stato
stipulato un patto. [...]
Quanto ai paesi appartenenti alla "casa della guerra", la
legge canonica islamica non riconosce altre relazioni con essi se
non quelle proprie della "guerra santa" (jihad), che
significa "sforzo" nella via di Allah e che ha due
significati, i quali sono ugualmente essenziali e che non devono
essere dissociati, quasi che l’uno possa sussistere senza
l’altro. Nel primo significato, il jihad indica lo
"sforzo" che il musulmano deve compiere per essere fedele
ai precetti del Corano e in tal modo migliorare la propria
"sottomissione" (islam) ad Allah; nel secondo, indica lo
"sforzo" che il musulmano deve compiere per
"combattere sulla via di Allah", cioè per lottare contro
gli infedeli e diffondere l’islam in tutto il mondo. Il jihad è
un precetto della massima importanza, tanto che talvolta viene
annoverato tra i precetti fondamentali – come sesto
"pilastro" – dell’islam.
L’obbedienza al precetto della "guerra santa" spiega il
fatto che quella dell’islàm sia una storia di guerre senza fine
per la conquista dei territori degli infedeli. [...] In particolare,
tutta la storia islamica fu dominata dall’idea della conquista
delle terre cristiane dell’Europa occidentale e dell’impero
romano d’Oriente, la cui capitale era Costantinopoli. Così,
durante lunghi secoli, l’islam e la cristianità si affrontarono
in terribili battaglie, che da un lato condussero alla conquista di
Costantinopoli (1453), della Bulgaria, della Grecia e, dall’altro,
alla sconfitta dell’impero ottomano nella battaglia navale di
Lepanto (1571).
Ma lo spirito di conquista dell’islam dopo Lepanto non cessò.
L’avanzata islamica in Europa fu definitivamente fermata soltanto
nel 1683, quando Vienna fu liberata dall’assedio ottomano dalle
armate cristiane al comando di Giovanni III Sobieski, re di Polonia.
[...] In realtà, per quasi mille anni l’Europa è stata sotto la
costante minaccia dell’islam, che per ben due volte ne ha messo in
serio pericolo la sopravvivenza.
Così, in tutta la sua storia, l’islam ha mostrato un volto
guerriero e uno spirito conquistatore a gloria di Allah, [...]
contro gli "idolatri" che devono essere posti
nell’alternativa: convertirsi all’islam o essere uccisi. [...]
Quanto alla "gente del Libro" (cristiani, ebrei e sabei),
i musulmani devono "combatterla finché i suoi membri non
paghino il tributo, a uno a uno, umiliati" (s. 9, 29). [...]
Il
regime della “dhimma”
torna su
Secondo il diritto musulmano, i cristiani, gli ebrei e i seguaci di
altre religioni assimilate al cristianesimo e all’ebraismo (i
"sabei") che abitano in uno stato musulmano appartengono a
un ordine sociale inferiore, nonostante la loro eventuale
appartenenza alla stessa razza, alla stessa lingua e alla stessa
discendenza. La legge islamica non conosce i concetti di nazione e
di cittadinanza, ma solamente l’umma, l’unica comunità
islamica, per cui il musulmano, in quanto fa parte dell’umma, può
vivere in qualsiasi paese islamico come nella sua patria: egli è
soggetto alle stesse leggi, trova le stesse usanze e gode della
stessa considerazione.
Invece gli appartenenti alla "gente del Libro" sono
soggetti alla dhimma, che è una specie di patto bilaterale,
consistente nel fatto che lo stato islamico autorizza la "gente
del Libro" a risiedere sul proprio territorio, ne tollera la
religione, le garantisce la "protezione" delle persone e
dei beni e la difesa contro i nemici esterni. Così la "gente
del Libro" (Ahl al-Kitab) diviene "gente protetta" (Ahl
al-dhimma). In cambio di tale "protezione", la "gente
del Libro" si impegna a pagare allo stato islamico un’imposta
(jizya), che grava soltanto sugli uomini abili, di condizione
libera, escludendo donne, bambini, infermi e vecchi, e a pagare un
tributo, detto haram, sulle terre possedute.
Per quanto riguarda la libertà di culto, ai dhimmi sono proibite
soltanto le manifestazioni esterne di culto, come il suono delle
campane, le processioni con croci, i funerali solenni, la vendita
pubblica di oggetti di culto o di altri articoli proibiti per i
musulmani. Un musulmano che sposa una cristiana o un’ebrea dovrà
lasciarla libera nell’esercizio della sua religione e anche
nell’uso dei cibi permessi dalla sua religione, anche se proibiti
a un musulmano, come la carne di maiale e il vino. I dhimmi possono
conservare o riparare le chiese o sinagoghe che già posseggono; ma,
se non c’è stato un patto che permetta ad essi il possesso di
terre proprie, non possono costruire nuovi luoghi di culto, perché
per fare questo dovrebbero occupare una terra musulmana, che non può
essere ceduta a nessuno, essendo divenuta, con la conquista
musulmana, terra "sacra" ad Allah.
Nella sura 9, 29 il Corano afferma che la "gente del
Libro", oltre ad essere costretta a pagare le due tasse di cui
si è detto sopra, va sottoposta ad alcune restrizioni, come il
vestire in modo speciale, la proibizione di portare armi e di
montare a cavallo. Inoltre i dhimmi non possono far parte
dell’esercito, essere funzionari dello stato, essere testimoni in
giudizi tra i musulmani, prendere in moglie le figlie di questi,
essere tutori di minori musulmani o tenere schiavi musulmani. Non
possono ereditare da musulmani, né questi da essi; sono però
permessi i legati.
Lo scioglimento della dhimma sopravviene, anzitutto, con la
conversione della "gente del Libro" all’islam; ma i
musulmani, specialmente nei primi secoli, non hanno visto con favore
tali conversioni, perché significavano una grave perdita per
l’erario, che era tanto più florido quanto più numerosi erano i
dhimmi, che pagavano la tassa personale e l’imposta fondiaria. Lo
scioglimento della dhimma poteva avvenire, inoltre, per il mancato
adempimento del "patto", nel caso cioè che i dhimmi
prendessero le armi contro i musulmani; nel caso che rifiutassero di
stare sottomessi o di pagare i tributi; nel caso che rapissero una
musulmana, bestemmiassero o oltraggiassero in qualche maniera il
profeta Muhammad e la religione islamica; nel caso, infine, che
facessero allontanare un musulmano dall’islam, cercando di
convertirlo alla propria religione. Secondo la gravità di ciascun
caso, la pena poteva essere la confisca dei beni, la riduzione in
schiavitù o la pena di morte; salvo che chi avesse commesso tali
delitti non si convertisse all’islam. In tal caso, ogni pena era
abolita.
Conseguenza:
l'erosione del cristianesimo
torna su
È evidente che la condizione di dhimmi, prolungandosi nei secoli,
ha portato lentamente, ma inesorabilmente, alla quasi sparizione del
cristianesimo nelle terre musulmane: la condizione di inferiorità
civile, che impediva ai cristiani di accedere alle cariche
pubbliche, e la condizione d’inferiorità religiosa, che li
chiudeva in una vita e una pratica religiosa asfittica e senza
nessuna possibilità di sviluppo, poneva i cristiani o nella
necessità di emigrare o, più frequentemente, nella tentazione di
passare all’islam. Tanto più che un cristiano non poteva sposare
una donna musulmana se non si convertiva all’islam, anche perché
i suoi figli dovevano essere educati nell’islamismo. C’era
inoltre per un cristiano passato all’islam la possibilità di
divorziare con estrema facilità, mentre il cristianesimo proibiva
il divorzio. D’altra parte, i cristiani che si trovavano nei
territori musulmani erano fortemente divisi tra loro – e spesso
anche nemici – poiché appartenevano a Chiese diverse per
confessione (Chiese calcedonesi e non-calcedonesi) e per riti (siro-orientale,
antiocheno, maronita, copto-alessandrino, armeno, bizantino):
cosicché ogni mutuo aiuto era praticamente quasi impossibile.
Il regime della dhimma è durato per oltre un millennio, sia pure
non sempre e dappertutto nella forma dura datagli dalle
"condizioni di ‘Umar", secondo le quali non soltanto i
cristiani non hanno diritto a costruire nuove chiese e a restaurare
quelle esistenti, anche se cadono in rovina (e, se hanno il permesso
di costruire dalla benignità del governatore musulmano, le chiese
non devono essere di grandi dimensioni: l’edificio dev’essere più
modesto di tutti gli edifici religiosi dei dintorni); ma le chiese
più grandi e più belle devono essere trasformate in moschee. Tale
trasformazione faceva sì che le chiese-moschee non potessero più
essere rese alla comunità cristiana, perché un luogo divenuto
moschea non può essere destinato ad altro uso.
La conseguenza del regime della dhimma è stata
l’"erosione" delle comunità cristiane e il passaggio di
molti cristiani all’islam per motivi economici, sociali e
politici: per trovare un lavoro migliore, per godere di maggiore
considerazione sociale, per partecipare alla vita amministrativa,
politica e militare, e non vivere in una condizione di perpetua
discriminazione.
Negli ultimi secoli, il sistema della dhimma ha subìto alcune
attenuazioni, anche perché pure nei paesi musulmani hanno preso
piede la nozione di cittadinanza e quella di uguaglianza di tutti i
cittadini di fronte allo stato. In pratica, tuttavia, la concezione
tradizionale resta presente. [...] Il cristiano, che lo voglia o no,
è ricondotto suo malgrado al concetto di dhimmi, anche se il
termine non ricorre più nel diritto attuale di buona parte dei
paesi a maggioranza islamica.
Per comprendere la condizione attuale di questi cristiani, bisogna
rifarsi alla storia dei secoli XIX e XX. Nel secolo XIX,
nell’impero ottomano, in cui vigeva il sistema del millet, furono
introdotte le tanzimat, "regolamentazioni" di impronta
liberale. [...] Dalla seconda metà dell’Ottocento fino alla fine
della prima guerra mondiale ci fu nel mondo arabo un movimento di
"Risveglio" (Nahda), sotto l’influsso occidentale, nel
campo della letteratura, della lingua e del pensiero. Molti
intellettuali furono conquistati dalle idee liberali.
D’altra parte, i cristiani strinsero forti legami con le potenze
occidentali – in particolare con la Francia e la Gran Bretagna –
che, dopo la dissoluzione dell’impero ottomano, ottennero il
protettorato sui paesi che facevano parte di esso. Questo fatto
permise ai cristiani sia una maggiore libertà civile e religiosa,
sia una crescita del loro livello culturale. Inoltre, nella prima
metà del secolo XX, nacquero vari partiti politici d’intonazione
nazionalista e socialista, e dunque laici, come il Ba‘th, Partito
socialista della risurrezione araba, fondato alla fine degli anni
trenta a Damasco dall’insegnante siriano Michel ‘Aflaz, di
religione greco-ortodossa, che nel 1953 si fuse col Partito popolare
siriano, fondato nel 1932 dal libanese greco-ortodosso Antun Sa‘ada.
Infine, in vari paesi islamici sorsero regimi politici ispirati ai
princìpi liberali e laici dell’Occidente europeo.
Nascita
dell'islamismo radicale
torna su
Questi fatti suscitarono nel mondo islamico una forte reazione,
dovuta al timore che le idee laiche e i costumi "corrotti"
del mondo occidentale, identificato con il cristianesimo, nuocessero
alla purezza dell’islam e costituissero un pericolo mortale per la
sua stessa esistenza. Questa reazione era alimentata da un forte
risentimento contro le potenze occidentali, che avevano osato
imporre il loro dominio politico all’islam, "la migliore
nazione mai suscitata da Allah tra gli uomini" (Corano, s. 3,
110), e i loro costumi "depravati" alla "nazione (umma)
che invita al bene, promuove la giustizia e impedisce l’iniquità"
(ivi, s. 3, 104).
Nacque così "l’islamismo radicale" che si fece
interprete delle frustrazioni delle masse musulmane. Hasan al Banna,
Sayyd Qutb, Abd al-Qadir ‘Uda in Egitto con i fratelli Musulmani;
Abu l-A‘li al-Mawdudi in Pakistan e l’ayatollah Khomeini in Iran
ne sono i testimoni più significativi e i loro seguaci, da Dakar e
Kuala Lumpur, si sono moltiplicati . [...]
Condizione
attuale dei cristiani nel mondo islamico
torna su
L’islamismo radicale, il quale propone che in ogni stato islamico
sia instaurata la shari‘a, sta prendendo piede in molti paesi
islamici, in cui sono presenti gruppi di cristiani. È evidente che
l’instaurazione della shari‘a renderebbe assai difficile la vita
ai cristiani e la loro stessa esistenza sarebbe in continuo
pericolo. Di qui l’emigrazione massiccia dei cristiani dai paesi
islamici verso i paesi occidentali: Europa, Stati Uniti, Canada e
Australia. [...] Le stime degli arabi cristiani che sono emigrati
negli ultimi decenni da Egitto, Iraq, Giordania, Siria, Libano,
Palestina e Israele si aggirano intorno ai tre milioni, cioè fra il
34,1 e 26,5 per cento del numero stimato di cristiani attualmente
presenti nel Medio Oriente.
Inoltre non bisogna sottovalutare fatti gravi avvenuti di recente a
danno dei cristiani in alcuni paesi a maggioranza islamica. In
Algeria, il vescovo di Orano, P. Claverie (1996), sette trappisti di
Tibehirini (1999), quattro Padri Bianchi (1994) e sei suore di
diverse congregazioni religiose sono stati barbaramente uccisi dai
fondamentalisti islamici, anche se l’assassinio è stato
condannato da numerosi responsabili musulmani. Nel Pakistan, che
conta 3.800.000 cristiani su una popolazione per il 96 per cento
islamica di 156.000.000 di abitanti, il 28 ottobre 2001 alcuni
islamici entrarono nella chiesa san Domenico a Bahawalpur e uccisero
a fucilate 18 cristiani. Il 6 maggio 1998, il vescovo cattolico John
Joseph si era tolto la vita per protestare contro la legge sulla
bestemmia, che punisce con la morte chi è accusato di offendere
Maometto anche solo "pronunciando parole, o con gesti e
mediante allusioni, direttamente o indirettamente". Dicendo,
per esempio, che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, si offende
Maometto, il quale afferma che Gesù non è Figlio di Dio, ma suo
"servo". Perciò con tale legge la vita dei cristiani è
in continuo pericolo di morte.
In Nigeria – dove 13 stati hanno introdotto la shari‘a come
legge dello stato –, parecchie migliaia di cristiani sono state
vittime di incidenti. Stanno avvenendo fatti gravi nel Sud delle
Filippine e nell’Indonesia, che con i suoi 212 milioni di abitanti
è il paese musulmano più popoloso del mondo, a danno dei cristiani
di Giava, di Timor Est e delle Molucche. Ma la situazione più
tragica – e purtroppo dimenticata dal mondo occidentale! – è
quella del Sudan, dove il Nord è arabo e musulmano, e il Sud è
nero e cristiano e, in parte, animista. Dai tempi del presidente G.
M. Nimeiry c’è uno stato di guerra civile tra il Nord, che ha
proclamato la shari‘a e intende imporla con feroce violenza a
tutto il paese, e il Sud che intende conservare e difendere la
propria identità cristiana. Il Nord si serve di tutta la sua
potenza militare – finanziata dalle esportazioni di petrolio in
Occidente – per distruggere i villaggi cristiani, impedire
l’arrivo di sussidi umanitari, uccidere il bestiame, fonte di
sostentamento per molti sudanesi del Sud, fare razzie, in
particolare di ragazze cristiane, che vengono portate al Nord,
stuprate e vendute come schiave o concubine di anziani ricchi
sudanesi. Secondo il rapporto 2001 di Amnesty International,
"alla fine del 2000, la guerra civile, ripresa nel 1983, era
costata la vita a quasi due milioni di persone ed era stata la causa
dello sfollamento forzato di altri 4.500.000. Decine di migliaia di
persone sono state spinte dal terrore a lasciare le proprie case
nell’area del Nilo superiore, ricca di petrolio, in seguito a
bombardamenti aerei, esecuzioni di massa e torture".
Si deve infine ricordare un fatto che spesso si dimentica perché
l’Arabia Saudita è la maggiore fornitrice di petrolio del mondo
occidentale, e quest’ultimo ha quindi interesse a non guastare i
suoi rapporti con quel paese. In realtà, nell’Arabia Saudita,
dove vige il wahhabismo, non solo non è possibile costruire una
chiesa o anche un piccolissimo luogo di culto cristiano, ma è
severamente proibito con pene durissime ogni atto di culto cristiano
e anche ogni segno di fede cristiana. Così circa un milione di
cristiani e cristiane, che lavorano in Arabia Saudita, sono privati,
con la violenza, di ogni pratica e di ogni segno cristiano. Essi
possono partecipare alla messa o ad altre pratiche cristiane – e
anche allora con grave pericolo di perdere il lavoro – soltanto
nei locali delle imprese petrolifere estere. Eppure, l’Arabia
Saudita spende miliardi di petrodollari, non a beneficio dei suoi
cittadini poveri o dei musulmani poveri di altri paesi musulmani, ma
per costruire in Europa moschee e madrasa e finanziare gli imam
delle moschee in tutti i paesi occidentali. Si può ricordare che la
moschea romana di Monte Antenne, costruita su un suolo donato
gratuitamente dal governo italiano, è stata finanziata
principalmente dall’Arabia Saudita ed è stata costruita per
essere la moschea più grande d’Europa nel cuore stesso della
cristianità.