Vorrei anzitutto ringraziare la dottoressa Donna Orsuto per il suo
cortese invito che ci dà l’opportunità di condividere e discutere
con voi di un argomento di vitale interesse non solo per la Chiesa ma
anche per la politica contemporanea: il dialogo interreligioso e la
ricezione della “Nostra Aetate” nell’ambito dell’educazione
cattolica e specialmente negli istituti di istruzione superiore.
L’identità degli istituti
torna su
Vorrei affrontare in modo più esplicito una questione presente nei
pensieri di molte persone, anche se in modo non del tutto articolato;
ovvero, come può il dialogo interreligioso contribuire al rafforzamento
dell’identità cattolica di un istituto accademico? Questa domanda si
pone in quanto la “Ex Corde Ecclesiae” dà grande rilievo
all’affermazione dell’identità cattolica dell’università,
insistendo nel dire che “Ogni membro della comunità, a sua volta,
aiuta a […] mantenere e a rafforzare il carattere cattolico
dell'istituzione” (n. 21; cfr. Direttorio per il ministero pastorale
dei vescovi, n. 135). Risulta evidente quindi che la promozione del
dialogo interreligioso deve sgorgare “dalla comune consacrazione alla
verità, dalla medesima visione della dignità umana e, in ultima
analisi, dalla persona e dal messaggio di Cristo che dà all'istituzione
il suo carattere distintivo” (“Ex Corde Ecclesiae”, n. 21).
In altre parole un autentico dialogo interreligioso deve rafforzare e
non diluire la particolare identità cattolica di un istituto di
istruzione superiore. Alcuni accademici, anche se credo si tratti di una
minoranza, non condividono l’idea di abbinare la “identità
cattolica” al “dialogo interreligioso” ed hanno quindi fatto poco
per attuare gli insegnamenti della “Nostra Aetate”. Per loro, tale
eventualità è considerata come “un segno di debolezza o persino di
tradimento della fede”. [1]
Nonostante questa obiezione, una buona argomentazione può essere
proposta dimostrando che in effetti l’identità cattolica di
un’università è rafforzata se questa promuove il dialogo
interreligioso, proprio perché introduce gli studenti alla conoscenza
di altre religioni e incoraggia i professori a farlo nell’ambito delle
proprie lezioni. Certamente oggi più che mai è necessario che la
comunità universitaria promuova la ferma convinzione di natura
cattolica, sulla comune vocazione dell’umanità e sul progetto divino
di salvezza per mezzo di Cristo, il quale “si è unito in certo modo
ad ogni uomo” (“Gaudium et Spes”, n. 22).
Quattro questioni
torna su
A mio avviso, potrebbe essere avanzato un giudizio parziale
sull’attuale estensione del recepimento della “Nostra Aetate” da
parte del mondo dell’educazione cattolica, basandosi sulla valutazione
dell’attuazione delle quattro forme di dialogo frequentemente citate
nei diversi documenti del Magistero: il dialogo della vita,
dell’azione, dello scambio teologico e dell’esperienza religiosa.
[2]
Il dialogo della vita e la testimonianza torna
su
Il “dialogo della vita” è un atteggiamento e uno stile di vita, un
comportamento guidato dallo spirito. Esso concretizza ciò che la
“Nostra Aetate” ha raccomandato come pre-condizione di ogni dialogo:
i cristiani dovrebbero svolgerlo “sempre rendendo testimonianza alla
fede e alla vita cristiana” (n. 2). Nell’università e altrove,
questo implica “cura, rispetto e ospitalità” per coloro che abitano
regioni diverse. Una scuola o un’università cattoliche, che ricevono
studenti di ogni fede, dovrebbero lasciare spazio “all’identità
dell’altra persona, ai suoi modi di espressione e valori”(“Dialogo
e missione” n. 29). Come viene vissuto questo nelle nostre istituzioni
cattoliche? Sono queste veramente aperte agli altri, pronte a ricevere
“l’altro” come un dono?
Questo dialogo di vita comporta inoltre che i cattolici dei nostri
istituti educativi debbano dare testimonianza l’uno all’altro nel
vivere quotidianamente i valori umani e spirituali e così aiutare i non
cristiani a vivere nella fedeltà agli autentici valori da questi
accolti.
Il dialogo d’azione
torna su
Un secondo strumento che può essere utilizzato è il “dialogo
d’azione” o “dialogo di lavoro”, a cui la “Nostra Aetate” si
riferisce, affermando la necessità di “difendere e promuovere insieme
per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la
libertà” (n. 3). Questa forma di dialogo si basa su una disposizione
alla collaborazione, specialmente nelle aree di promozione del bene
comune: questioni relative allo sviluppo integrale dell’uomo, la
giustizia, la pace, i diritti umani, ecc. Il documento “Dialogo e
missione” afferma che questo “livello di dialogo è quello delle
opere e della collaborazione con gli altri per obiettivi umanitari,
sociali, economici o di natura politica, che sono dirette alla
liberazione e all’avanzamento del genere umano” (n. 31).
Nei suoi numerosi incontri con i vertici e i rappresentanti di altre
religioni e Stati con forti maggioranze non cristiane, il Santo Padre ha
più volte rimarcato l’importanza del dialogo delle opere, essendo
convinto che “le diverse religioni, ora e nel futuro, avranno un ruolo
preminente nella tutela della pace”. Ancora una volta il Santo Padre
ha sottolineato che “se intrapreso in uno spirito di fiducia e con
rispetto e sincerità, la cooperazione e il dialogo interreligiosi
rappresentano un vero contributo alla pace”. [3]
È inoltre responsabilità delle istituzioni cattoliche di istruzione
superiore di svolgere una ricerca a favore della pace: le sue attività
di ricerca, quindi, includeranno lo studio dei gravi problemi
contemporanei, quali la dignità della vita umana, la promozione della
giustizia per tutti, la qualità della vita personale e familiare, la
protezione della natura, la ricerca della pace e della stabilità
politica, la condivisione più equa delle risorse del mondo e un nuovo
ordinamento economico e politico, che serva meglio la comunità umana a
livello nazionale e internazionale. La ricerca universitaria sarà
indirizzata a studiare in profondità le radici e le cause dei gravi
problemi del nostro tempo, riservando speciale attenzione alle loro
dimensioni etiche e religiose (cfr. “Ex Corde Ecclesiae”, n. 32).
Anche se non considerate direttamente come appartenenti al dialogo
interreligioso, le diverse iniziative, pubblicazioni, conferenze e
istituti sponsorizzati dalle istituzioni cattoliche nel mondo – scuole
e università – rappresentano una mirabile realizzazione delle
speranze espresse nella “Nostra Aetate”. A me pare, tuttavia, che
questi nobili sforzi possano essere legati in modo più esplicito al
dialogo interreligioso, posto che il fondamento sicuro per la giustizia,
la pace e la dignità umana risiede sul sincero dialogo tra i credenti.
Il dialogo tra esperti
torna su
Una terza forma di dialogo è quella tra esperti – quando il Consiglio
ha esortato i cattolici ad entrare “con prudenza e carità” in
dialogo e collaborazione con i seguaci delle altre religioni (“Nostra
Aetate”, n. 2). Questo invita gli specialisti ad “approfondire la
loro comprensione dei rispettivi patrimoni e ad apprezzare i rispettivi
valori spirituali” (“Dialogo e proclamazione”, n. 42-c). Le
università cattoliche in particolare hanno una responsabilità speciale
a questo proposito, poiché esse sono aperte ad ogni esperienza umana e
pronte a dialogare e imparare dalle altre culture e religioni.
“Consapevole che la cultura umana è aperta alla rivelazione e alla
trascendenza, l'Università cattolica è luogo primario e privilegiato
per un fruttuoso dialogo tra Vangelo e cultura” (“Ex Corde Ecclesiae”
n. 43) e, aggiungerei, tra il Cristianesimo e le altre religioni.
Su questo punto possiamo affermare che gli istituti educativi cattolici
sono all’avanguardia. Non solo offrono corsi, anche di livello molto
avanzato, su diverse confessioni religiose, ma incoraggiano i propri
docenti a partecipare agli innumerevoli dialoghi. Soprattutto, essi sono
esperti in filosofia, religioni comparate, scienze sociali e teologia,
al servizio della Chiesa. Se non fosse per questi esperti, finanziati e
sostenuti da molti istituti, la Chiesa cattolica sarebbe gravemente
carente dell’autorevolezza che ha in tali ambiti.
Inoltre, proprio perché le università cattoliche sono così impegnate
nel dialogo tra fede e ragione, esse sono altrettanto impegnate ad un
dialogo interreligioso fondato sulla “ricerca di tutti gli aspetti
della verità nel loro legame essenziale con la Verità suprema, che è
Dio” (“Ex Corde Ecclesiae”, n. 4). La domanda da porsi è invece
la seguente: le scuole cattoliche, le facoltà e i seminari svolgono il
dialogo teologico in modo sufficiente rispetto a quanto auspicato dal
Consiglio?
Il dialogo dell’esperienza religiosa
torna su
Mentre il “dialogo dell’esperienza religiosa” si sovrappone in
parte a quello degli esperti, nella misura in cui si tratti di contenuto
teologico, esso va anche oltre, nell’esperienza personale della
condivisione della preghiera, della contemplazione, dei modi di ricerca
dell’Assoluto e della fede. È questo dialogo che “può
rappresentare un mutuo arricchimento e una fruttuosa collaborazione per
la promozione e la difesa dei più alti valori e ideali spirituali”
(“Dialogo e missione” n. 35). Il dialogo teologico è reso vivo
dagli scambi a livello di esperienza religiosa, allo stesso modo in cui
tali discussioni “possono illuminare l’esperienza e incoraggiare a
stabilire contatti più vicini” (“Dialogo e proclamazione”, n.
43).
Promuovere il dialogo dell’esperienza religiosa può anche essere un
modo per rafforzare l’identità cattolica di un istituto. Le università
e le scuole, in particolare, dovrebbero dare dimostrazione pratica della
loro fede nelle loro attività giornaliere, assicurando del tempo per la
riflessione e la preghiera. Non solo ai cattolici dovrebbe essere
offerta l’opportunità di celebrare i sacramenti, ma “quelle comunità
accademiche che hanno nel proprio seno una consistente presenza di
persone appartenenti a Chiese, a comunità ecclesiali o a religioni
diverse, rispetteranno le loro iniziative per la riflessione e la
preghiera nella salvaguardia del loro credo” (“Ex Corde Ecclesiae”,
n. 39). Come adempiono i nostri istituti educativi a tale esigenza? Si
limitano al reciproco rispetto o vanno oltre, incoraggiando gli altri ad
essere fedeli alle proprie tradizioni religiose, in modo che i cristiani
e i non cristiani possano autenticamente crescere nella stima reciproca?
La chiamata alla pace torna
su
A mo’ di conclusione, nel portare al termine queste considerazioni,
vorrei rilevare che il mondo dell’educazione cattolica è andata al di
là dei primi passi nell’ “accogliere” la chiamata al dialogo
interreligioso e alla collaborazione, così appassionatamente avanzata
dai Padri conciliari nella “Nostra Aetate”.
Certamente molto ancora rimane da fare perché gli istituti educativi
cattolici ad ogni livello possano essere all’altezza delle sfide loro
lanciate dal Papa Giovanni Paolo II nella “Novo Millennio Ineunte”
nella quale ribadisce: “La grande sfida del dialogo interreligioso,
nel quale il nuovo secolo ci vedrà ancora impegnati, nella linea
indicata dal Concilio Vaticano II”. Negli anni di preparazione al
Grande Giubileo, la Chiesa ha voluto costruire, anche attraverso una
serie di incontri altamente simbolici, un rapporto di apertura e dialogo
con i seguaci di altre religioni. Questo dialogo deve continuare.
Nel contesto di un accresciuto pluralismo culturale e religioso, che
probabilmente segnerà la società del nuovo millennio, è evidente che
questo dialogo sarà particolarmente importante per stabilire basi
solide per la pace e per scongiurare lo spettro di quelle guerre di
religione che hanno così spesso insanguinato la storia dell’umanità.
Il nome dell’unico Dio deve diventare sempre di più ciò che esso è:
un nome di pace e una chiamata alla pace.
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Note
[1] Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e la
Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, “Dialogo e
proclamazione” (1991), n. 52.
[2] Vedi ad esempio il Segretariato per i non cristiani, “Dialogo e
missione” (1984), nn. 28-35: Pontificio consiglio per il dialogo
interreligioso, nn. 42-46: e Giovanni Paolo II, "Redemptoris missio”,
n. 57.
[3] Giovanni Paolo II, Messaggio del 1991 per la giornata mondiale per
la pace (n. 7.5).
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Fonte: Zenit.org