L'educazione cattolica e il dialogo interreligoso
40 anni dopo la "Nostra Aetate"
Il “Lay Center at Foyer Unitas”
27 ottobre 2004

La prospettiva dell’arcivescovo Michael Miller sulla "Nostra Aetate"

Intervento dell'arcivescovo Michael Miller, segretario della Congregazione per l’educazione cattolica, sulla Dichiarazione del Concilio Vaticano Secondo "Nostra Aetate", al “Lay Center at Foyer Unitas” a Roma.
L'identità degli istituti 
Quattro questioni
  1.Il dialogo della vita e la testimonianza
  2.Il dialogo d'azione 
  3.Il dialogo tra esperti
  4.Il dialogo dell'esperienza religiosa
La chiamata alla pace
 

Vorrei anzitutto ringraziare la dottoressa Donna Orsuto per il suo cortese invito che ci dà l’opportunità di condividere e discutere con voi di un argomento di vitale interesse non solo per la Chiesa ma anche per la politica contemporanea: il dialogo interreligioso e la ricezione della “Nostra Aetate” nell’ambito dell’educazione cattolica e specialmente negli istituti di istruzione superiore.


L’identità degli istituti                                  
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Vorrei affrontare in modo più esplicito una questione presente nei pensieri di molte persone, anche se in modo non del tutto articolato; ovvero, come può il dialogo interreligioso contribuire al rafforzamento dell’identità cattolica di un istituto accademico? Questa domanda si pone in quanto la “Ex Corde Ecclesiae” dà grande rilievo all’affermazione dell’identità cattolica dell’università, insistendo nel dire che “Ogni membro della comunità, a sua volta, aiuta a […] mantenere e a rafforzare il carattere cattolico dell'istituzione” (n. 21; cfr. Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi, n. 135). Risulta evidente quindi che la promozione del dialogo interreligioso deve sgorgare “dalla comune consacrazione alla verità, dalla medesima visione della dignità umana e, in ultima analisi, dalla persona e dal messaggio di Cristo che dà all'istituzione il suo carattere distintivo” (“Ex Corde Ecclesiae”, n. 21).

In altre parole un autentico dialogo interreligioso deve rafforzare e non diluire la particolare identità cattolica di un istituto di istruzione superiore. Alcuni accademici, anche se credo si tratti di una minoranza, non condividono l’idea di abbinare la “identità cattolica” al “dialogo interreligioso” ed hanno quindi fatto poco per attuare gli insegnamenti della “Nostra Aetate”. Per loro, tale eventualità è considerata come “un segno di debolezza o persino di tradimento della fede”. [1]

Nonostante questa obiezione, una buona argomentazione può essere proposta dimostrando che in effetti l’identità cattolica di un’università è rafforzata se questa promuove il dialogo interreligioso, proprio perché introduce gli studenti alla conoscenza di altre religioni e incoraggia i professori a farlo nell’ambito delle proprie lezioni. Certamente oggi più che mai è necessario che la comunità universitaria promuova la ferma convinzione di natura cattolica, sulla comune vocazione dell’umanità e sul progetto divino di salvezza per mezzo di Cristo, il quale “si è unito in certo modo ad ogni uomo” (“Gaudium et Spes”, n. 22).



Quattro questioni                                       
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A mio avviso, potrebbe essere avanzato un giudizio parziale sull’attuale estensione del recepimento della “Nostra Aetate” da parte del mondo dell’educazione cattolica, basandosi sulla valutazione dell’attuazione delle quattro forme di dialogo frequentemente citate nei diversi documenti del Magistero: il dialogo della vita, dell’azione, dello scambio teologico e dell’esperienza religiosa. [2]



Il dialogo della vita e la testimonianza        
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Il “dialogo della vita” è un atteggiamento e uno stile di vita, un comportamento guidato dallo spirito. Esso concretizza ciò che la “Nostra Aetate” ha raccomandato come pre-condizione di ogni dialogo: i cristiani dovrebbero svolgerlo “sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana” (n. 2). Nell’università e altrove, questo implica “cura, rispetto e ospitalità” per coloro che abitano regioni diverse. Una scuola o un’università cattoliche, che ricevono studenti di ogni fede, dovrebbero lasciare spazio “all’identità dell’altra persona, ai suoi modi di espressione e valori”(“Dialogo e missione” n. 29). Come viene vissuto questo nelle nostre istituzioni cattoliche? Sono queste veramente aperte agli altri, pronte a ricevere “l’altro” come un dono?

Questo dialogo di vita comporta inoltre che i cattolici dei nostri istituti educativi debbano dare testimonianza l’uno all’altro nel vivere quotidianamente i valori umani e spirituali e così aiutare i non cristiani a vivere nella fedeltà agli autentici valori da questi accolti.



Il dialogo d’azione                      
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Un secondo strumento che può essere utilizzato è il “dialogo d’azione” o “dialogo di lavoro”, a cui la “Nostra Aetate” si riferisce, affermando la necessità di “difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà” (n. 3). Questa forma di dialogo si basa su una disposizione alla collaborazione, specialmente nelle aree di promozione del bene comune: questioni relative allo sviluppo integrale dell’uomo, la giustizia, la pace, i diritti umani, ecc. Il documento “Dialogo e missione” afferma che questo “livello di dialogo è quello delle opere e della collaborazione con gli altri per obiettivi umanitari, sociali, economici o di natura politica, che sono dirette alla liberazione e all’avanzamento del genere umano” (n. 31).

Nei suoi numerosi incontri con i vertici e i rappresentanti di altre religioni e Stati con forti maggioranze non cristiane, il Santo Padre ha più volte rimarcato l’importanza del dialogo delle opere, essendo convinto che “le diverse religioni, ora e nel futuro, avranno un ruolo preminente nella tutela della pace”. Ancora una volta il Santo Padre ha sottolineato che “se intrapreso in uno spirito di fiducia e con rispetto e sincerità, la cooperazione e il dialogo interreligiosi rappresentano un vero contributo alla pace”. [3]

È inoltre responsabilità delle istituzioni cattoliche di istruzione superiore di svolgere una ricerca a favore della pace: le sue attività di ricerca, quindi, includeranno lo studio dei gravi problemi contemporanei, quali la dignità della vita umana, la promozione della giustizia per tutti, la qualità della vita personale e familiare, la protezione della natura, la ricerca della pace e della stabilità politica, la condivisione più equa delle risorse del mondo e un nuovo ordinamento economico e politico, che serva meglio la comunità umana a livello nazionale e internazionale. La ricerca universitaria sarà indirizzata a studiare in profondità le radici e le cause dei gravi problemi del nostro tempo, riservando speciale attenzione alle loro dimensioni etiche e religiose (cfr. “Ex Corde Ecclesiae”, n. 32).

Anche se non considerate direttamente come appartenenti al dialogo interreligioso, le diverse iniziative, pubblicazioni, conferenze e istituti sponsorizzati dalle istituzioni cattoliche nel mondo – scuole e università – rappresentano una mirabile realizzazione delle speranze espresse nella “Nostra Aetate”. A me pare, tuttavia, che questi nobili sforzi possano essere legati in modo più esplicito al dialogo interreligioso, posto che il fondamento sicuro per la giustizia, la pace e la dignità umana risiede sul sincero dialogo tra i credenti.


Il dialogo tra esperti                   
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Una terza forma di dialogo è quella tra esperti – quando il Consiglio ha esortato i cattolici ad entrare “con prudenza e carità” in dialogo e collaborazione con i seguaci delle altre religioni (“Nostra Aetate”, n. 2). Questo invita gli specialisti ad “approfondire la loro comprensione dei rispettivi patrimoni e ad apprezzare i rispettivi valori spirituali” (“Dialogo e proclamazione”, n. 42-c). Le università cattoliche in particolare hanno una responsabilità speciale a questo proposito, poiché esse sono aperte ad ogni esperienza umana e pronte a dialogare e imparare dalle altre culture e religioni. “Consapevole che la cultura umana è aperta alla rivelazione e alla trascendenza, l'Università cattolica è luogo primario e privilegiato per un fruttuoso dialogo tra Vangelo e cultura” (“Ex Corde Ecclesiae” n. 43) e, aggiungerei, tra il Cristianesimo e le altre religioni.

Su questo punto possiamo affermare che gli istituti educativi cattolici sono all’avanguardia. Non solo offrono corsi, anche di livello molto avanzato, su diverse confessioni religiose, ma incoraggiano i propri docenti a partecipare agli innumerevoli dialoghi. Soprattutto, essi sono esperti in filosofia, religioni comparate, scienze sociali e teologia, al servizio della Chiesa. Se non fosse per questi esperti, finanziati e sostenuti da molti istituti, la Chiesa cattolica sarebbe gravemente carente dell’autorevolezza che ha in tali ambiti.

Inoltre, proprio perché le università cattoliche sono così impegnate nel dialogo tra fede e ragione, esse sono altrettanto impegnate ad un dialogo interreligioso fondato sulla “ricerca di tutti gli aspetti della verità nel loro legame essenziale con la Verità suprema, che è Dio” (“Ex Corde Ecclesiae”, n. 4). La domanda da porsi è invece la seguente: le scuole cattoliche, le facoltà e i seminari svolgono il dialogo teologico in modo sufficiente rispetto a quanto auspicato dal Consiglio?



Il dialogo dell’esperienza religiosa                   
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Mentre il “dialogo dell’esperienza religiosa” si sovrappone in parte a quello degli esperti, nella misura in cui si tratti di contenuto teologico, esso va anche oltre, nell’esperienza personale della condivisione della preghiera, della contemplazione, dei modi di ricerca dell’Assoluto e della fede. È questo dialogo che “può rappresentare un mutuo arricchimento e una fruttuosa collaborazione per la promozione e la difesa dei più alti valori e ideali spirituali” (“Dialogo e missione” n. 35). Il dialogo teologico è reso vivo dagli scambi a livello di esperienza religiosa, allo stesso modo in cui tali discussioni “possono illuminare l’esperienza e incoraggiare a stabilire contatti più vicini” (“Dialogo e proclamazione”, n. 43).

Promuovere il dialogo dell’esperienza religiosa può anche essere un modo per rafforzare l’identità cattolica di un istituto. Le università e le scuole, in particolare, dovrebbero dare dimostrazione pratica della loro fede nelle loro attività giornaliere, assicurando del tempo per la riflessione e la preghiera. Non solo ai cattolici dovrebbe essere offerta l’opportunità di celebrare i sacramenti, ma “quelle comunità accademiche che hanno nel proprio seno una consistente presenza di persone appartenenti a Chiese, a comunità ecclesiali o a religioni diverse, rispetteranno le loro iniziative per la riflessione e la preghiera nella salvaguardia del loro credo” (“Ex Corde Ecclesiae”, n. 39). Come adempiono i nostri istituti educativi a tale esigenza? Si limitano al reciproco rispetto o vanno oltre, incoraggiando gli altri ad essere fedeli alle proprie tradizioni religiose, in modo che i cristiani e i non cristiani possano autenticamente crescere nella stima reciproca?



La chiamata alla pace            
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A mo’ di conclusione, nel portare al termine queste considerazioni, vorrei rilevare che il mondo dell’educazione cattolica è andata al di là dei primi passi nell’ “accogliere” la chiamata al dialogo interreligioso e alla collaborazione, così appassionatamente avanzata dai Padri conciliari nella “Nostra Aetate”.

Certamente molto ancora rimane da fare perché gli istituti educativi cattolici ad ogni livello possano essere all’altezza delle sfide loro lanciate dal Papa Giovanni Paolo II nella “Novo Millennio Ineunte” nella quale ribadisce: “La grande sfida del dialogo interreligioso, nel quale il nuovo secolo ci vedrà ancora impegnati, nella linea indicata dal Concilio Vaticano II”. Negli anni di preparazione al Grande Giubileo, la Chiesa ha voluto costruire, anche attraverso una serie di incontri altamente simbolici, un rapporto di apertura e dialogo con i seguaci di altre religioni. Questo dialogo deve continuare.

Nel contesto di un accresciuto pluralismo culturale e religioso, che probabilmente segnerà la società del nuovo millennio, è evidente che questo dialogo sarà particolarmente importante per stabilire basi solide per la pace e per scongiurare lo spettro di quelle guerre di religione che hanno così spesso insanguinato la storia dell’umanità. Il nome dell’unico Dio deve diventare sempre di più ciò che esso è: un nome di pace e una chiamata alla pace.
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Note

[1] Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, “Dialogo e proclamazione” (1991), n. 52.

[2] Vedi ad esempio il Segretariato per i non cristiani, “Dialogo e missione” (1984), nn. 28-35: Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, nn. 42-46: e Giovanni Paolo II, "Redemptoris missio”, n. 57.

[3] Giovanni Paolo II, Messaggio del 1991 per la giornata mondiale per la pace (n. 7.5).

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Fonte: Zenit.org

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