«Integrazione, è parola, da molti usata
per indicare la necessità che i migranti si inseriscano veramente nei
Paesi di accoglienza, ma il contenuto di questo concetto e la sua
pratica non si definiscono facilmente. A tale proposito mi piace
delinearne il quadro richiamando la recente Istruzione “Erga
migrantes caritas Christi ” (cfr nn. 2, 42, 43, 62, 80 e 89).»
Il “dialogo fra uomini di culture
diverse”, che “vada oltre la semplice tolleranza e giunga alla
simpatia” è il modello da applicare anche nei confronti degli
immigrati, nei confronti dei quali sono da escludere “sia i modelli
assimilazionisti, che tendono a fare del diverso una copia di sé, sia i
modelli di marginalizzazione degli immigrati, con atteggiamenti che
possono giungere fino alle scelte dell’apartheid”.
La via della “genuina integrazione”
è indicata dal Papa nel messaggio, reso noto oggi, per la 91/ma
Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che sarà celebrata il 16
gennaio 2005 e per la quale Giovanni Paolo II ha scelto il tema
“L’integrazione interculturale”. [testo
integrale del messaggio del S. Padre]
L’integrazione, nel messaggio, non è
“un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la
propria identità culturale. Il contatto con l’altro porta piuttosto a
scoprirne il ‘segreto’, ad aprirsi a lui per accoglierne gli aspetti
validi e contribuire così ad una maggior conoscenza di ciascuno. È un
processo prolungato che mira a formare società e culture, rendendole
sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini. Il
migrante, in tale processo, è impegnato a compiere i passi necessari
all’inclusione sociale, quali l’apprendimento della lingua nazionale
e il proprio adeguamento alle leggi e alle esigenze del lavoro, così da
evitare il crearsi di una differenziazione esasperata”.
Anche nel “conflitto di identità, che
spesso si innesca nell’incontro tra persone di culture diverse”,
possono esserci “elementi positivi”. “Nelle nostre società
investite dal fenomeno globale della migrazione” è necessario
“riconoscere la legittima pluralità delle culture presenti in un
Paese, compatibilmente con la tutela dell’ordine da cui dipendono la
pace sociale e la libertà dei cittadini”. “Nasce così la necessità
del dialogo fra uomini di culture diverse in un contesto di pluralismo
che vada oltre la semplice tolleranza e giunga alla simpatia”.
“I cristiani, per parte loro,
consapevoli della trascendente azione dello Spirito, sanno inoltre
riconoscere la presenza nelle varie culture di “preziosi elementi
religiosi ed umani” (cfr Gaudium et spes, 92), che possono offrire
solide prospettive di reciproca intesa. Ovviamente occorre coniugare il
principio del rispetto delle differenze culturali con quello della
tutela dei valori comuni irrinunciabili, perché fondati sui diritti
umani universali. Scaturisce di qui quel clima di “ragionevolezza
civica” che consente una convivenza amichevole e serena. Se coerenti
con se stessi, i cristiani non possono poi rinunziare a predicare il
Vangelo di Cristo ad ogni creatura (cfr Mc 16,15). Lo devono fare,
ovviamente, nel rispetto della coscienza altrui, praticando sempre il
metodo della carità, come già san Paolo raccomandava ai primi
cristiani (cfr Ef 4,15)”.