Il “dialogo
fra uomini di culture diverse”, che “vada oltre la semplice
tolleranza e giunga alla simpatia” è il modello da applicare anche
nei confronti degli immigrati, nei confronti dei quali sono da
escludere “sia i modelli assimilazionisti, che tendono a fare del
diverso una copia di sé, sia i modelli di marginalizzazione degli
immigrati, con atteggiamenti che possono giungere fino alle scelte
dell’apartheid”.
Carissimi Fratelli e Sorelle!
1. S’avvicina la
Giornata del Migrante e del Rifugiato. Nell’annuale Messaggio, che
sono solito inviarvi per la circostanza, vorrei guardare, questa volta,
al fenomeno migratorio dal punto di vista dell’integrazione.
E’ parola, questa, da
molti usata per indicare la necessità che i migranti si inseriscano
veramente nei Paesi di accoglienza, ma il contenuto di questo concetto e
la sua pratica non si definiscono facilmente. A tale proposito mi piace
delinearne il quadro richiamando la recente Istruzione “Erga
migrantes caritas Christi ” (cfr nn. 2, 42, 43, 62, 80 e 89).
In essa l’integrazione
non è presentata come un’assimilazione, che induce a sopprimere o a
dimenticare la propria identità culturale. Il contatto con l’altro
porta piuttosto a scoprirne il “segreto”, ad aprirsi a lui per
accoglierne gli aspetti validi e contribuire così ad una maggior
conoscenza di ciascuno. E’ un processo prolungato che mira a formare
società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni
di Dio agli uomini. Il migrante, in tale processo, è impegnato a
compiere i passi necessari all’inclusione sociale, quali l’apprendimento
della lingua nazionale e il proprio adeguamento alle leggi e alle
esigenze del lavoro, così da evitare il crearsi di una differenziazione
esasperata.
Non mi addentrerò nei
vari aspetti dell’integrazione. Desidero soltanto approfondire con
voi, in questa circostanza, alcune implicazioni dell’aspetto
interculturale.
2. A nessuno sfugge il
conflitto di identità, che spesso si innesca nell’incontro tra
persone di culture diverse. Non mancano in ciò elementi positivi.
Inserendosi in un nuovo ambiente, l’immigrato diventa spesso più
consapevole di chi egli è, specialmente quando sente la mancanza di
persone e di valori che sono importanti per lui.
Nelle nostre società
investite dal fenomeno globale della migrazione è necessario cercare un
giusto equilibrio tra il rispetto dell’identità propria e il
riconoscimento di quella altrui. E’ infatti necessario riconoscere la
legittima pluralità delle culture presenti in un Paese, compatibilmente
con la tutela dell’ordine da cui dipendono la pace sociale e la
libertà dei cittadini.
Si devono infatti
escludere sia i modelli assimilazionisti, che tendono a fare del diverso
una copia di sé, sia i modelli di marginalizzazione degli immigrati,
con atteggiamenti che possono giungere fino alle scelte dell’apartheid.
La via da percorrere è quella della genuina integrazione (cfr Ecclesia
in Europa 102), in una prospettiva aperta, che rifiuti di
considerare solo le differenze tra immigrati ed autoctoni (cfr Messaggio
per la Giornata Mondiale della Pace 2001 12).
3. Nasce così la
necessità del dialogo fra uomini di culture diverse in un contesto di
pluralismo che vada oltre la semplice tolleranza e giunga alla simpatia.
Una semplice giustapposizione di gruppi di migranti e di autoctoni tende
alla reciproca chiusura delle culture, oppure all’instaurazione tra
esse di semplici relazioni di esteriorità o di tolleranza. Si dovrebbe
invece promuovere una fecondazione reciproca delle culture. Ciò suppone
la conoscenza e l’apertura delle culture tra loro, in un contesto di
autentica comprensione e benevolenza.
I cristiani, per parte
loro, consapevoli della trascendente azione dello Spirito, sanno inoltre
riconoscere la presenza nelle varie culture di “preziosi elementi
religiosi ed umani” (cfr Gaudium et spes 92), che possono
offrire solide prospettive di reciproca intesa. Ovviamente occorre
coniugare il principio del rispetto delle differenze culturali con
quello della tutela dei valori comuni irrinunciabili, perché fondati
sui diritti umani universali. Scaturisce di qui quel clima di “ragionevolezza
civica” che consente una convivenza amichevole e serena.
Se coerenti con se
stessi, i cristiani non possono poi rinunziare a predicare il Vangelo di
Cristo ad ogni creatura (cfr Mc 16,15). Lo devono fare,
ovviamente, nel rispetto della coscienza altrui, praticando sempre il
metodo della carità, come già san Paolo raccomandava ai primi
cristiani (cfr Ef 4,15).
4. L’immagine del
profeta Isaia, da me più volte evocata negli incontri con i giovani di
tutto il mondo (cfr Is 21,11-12), potrebbe essere usata pure qui
per invitare tutti i credenti ad essere “sentinelle del mattino”.
Come sentinelle, i cristiani devono anzitutto ascoltare il grido di
aiuto proveniente da tanti migranti e rifugiati, ma devono poi
promuovere, con attivo impegno, prospettive di speranza, che preludano
all’alba di una società più aperta e solidale. A loro, per primi,
spetta di scorgere la presenza di Dio nella storia, anche quando tutto
sembra ancora avvolto dalle tenebre.
Con questo auspicio, che
trasformo in preghiera a quel Dio che intende radunare intorno a sé
tutti i popoli e tutte le lingue (cfr Is 66,18), invio a ciascuno
con vivo affetto la mia Benedizione.
Dal Vaticano, 24 Novembre 2004
GIOVANNI PAOLO II