Cercatori di silenzio. È forse
questa la targa che in mezzo a bandiere di tanti Paesi si può leggere sugli
zaini dei cinquantamila giovani calamitati da tutta Europa a Milano da oggi e
fino a domenica – con la notte del nuovo anno in mezzo – grazie al fascino
spirituale della proposta di Taizé. È la prima volta in 28 edizioni senza
frère Roger, l’iniziatore della comunità ecumenica francese e insieme l’inventore
di quello che chiamò «pellegrinaggio di fiducia» tra una città e l’altra
di un continente scoraggiato e disilluso, una semina di speranza proprio nelle
ore che dovrebbero alimentare uno slancio di ottimismo per l’anno nuovo e
che più facilmente per molti ragazzi somigliano a una chiassosa celebrazione
di un vitalismo fine a se stesso (ma non è che il mondo adulto gli offra
granché di meglio...).
Bella sfida, cercare il
silenzio a Capodanno dentro una metropoli sempre ansimante come Milano, anzi,
addirittura nei quartieri della nuova fiera urbana, luogo del mercato globale
trasformato in nudo anfiteatro di preghiera. I milanesi che incroceranno
questi ragazzi in giro per la città non potranno confonderli con l’abituale
struscio dei turisti: un po’ per il loro numero, certo non irrilevante anche
per la città del viavai senza posa, un po’ per lo sguardo. In qualche
misura, ciò che si cerca decide di quel che traspare dagli occhi.
Chi è stato a Colonia in
agosto per la Giornata mondiale della gioventù ha in mente questo fenomeno
riprodotto in dimensioni ciclopiche (il raduno di Taizé moltiplicato per
venti e passa). Allora quel milione di giovani era accorso lì semplicemente
«per adorarLo», come recitava il tema della Gmg. Incredibile a dirsi, per
una generazione che è abitualmente dipinta afona e insignificante: ma in quei
giorni si scoprì che mettersi davanti a Dio del tutto disarmati, solo per
conoscerlo e lasciarsi conoscere, è un’esperienza che non spaventa molti
ragazzi, tutt’altro. Per tanti di loro pregare torna a essere un’esigenza
che si fa prepotente, un richiamo all’autenticità, quasi un tornare in sé
dentro la giostra di un mondo centrifugo che vorrebbe fare a brandelli la
faticata identità di ciascuno. Pregare, adorare persino.
Comunque, saper frequentare il
silenzio senza imbarazzi, senza avvertirne il peso, un passo alla volta, con
una disponibilità che prescinde da sigle, curriculum interiori, dimestichezza
con la parrocchia o la pastorale giovanile. Dentro quel silenzio del quale si
nutre l’esperienza di Taizé – per tanti, un’introduzione o una conferma
di altri impegni di vita cristiana – si sa di trovare una presenza che colma
il vuoto avvertito da molti e che nulla vale a esorcizzare: non la caccia a
sempre nuovi stordimenti, non il brancolare da un’esperienza emotiva all’altra,
non il mimetismo dentro un gruppo, pur se «impegnato». Il silenzio della
preghiera – e le giornate dei cinquantamila a Milano ne saranno intessute
– esige di uscire dal guscio, di rompere con l’anonimato, di lasciarsi
chiamare per nome. I giovani sentono l’attrazione di un silenzio così. Chi
ha deciso di aprire la propria famiglia per ospitarli lo sa, o lo intuisce:
come premio alla generosità dell’accoglienza, l’aroma di quel silenzio
«abitato» resterà in tante case e parrocchie milanesi.
v. anche:
>Comunità
di Taizé al Capodanno di Milano
>È
qui l'ecumenismo dello spirito
>Il valore del silenzio