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I giovani dallo sguardo profondo, cercatori di silenzio
Francesco Ognibene, su Avvenire del 28 dicembre 2005

Cercatori di silenzio. È forse questa la targa che in mezzo a bandiere di tanti Paesi si può leggere sugli zaini dei cinquantamila giovani calamitati da tutta Europa a Milano da oggi e fino a domenica – con la notte del nuovo anno in mezzo – grazie al fascino spirituale della proposta di Taizé. È la prima volta in 28 edizioni senza frère Roger, l’iniziatore della comunità ecumenica francese e insieme l’inventore di quello che chiamò «pellegrinaggio di fiducia» tra una città e l’altra di un continente scoraggiato e disilluso, una semina di speranza proprio nelle ore che dovrebbero alimentare uno slancio di ottimismo per l’anno nuovo e che più facilmente per molti ragazzi somigliano a una chiassosa celebrazione di un vitalismo fine a se stesso (ma non è che il mondo adulto gli offra granché di meglio...).

Bella sfida, cercare il silenzio a Capodanno dentro una metropoli sempre ansimante come Milano, anzi, addirittura nei quartieri della nuova fiera urbana, luogo del mercato globale trasformato in nudo anfiteatro di preghiera. I milanesi che incroceranno questi ragazzi in giro per la città non potranno confonderli con l’abituale struscio dei turisti: un po’ per il loro numero, certo non irrilevante anche per la città del viavai senza posa, un po’ per lo sguardo. In qualche misura, ciò che si cerca decide di quel che traspare dagli occhi.

Chi è stato a Colonia in agosto per la Giornata mondiale della gioventù ha in mente questo fenomeno riprodotto in dimensioni ciclopiche (il raduno di Taizé moltiplicato per venti e passa). Allora quel milione di giovani era accorso lì semplicemente «per adorarLo», come recitava il tema della Gmg. Incredibile a dirsi, per una generazione che è abitualmente dipinta afona e insignificante: ma in quei giorni si scoprì che mettersi davanti a Dio del tutto disarmati, solo per conoscerlo e lasciarsi conoscere, è un’esperienza che non spaventa molti ragazzi, tutt’altro. Per tanti di loro pregare torna a essere un’esigenza che si fa prepotente, un richiamo all’autenticità, quasi un tornare in sé dentro la giostra di un mondo centrifugo che vorrebbe fare a brandelli la faticata identità di ciascuno. Pregare, adorare persino.

Comunque, saper frequentare il silenzio senza imbarazzi, senza avvertirne il peso, un passo alla volta, con una disponibilità che prescinde da sigle, curriculum interiori, dimestichezza con la parrocchia o la pastorale giovanile. Dentro quel silenzio del quale si nutre l’esperienza di Taizé – per tanti, un’introduzione o una conferma di altri impegni di vita cristiana – si sa di trovare una presenza che colma il vuoto avvertito da molti e che nulla vale a esorcizzare: non la caccia a sempre nuovi stordimenti, non il brancolare da un’esperienza emotiva all’altra, non il mimetismo dentro un gruppo, pur se «impegnato». Il silenzio della preghiera – e le giornate dei cinquantamila a Milano ne saranno intessute – esige di uscire dal guscio, di rompere con l’anonimato, di lasciarsi chiamare per nome. I giovani sentono l’attrazione di un silenzio così. Chi ha deciso di aprire la propria famiglia per ospitarli lo sa, o lo intuisce: come premio alla generosità dell’accoglienza, l’aroma di quel silenzio «abitato» resterà in tante case e parrocchie milanesi.


v. anche:

>Comunità di Taizé al Capodanno di Milano
>È qui l'ecumenismo dello spirito
>Il valore del silenzio

   
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