IL CRISTIANESIMO E LE RELIGIONI
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I. TEOLOGIA DELLE RELIGIONI
(status quaestionis)
I.3. LA QUESTIONE DELLA VERITÀ
13. Soggiacente a tutta questa discussione è il problema della verità delle religioni;
ma oggi si nota una tendenza a relegarlo in secondo piano, separandolo dalla riflessione
sul valore salvifico. La questione della verità comporta seri problemi di ordine teorico
e pratico, tanto che in passato ebbe conseguenze negative nell'incontro tra le religioni.
Di qui la tendenza a sminuire o a relativizzare tale problema, affermando che i criteri di
verità valgono soltanto per la propria religione. Alcuni introducono una nozione più
esistenziale di verità, considerando soltanto la condotta morale corretta della persona,
senza dare importanza al fatto che le sue convinzioni religiose possano essere condannate.
Si crea così una certa confusione tra "essere nella salvezza" ed "essere
nella verità": bisognerebbe piuttosto collocarsi nella prospettiva cristiana della
'salvezza come verità' e dell'essere nella 'verità come salvezza'. Tralasciare il
discorso sulla verità conduce a mettere superficialmente sullo stesso piano tutte le
religioni, svuotandole in fondo del loro potenziale salvifico. Affermare che tutte sono
vere equivale a dichiarare che tutte sono false: sacrificare la questione della verità è
incompatibile con la visione cristiana.
14. La concezione epistemologica soggiacente alla posizione pluralista utilizza la
distinzione di Kant tra 'noumeno' e 'fenomeno'. Dio, o la Realtà ultima, trascendente e
inaccessibile all'uomo, potrà essere sperimentato soltanto come fenomeno, espresso con
immagini e nozioni culturalmente condizionate; ne segue che rappresentazioni diverse della
stessa realtà non si escludono necessariamente tra loro 'a priori'. La questione della
verità si relativizza ancor più con l'introduzione del concetto di 'verità mitologica',
che non implica adeguamento a una verità, ma semplicemente risveglia nel soggetto una
disposizione adeguata all'enunciato. Tuttavia bisogna osservare che espressioni così
contrastanti del 'noumeno' finiscono di fatto per dissolverlo, svuotando il senso della
verità mitologica. Soggiace pure una concezione che separa radicalmente il Trascendente,
il Mistero, l'Assoluto dalle sue rappresentazioni: essendo tutte relative, poiché sono
imperfette e inadeguate, esse non possono rivendicare l'esclusività nella questione della
verità.
15. La ricerca di un criterio per stabilire la verità di una religione, che per essere
accettato dalle altre religioni deve situarsi fuori di essa, è un compito serio per la
riflessione teologica. Alcuni teologi evitano termini cristiani per parlare di Dio
('Eternal One, Ultimate Reality, Real') o per designare il comportamento corretto
('Reality-centredness', non 'Self-centredness'). Si nota però che tali espressioni o
manifestano una dipendenza da una determinata tradizione (cristiana) o diventano così
astratte che non sono più utili. Il ricorso all''humanum' non convince, trattandosi di un
criterio meramente fenomenologico, che farebbe dipendere la teologia delle religioni
dall'antropologia dominante in un'epoca. Si segnala pure che bisogna considerare come la
vera religione quella che riesce meglio sia a conciliare la limitatezza, la provvisorietà
e la mutabilità della propria autocomprensione con l'infinito a cui tende, sia a ridurre
a unità (forza integrativa) la pluralità di esperienze della realtà e delle concezioni
religiose.
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