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IL CRISTIANESIMO E LE RELIGIONI
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I. TEOLOGIA DELLE RELIGIONI (status
quaestionis)
I.5. IL DIBATTITO CRISTOLOGICO
18. Dietro alla problematica teo-logica, che abbiamo
ora visto, è stata sempre presente la questione cristo-logica, che adesso affrontiamo. Le
due questioni sono intimamente collegate, ma le trattiamo separatamente a causa della
complessità del problema. La maggiore difficoltà del cristianesimo si è sempre
focalizzata nell'"incarnazione di Dio", che conferisce alla persona e all'azione
di Gesù Cristo le caratteristiche di unicità e di universalità in ordine alla salvezza
dell'umanità. Ma come può un avvenimento particolare e storico avere una pretesa
universale? Come si può avviare un dialogo interreligioso, rispettando tutte le religioni
e senza considerarle in partenza come imperfette e inferiori, se riconosciamo in Gesù
Cristo, e soltanto in lui, il Salvatore unico e universale dell'umanità? Non si potrebbe
concepire la persona e l'azione salvifica di Dio a partire da altri mediatori oltre a
Gesù Cristo?
19. Il problema cristologico è legato essenzialmente a quello del valore salvifico delle
religioni, a cui abbiamo già accennato. Ora ci soffermiamo un po' di più sullo studio
delle conseguenze cristologiche delle posizioni teocentriche. Una conseguenza è il
cosiddetto "teocentrismo salvifico", che accetta un pluralismo di mediazioni
salvifiche legittime e vere. All'interno di questa posizione, come già osservammo, un
gruppo di teologi attribuisce a Gesù Cristo un valore normativo, in quanto la sua persona
e la sua vita rivelano, nel modo più chiaro e decisivo, l'amore di Dio per gli uomini. La
maggiore difficoltà di tale concezione è che non offre, né all'interno né all'esterno
del cristianesimo, un fondamento di tale normatività che si attribuisce a Gesù.
20. Un altro gruppo di teologi sostiene un teocentrismo salvifico con una cristologia non
normativa. Svincolare Cristo da Dio priva il cristianesimo di qualsiasi pretesa
universalistica della salvezza (e così diventerebbe possibile il dialogo autentico con le
religioni), ma implica la necessità di confrontarsi con la fede della chiesa e in
concreto con il dogma di Calcedonia. Questi teologi considerano tale dogma come
un'espressione storicamente condizionata dalla filosofia greca, che dev'essere
attualizzata perché impedisce il dialogo interreligioso. L'incarnazione sarebbe
un'espressione non oggettiva, ma metaforica, poetica, mitologica: essa vuole soltanto
significare l'amore di Dio che si incarna in uomini e donne la cui vita riflette l'azione
di Dio. Le affermazioni dell'esclusività salvifica di Gesù Cristo possono essere
spiegate con il contesto storico-culturale: cultura classica (una sola verità certa e
immutabile), mentalità escatologico-apocalittica (profeta finale, rivelazione definitiva)
e atteggiamento di una minoranza (linguaggio di sopravvivenza, un unico salvatore).
21. La conseguenza più importante di tale concezione è che Gesù Cristo non può essere
considerato l'unico ed esclusivo mediatore. Soltanto per i cristiani egli è la forma
umana di Dio, che adeguatamente rende possibile l'incontro dell'uomo con Dio, benché non
in modo esclusivo. È 'totus Deus', poiché è l'amore attivo di Dio su questa terra, ma
non è 'totum Dei', poiché non esaurisce in sé l'amore di Dio. Potremmo anche dire:
'totum Verbum, sed non totum Verbi'. Il 'Logos', che è più grande di Gesù, può
incarnarsi anche nei fondatori di altre religioni.
22. Questa stessa problematica ritorna quando si afferma che Gesù è il Cristo, ma il
Cristo è più che Gesù. Questo facilita molto l'universalizzazione dell'azione del
'Logos' nelle religioni; ma i testi neotestamentari non concepiscono il 'Logos' di Dio
prescindendo da Gesù. Un altro modo di argomentare in questa stessa linea consiste
nell'attribuire allo Spirito Santo l'azione salvifica universale di Dio, che non
condurrebbe necessariamente alla fede in Gesù Cristo.
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