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IL CRISTIANESIMO E LE RELIGIONI
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III. ALCUNE CONSEGUENZE PER
UNA TEOLOGIA CRISTIANA DELLE RELIGIONI
III.2. LA QUESTIONE DELLA RIVELAZIONE
88. La specificità e l'irripetibilità della rivelazione divina in Gesù Cristo si
fondano sul fatto che soltanto nella sua persona si dà l'autocomunicazione del Dio trino.
Perciò, in senso stretto, non si può parlare di rivelazione di Dio, se non in quanto Dio
dà se stesso: così Cristo è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione
('Dei Verbum', n. 2). Il concetto teologico di rivelazione non si può confondere con
quello della fenomenologia religiosa (sono religioni di rivelazione quelle che si
considerano fondate su una rivelazione divina). Solamente in Cristo e nel suo Spirito, Dio
si è dato completamente agli uomini; quindi soltanto quando questa autocomunicazione si
fa conoscere, si dà la rivelazione di Dio in senso pieno. Il dono che Dio fa di se stesso
e la sua rivelazione sono due aspetti inseparabili dell'evento di Gesù.
89. Prima della venuta di Cristo, Dio si rivelò in un modo particolare al popolo di
Israele come l'unico Dio vivo e vero. In quanto testimonianza di tale rivelazione, i libri
dell'Antico Testamento sono parola di Dio e conservano un valore perenne (cf. 'Dei
Verbum', n. 14): tuttavia soltanto nel Nuovo Testamento ricevono e manifestano il loro
pieno significato i libri dell'Antico (cf. 'Dei Verbum', n. 16). Nel giudaismo però
perdura la vera rivelazione divina dell'Antico Testamento. Alcuni elementi della
rivelazione biblica sono stati raccolti dall'islam, che li ha interpretati in un contesto
diverso.
90. Dio si è fatto conoscere e continua a farsi conoscere dagli uomini in vari modi:
attraverso le opere della creazione (cf. Sap 13,5; Rm 1,19-20); attraverso i giudizi della
coscienza (cf. Rm 2,14-15), ecc. Dio può illuminare gli uomini per diverse vie. La
fedeltà a Dio può dar luogo a una certa conoscenza per connaturalità. Le tradizioni
religiose sono state contrassegnate da "molte persone sincere, ispirate dallo Spirito
di Dio" ('Dialogo e annuncio', n. 30). L'azione dello Spirito continua a essere
percepita in qualche modo dall'essere umano. Se, come insegna la chiesa, nelle religioni
si trovano "semi del 'Verbo'" e "raggi della 'verità'", non si
possono escludere in esse elementi di una vera conoscenza di Dio, anche se imperfetta (cf.
'Redemptoris missio', n. 55). La dimensione gnoseologica non può essere del tutto assente
dove riconosciamo elementi di grazia e di salvezza.
91. Tuttavia, anche se Dio ha potuto illuminare gli uomini in vari modi, non abbiamo mai
la garanzia che queste luci siano rettamente accolte e interpretate in chi le riceve;
soltanto in Gesù abbiamo la garanzia della piena accoglienza della volontà del Padre. Lo
Spirito ha assistito in modo speciale gli apostoli nella testimonianza di Gesù e nella
trasmissione del suo messaggio; dalla predicazione apostolica è sorto il Nuovo
Testamento, e anche grazie a essa la chiesa ha ricevuto l'Antico. L'ispirazione divina,
che la chiesa riconosce agli scritti dell'Antico e del Nuovo Testamento, assicura che in
essi è stato raccolto tutto e soltanto quello che Dio voleva fosse scritto.
92. Non tutte le religioni hanno libri sacri. Anche se non si può escludere, nei termini
indicati, qualche illuminazione divina nella composizione di tali libri (nelle religioni
che li hanno), è più adeguato riservare la qualifica di ispirati ai libri canonici (cf.
'Dei Verbum', n. 11). La denominazione "parola di Dio" è stata riservata nella
tradizione agli scritti dei due Testamenti. La distinzione è chiara anche negli antichi
scrittori ecclesiastici che hanno riconosciuto semi del Verbo in alcuni scritti filosofici
e religiosi. I libri sacri delle varie religioni, anche quando possano far parte di una
preparazione evangelica, non si possono considerare come equivalenti all'Antico
Testamento, che costituisce la preparazione immediata alla venuta di Cristo nel mondo.
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