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IL CRISTIANESIMO E LE RELIGIONI
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III. ALCUNE CONSEGUENZE PER
UNA TEOLOGIA CRISTIANA DELLE RELIGIONI
III.3. LA VERITÀ COME PROBLEMA TRA LA TEOLOGIA
DELLE RELIGIONI E LA POSIZIONE PLURALISTICA
93. Il dialogo interreligioso non è soltanto un desiderio che nasce dal concilio Vaticano
II ed è promosso dall'attuale pontefice: è anche una necessità nella situazione attuale
del mondo. Sappiamo che questo dialogo è la preoccupazione centrale della teologia
pluralista delle religioni negli ultimi tempi. Per rendere possibile tale dialogo, i
rappresentanti di queste teologie pensano che da parte dei cristiani si debba eliminare
ogni pretesa di superiorità e di assolutezza, e ritenere che tutte le religioni abbiano
lo stesso valore. Pensano che sia una pretesa di superiorità considerare Gesù come
salvatore e mediatore unico per tutti gli uomini.
94. La rinuncia a tale pretesa è considerata essenziale perché il dialogo possa essere
fruttuoso: questo è senza dubbio il punto più importante con cui dobbiamo confrontarci.
Di fronte a queste impostazioni, si deve sottolineare che non è affatto disprezzo o
svalutazione quanto afferma la teologia cattolica, che tutto quello che nelle altre
religioni è vero e apprezzabile viene da Cristo nello Spirito Santo: questo anzi è il
modo migliore che ha il cristianesimo per esprimere il suo apprezzamento verso tali
religioni.
95. Se confrontiamo alcune opinioni teologiche esposte nel cap. I con le concezioni
magisteriali attuali e con il loro fondamento nella Scrittura e nella tradizione, che sono
stati l'oggetto del cap. II, si costata che alle une e alle altre è comune l'intenzione
fondamentale di riconoscere con rispetto e con gratitudine le verità e i valori che si
trovano nelle diverse religioni. Tutte cercano il dialogo con esse, senza pregiudizi e
senza desideri di polemica.
96. La differenza basilare tra le due impostazioni si trova però nella posizione che
adottano dinanzi al problema teologico della verità, e al tempo stesso dinanzi alla fede
cristiana. L'insegnamento della chiesa sulla teologia delle religioni muove dal centro
della verità della fede cristiana. Tiene conto, da una parte, dell'insegnamento paolino
della conoscenza naturale di Dio, e insieme esprime la fiducia nell'azione universale
dello Spirito. Vede entrambe le linee fondate sulla tradizione teologica; valorizza il
vero, il buono e il bello delle religioni a partire dal fondamento della verità della
propria fede, ma non attribuisce in generale una stessa validità alla pretesa di verità
delle altre religioni. Questo condurrebbe all'indifferenza, cioè a non prendere sul serio
la pretesa di verità tanto propria come altrui.
97. La teologia delle religioni che troviamo nei documenti ufficiali muove dal centro
della fede. Quanto al modo di procedere delle teologie pluraliste, e a prescindere dalle
diverse opinioni e dai continui cambiamenti che avvengono in esse, si può affermare che,
in fondo, hanno una strategia "ecumenica" del dialogo, si preoccupano cioè di
una rinnovata unità con le diverse religioni. Questa unità però si può costruire
soltanto eliminando aspetti della propria autocomprensione: si vuole ottenere l'unità
togliendo valore alle differenze, che sono considerate come una minaccia; si pensa almeno
che devono essere eliminate come particolarità o come riduzioni proprie di una cultura
specifica.
98. La mutata comprensione della propria fede ha diversi aspetti nella teologia pluralista
delle religioni. Indichiamo i più importanti: a) sul piano storico si suggerisce uno
schema in tre fasi, che giunge al pluralismo nel suo punto finale: esclusivismo,
inclusivismo, pluralismo; qui si presuppone erroneamente che soltanto l'ultima posizione
conduca a prestare vera attenzione alle altre religioni e quindi alla pace religiosa; b)
sul piano della teoria della conoscenza si riduce la capacità di verità delle
affermazioni teologiche (forme di espressione specifiche di una cultura), o si giunge
anche a sopprimerle (le affermazioni teologiche sono equiparate a quelle mitologiche); e
c) sul piano teologico si cerca la base di unità; la possibilità di riconoscere la pari
dignità si paga con la parzialità e la riduzione metodologiche (dall'ecclesiocentrismo
al cristocentrismo, e da questo al teocentrismo, mentre si suggerisce un concetto meno
determinato di Dio) e con la modificazione o la riduzione dei contenuti specifici della
fede, specialmente nella cristologia.
99. In un'epoca segnata dall'idea di un pluralismo di mercato, questa teologia acquista un
alto grado di credibilità, ma soltanto finché non si applica coerentemente anche alla
posizione dell'interlocutore in tale dialogo. Al riguardo possono darsi tre possibilità:
a) che l'interlocutore riconosca la tesi della "pari dignità" storicamente
plurale; b) che accetti per la propria religione la tesi della limitazione o della
soppressione della capacità di verità di tutte le affermazioni teologiche; c) o
modifichi il proprio metodo teologico e il contenuto delle proprie affermazioni di fede,
in modo che queste rimangono valide soltanto in relazione ai canoni della propria
religiosità: nel momento in cui si verifica una di queste possibilità, termina il
dialogo religioso. Effettivamente, non resta altro da fare se non costatare tale
pluralità indistinta. Perciò la teologia pluralista, come strategia di dialogo tra le
religioni, non solo non si giustifica di fronte alla pretesa di verità della propria
religione, ma annulla insieme la pretesa di verità dell'altra parte.
100. Di fronte alla semplificazione storica, epistemologica o teologica del rapporto tra
il cristianesimo e le altre religioni nella teologia pluralista, è necessario partire
dalla visione differenziata delle religioni, come si trova nella dichiarazione 'Nostra
aetate' del concilio Vaticano II. In essa viene descritto quello che le religioni del
mondo hanno fondamentalmente in comune, cioè lo sforzo "di superare, in vari modi,
l'inquietudine del cuore umano proponendo delle vie, cioè delle dottrine, dei precetti di
vita e dei riti sacri" (Vaticano II, dichiarazione 'Nostra aetate' sulle relazioni
della chiesa con le religioni non cristiane, n. 2), ma senza cancellare le differenze
ugualmente fondamentali. Le varie forme del buddhismo indicano all'uomo vie attraverso le
quali egli percepisce il senso dell'essere nel riconoscimento dell'insufficienza radicale
di questo mondo contingente. Nella ricchezza dei miti dell'induismo, nelle sue esigenze
ascetiche e nelle sue profonde meditazioni si esprime la ricerca fiduciosa di un rifugio
in Dio. Con l'islam la chiesa ha in comune qualcosa di più, poiché riconosce che i suoi
seguaci "adorano l'unico Dio (...) creatore del cielo e della terra" ('Nostra
aetate', n. 3): riconoscendo chiaramente quello che ci separa, non si possono trascurare
gli elementi comuni nella storia e nella dottrina. Con l'ebraismo il cristianesimo è
unito per la sua origine e per una ricca eredità comune: la storia dell'alleanza con
Israele, la confessione di un solo e unico Dio che si rivela in questa storia, la speranza
in Dio che viene e nel suo Regno futuro, sono comuni a ebrei e cristiani (cf. 'Nostra
aetate', n. 4).
Una teologia cristiana delle religioni dev'essere in grado di esporre teologicamente gli
elementi comuni e le differenze tra la propria fede e le convinzioni dei diversi gruppi
religiosi. Il concilio colloca tale compito in una tensione: da una parte contempla
l'unità del genere umano, fondata su un'origine comune ('Nostra aetate', n. 1) e, per
questo motivo, ancorata sulla teologia della creazione, "la chiesa cattolica nulla
rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni" ('Nostra aetate', n. 2)
D'altra parte, però, la stessa chiesa insiste sulla necessità dell'annuncio della
verità che è Cristo stesso: "Essa, però, annuncia ed è tenuta ad annunziare
incessantemente Cristo che è "la via, la verità e la vita" (Gv 14,6), in cui
gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato a
sé tutte le cose (cf. 2Cor 5,18-19)" ('Nostra aetate', n. 2).
101. Ogni dialogo vive sulla pretesa di verità di coloro che vi partecipano. Ma il
dialogo tra le religioni si caratterizza inoltre per il fatto di applicare la struttura
profonda della cultura di origine di ciascuno alla pretesa di verità di un'altra cultura.
È chiaro che tale dialogo è esigente e richiede una speciale sensibilità di fronte
all'altra cultura. Negli ultimi decenni si è particolarmente sviluppata questa
sensibilità di fronte al contesto culturale tanto delle varie religioni come del
cristianesimo e della sua teologia. Basta ricordare le "teologie in contesto" e
la crescente importanza del tema dell'inculturazione nel magistero e nella teologia. La
Commissione teologica internazionale è già intervenuta su questi temi (33), perciò qui sembrano necessarie soltanto due
indicazioni: 1) Una teologia differenziata delle religioni, che si basa sulla propria
pretesa di verità, è la base di qualunque dialogo serio e il presupposto necessario per
comprendere la diversità delle posizioni e i loro mezzi culturali di espressione. 2) La
contestualità letteraria o socioculturale, ecc. sono mezzi importanti di comprensione, a
volte unici, di testi e di situazioni, sono possibile luogo di verità, ma non si
identificano con la verità stessa. Con questo si indicano il significato e i limiti della
contestualità culturale. Il dialogo interreligioso tratta delle "coincidenze e
convergenze" con le altre religioni con cautela e rispetto. A proposito delle
"differenze", si deve tener conto che queste non devono annullare le coincidenze
e gli elementi di convergenza, e inoltre che il dialogo su tali differenze deve ispirarsi
alla propria dottrina e all'etica corrispondente; in altre parole, la forma del dialogo
non può invalidare il contenuto della propria fede e della propria etica.
102. La crescente interrelazione delle culture nell'attuale società mondiale e la loro
continua compenetrazione nei mezzi di comunicazione fanno sì che la questione della
verità delle religioni sia venuta al centro della coscienza quotidiana dell'uomo d'oggi.
Le presenti riflessioni considerano alcuni aspetti di tale nuova situazione, senza entrare
nella discussione dei contenuti con le diverse religioni. Questa dovrebbe avvenire nella
teologia dei diversi luoghi, cioè nei diversi centri di studio che sono in diretto
contatto culturale con le altre religioni. Di fronte alla mutata coscienza dell'uomo
attuale e alla situazione dei credenti, è chiaro che la discussione con la pretesa di
verità delle religioni non può essere un aspetto marginale o parziale della teologia. Il
confronto rispettoso con tale pretesa deve avere un ruolo nel centro del lavoro quotidiano
della teologia, dev'essere parte integrante di questa. Con esso il cristiano di oggi deve
imparare a vivere, nel rispetto per le diverse religioni, una forma della comunione che ha
il suo fondamento nell'amore di Dio per gli uomini e che si fonda sul suo rispetto per la
libertà dell'uomo. Questo rispetto verso l'"alterità" delle diverse religioni
è a sua volta condizionato dalla propria pretesa di verità.
103. L'interesse per la verità dell'altro condivide con l'amore il presupposto
strutturale della stima di se stesso. La base di ogni comunicazione, anche del dialogo tra
le religioni, è il riconoscimento dell'esigenza di verità. La fede cristiana però ha
una propria struttura di verità: le religioni parlano "del" Santo,
"di" Dio, "su" di lui, "in sua vece" o "nel suo
nome"; soltanto nella religione cristiana è Dio stesso che parla all'uomo con la sua
Parola. Solamente questo modo di parlare dà all'uomo la possibilità di essere persona in
senso proprio, insieme alla comunione con Dio e con tutti gli uomini. Il Dio in tre
persone è il cuore di questa fede: soltanto la fede cristiana vive del Dio uno e trino;
dal fondo della sua cultura è sorta la differenziazione sociale che caratterizza la
modernità.
104. All'unica mediazione salvifica di Cristo per tutti gli uomini la posizione pluralista
attribuisce una pretesa di superiorità; perciò si chiede che il cristocentrismo
teologico, dal quale si deduce necessariamente tale pretesa, sia sostituito da un
teocentrismo più accettabile. Di fronte a questo, occorre affermare che la verità della
fede non è a nostra disposizione. Di fronte a una strategia di dialogo che chiede una
riduzione del dogma cristologico per escludere questa pretesa di superiorità del
cristianesimo, scegliamo piuttosto - al fine di escludere una "falsa" pretesa di
superiorità - un'applicazione radicale della fede cristologica alla forma di annuncio che
le è propria. Ogni forma di evangelizzazione che non corrisponde al messaggio, alla vita,
alla morte e risurrezione di Cristo, compromette questo messaggio e, in ultima analisi,
Gesù Cristo stesso. La verità come verità è sempre "superiore"; però la
verità di Gesù Cristo, con la sua chiara esigenza, è sempre servizio all'uomo; è la
verità di colui che dà la vita per gli uomini, per farli entrare definitivamente
nell'amore di Dio. Ogni forma di annuncio che cerchi anzitutto e soprattutto di imporsi
sugli ascoltatori o di servirsi di loro con i mezzi di una razionalità strumentale o
strategica si oppone a Cristo, Vangelo del Padre, e alla dignità dell'uomo di cui egli
stesso parla.
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