Non giochiamo sui termini
È mistero della fede
La fede nella presenza reale di Cristo
nell'Eucaristia è da sempre accompagnata da
un intreccio e da un magistero di segni che
la predicano e manifestano.
All'origine di questi segni stanno le parole
"creatrici" di Cristo, che nell'Ultima Cena
ha proclamato suo Corpo il pane spezzato e
suo Sangue il vino distribuito; per cui in
ogni celebrazione eucaristica, dopo "la
preghiera di ringraziamento formata dalle
parole di Cristo", il pane e il vino - come
dichiara Giustino - non sono più considerati
come "pane comune" e "comune bevanda", ma
come "corpo e sangue di Gesù". Ovviamente,
se questa certezza declina o si annebbia,
anche i segni, privati del loro reale
riferimento, fatalmente si sfaldano e non
reggono più. È quanto qua e là sta
avvenendo, ed è indice preoccupante che la
fede eucaristica è in crisi.
La Chiesa, da quando il Signore le ha
affidato il suo Corpo dato da mangiare e il
suo Sangue da bere, ha sempre custodito
gelosamente il "mistero della fede", ossia
la verità della presenza reale, persuasa che
in ogni valida Eucaristia le parole della
consacrazione, che sono le medesime parole
del Signore, in virtù dell'azione dello
Spirito Santo, trasformano profondamente e
irreversibilmente il pane e il vino nel
Corpo e nel Sangue di Gesù.
Senza dubbio, l'espressione di questa fede
ha conosciuto una varietà di linguaggio, ma
sempre per dire una rigorosa identità di
contenuto. La Chiesa in ogni tempo si è
mostrata estremamente vigile a che questo
fosse custodito e insegnato senza
esitazioni, e ha sempre reagito, - talora
persino esagerando nella terminologia
realistica - contro ogni ondeggiamento e
ogni rischio di un simbolismo che incrinasse
o traducesse ambiguamente la presenza reale.
Il Concilio di Trento, affermando, contro
l'eresia dei Riformatori, che Cristo è
presente nell'Eucaristia "veramente,
realmente e sostanzialmente", e che la
"mirabile conversione" eucaristica in
maniera "conveniente e appropriata" è
chiamata "transustanziazione", non ha per
nulla infeudato la dottrina eucaristica in
una filosofia scolastica di matrice
aristotelica.
Con un linguaggio che pur risente in certa
misura di quella matrice, il Magistero della
Chiesa non ha fatto che insegnare la fede
tradizionale, secondo la quale la mutazione
eucaristica, restando intatto il piano
sperimentale del segno, avviene al livello
profondo dell'identità o della "sostanza" -
acutamente Tommaso d'Aquino dice:
dell'"entità" - per cui nella comunione si
riceve veramente il Corpo e il Sangue di
Cristo.
Interpretare la transustanziazione come il
cedimento a una concezione fisicistica della
conversione eucaristica è assolutamente
infondato: la transustanziazione, in quanto
mutazione "sostanziale", va esattamente in
senso opposto a questo cedimento, dal
momento che la "sostanza" di cui si tratta
non è la sostanza "fisica", ma è l'identità
che definisce una cosa. D'altra parte
proprio questo linguaggio - una volta
accolte le parole di Cristo - è il più
chiaro e il più comprensibile, anche se il
modo umano di esprimere i misteri sarà
sempre precario e limitato.
D'altronde, solo una mutazione a questo
livello e così intesa può garantire e
confermare che la conversione eucaristica
non è opera dell'uomo, ma opera di Cristo,
che ogni volta, in virtù della Spirito
Santo, personalmente trasforma e consacra il
pane e il vino in maniera irreversibile.
Recentemente, si è creduto che per indicare
la conversione eucaristica fosse più
pertinente e felice usare i termini: "transignificazione"
e "transfinalizzazione". Che il pane e il
vino nell'Eucaristia si trovino "transignificati"
e "transfinalizzati", ossia acquisiscano un
significato nuovo e una nuova finalità è
indubbio, ma questo non basta perché essi
siano realmente e definitivamente Corpo e
Sangue di Cristo. La radice ultima della
loro trasposizione sul piano della novità di
senso e di fine è il fatto che il Signore,
con il suo Spirito, li trasmuti così da
risultare in forma irreversibile Corpo e
Sangue di Gesù. Essi non rimangono ancora
pane e vino, immutati nella loro identità, e
solo assunti a un ruolo diverso da quello
spettante alla loro natura, ma è questa
stessa loro natura che, per potenza di
Cristo e del suo Spirito, viene trasformata.
Questa, in ogni caso, è la fede cattolica,
sì definita a Trento, ma da sempre creduta
dalla Chiesa, e dalla quale i Riformatori si
sono discostati, col risultato di non
possedere più né il sacramento del
sacrificio della Croce, né la presenza
"vera, reale e sostanziale", né il culto
all'Eucaristia.
C'erano senz'altro, nella Chiesa del loro
tempo, abusi deplorevoli o teorie
eucaristiche inaccettabili, ma la via giusta
per un risanamento non poteva consistere nel
distacco da quanto era patrimonio della
Tradizione di fede della stessa Chiesa, che
non nasceva allora e che nessuno poteva
ritenere seriamente d'essere chiamato a
riformare in quei termini, che era poi un
deformare.
Ora, da quella fede eucaristica gemmarono i
simboli eucaristici, destinati a predicare
operativamente e suggestivamente che
l'Eucaristia è l'identico sacrificio della
Croce nel sacramento, e che, fin che durano
le specie, è presente in essa il Corpo e il
Sangue di Cristo, anche una volta compiuta
la celebrazione, senza che si ritorni più al
pane e alla bevanda comuni. Per cui al pane
e al vino consacrati, che non sono più pane
e vino "naturali", vanno riservati quei
santi segni, che rivelano e accrescono la
fede e la venerazione. Alquanto
superficialmente, se non stoltamente, si va
deprecando il cosiddetto "rubricismo": forse
qualche esagerazione non mancava, al
riguardo, ma l'intenzione delle rubriche era
quella di tener vivo ed evidente il fatto
che l'Eucaristia è il Corpo e il Sangue del
Signore nella duplice direzione: dei segni
che la circondano - lumi, apparati - e degli
atteggiamenti che vanno assunti da parte dei
fedeli - genuflessioni, inchini,
incensazioni, e altro - e che, inculcati
dalla prima età, creano e alimentano la
sensibilità alla presenza reale e personale
del Signore. Del resto, a contare è come si
anima l'osservanza rubricale.
Se la dottrina della transustanziazione nel
senso sopra spiegato viene messa in dubbio o
fraintesa o rifiutata, non sorprendono i
vari comportamenti che si notano durante la
celebrazione eucaristica, per esempio,
quando si riceve la comunione, oppure dopo
la Messa, nel modo con cui si trattano le
particole consacrate rimaste: il trasparire
di una scarsa fede nel Corpo e Sangue del
Signore, se non persino di una incredulità,
derivano coerentemente dal fatto che non si
crede alla transustanziazione.
Non è difficile constatare celebranti
sbrigativi - fatalmente imitati dai fedeli -
che fanno sorgere la domanda se la teologia
eucaristica che hanno appreso sia ortodossa,
se siano stati alla gioiosa ammirazione di
questa stupenda opera di Dio, che è la
"mirabile conversione", frutto, come
insegnava sant'Ambrogio, della stessa divina
potenza che ha suscitato il corpo di Cristo
nel grembo verginale di Maria.
Sorge l'interrogativo se la triste fonte dei
sospetti sulla fede eucaristica non trovi la
sua genesi anche nel momento formativo di
offuscata ortodossia.
(©L'Osservatore Romano - 20 febbraio 2008)