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«Essere immersi in Lui
nella verità».
Una lezione di Liturgia
di Nicola Bux
Nel suo contributo, don Nicola Bux, docente di teologia sacramentaria e
liturgia a Bari e consultore di diversi dicasteri della Santa Sede, ci offre
una meditazione in chiave di teologia liturgica sull’omelia pronunciata dal
Santo Padre durante la Santa Messa crismale di quest’anno. Le riflessioni di
don Bux offrono interessanti suggerimenti per comprendere la mens liturgica
di Benedetto XVI (Mauro Gagliardi).
Chi legge l’introduzione del Papa ai suoi scritti sulla liturgia, editi per
ora in lingua tedesca, trova questo passaggio: «Non mi interessavano i
problemi specifici della scienza liturgica, ma sempre l’ancoraggio della
liturgia nell’atto fondamentale della nostra fede e quindi anche il suo
posto nella nostra intera esistenza umana».
Forse questa schiettezza confermerà taluni liturgisti in quello che già
pensano: Joseph Ratzinger non è un vero esperto di liturgia. Il problema è
che la liturgia, dopo il Concilio, è stata da molti studiosi disancorata dal
domma; quindi era difficile per un liturgista postconciliare leggere, ad
esempio, il libro di Ratzinger Das Fest des Glaubens (tradotto in italiano
col titolo La festa della fede). Ancora fino all’elezione pontificia,
capitava di udire vescovi sconsigliare la lettura di Einführung in den Geist
der Liturgie (versione italiana: Introduzione allo spirito della liturgia).
Alcuni si chiedevano: come poteva un dommatico (sic!) come Ratzinger
scrivere di liturgia?
Pian piano, cominciamo ad accorgerci che abbiamo smarrito, nell’approccio
alla liturgia, l’essenziale, per perderci dietro tecnicismi estenuanti ed
estetismi evanescenti. Non capita spesso di sentir dire, al termine di una
liturgia: «È stata una celebrazione riuscita»? La chiave per capire il
pensiero liturgico di Ratzinger sta al contrario nello sguardo orientato
alla Croce e a Colui che vi pende: sguardo ad un tempo reale e simbolico,
artistico e mistagogico; in una parola, liturgico.
L’omelia della Messa crismale
del giovedì santo di quest’anno ci riporta allo «spirito della liturgia»
come lo avverte il Santo Padre. Anche perché tocca quel rapporto essenziale
tra Ordinazione sacerdotale e culto – il prete è ordinato essenzialmente al
culto, inteso come offerta a Dio – innanzitutto perché rimette in auge il
concetto di consacrazione come sacrificio per Gesù Cristo e di conseguenza
per chi voglia far altrettanto col suo corpo, quale culto logico (cf. Rm
12,1-2).
Direi, anzi, che questo sia proprio dipendente dalla «consacrazione nella
verità». Così, «mi consacro» è uguale a «mi sacrifico», il sacerdote è nello
stesso tempo la vittima – «una parola abissale» che permette lo sguardo a
Gesù Cristo nel più intimo, perché si raggiunge il mistero della redenzione,
del sacerdozio della Chiesa, ovvero ciò che soprattutto essa è chiamata a
fare nel mondo e del mondo: una consacrazione.
Altro che dialogo col mondo: «un passaggio di proprietà» dal mondo a Dio è
il prete; ma questo è vero in radice per tutti i cristiani. Non è la
liturgia un sacrificio, un «privarsi di qualcosa per consegnarla a Dio»?
Essa non è in nostra proprietà: è «un essere messi da parte». Di qui segue
la funzione di rappresentare gli altri davanti a Lui.
Ma la liturgia è una consacrazione nella verità, perché la parola di Dio è
la Verità. Come dice più avanti, è Cristo stesso la Verità. La liturgia
della Parola deve essere una consacrazione nella verità, perché ha una vis –
forza, vis evangelii – distruttrice del demonio e purificatrice come
acqua e fuoco dello Spirito, e infine creatrice perché «trasforma
nell’essere di Dio». Saremo capaci di presentare così la prima parte della
Santa Messa? «E allora come stanno le cose nella nostra vita?» – domanda il
Papa a se stesso, a noi tutti, ai suoi collaboratori – e indaga con un esame
di coscienza a doppio taglio che ci scruta. Seguiamo il mondo con i suoi
pensieri e mode, oppure Lui? Altrimenti non ci si deve stupire del montare
della «superbia distruttiva e la presunzione, che disgregano ogni comunità e
finiscono nella violenza.
Sappiamo noi imparare da Cristo la retta umiltà – quante volte ricorre tale
parola nella liturgia! – che corrisponde alla verità del nostro essere, e
quell’obbedienza, che si sottomette alla verità, alla volontà di Dio?»
Insomma dalla parola di Dio si schiude l’accesso alla verità di cui bisogna
diventare ed essere discepoli sempre di nuovo. Anzi, in Cristo che è la
Verità accade il «rendili una sola cosa con me… Lègali a me. Tirali dentro
di me» – e qui è il passaggio alla liturgia eucaristica, al sacrificio.
Questa è l’unità vera, ecumenica e non; questa è la comunione: unificarsi a
Lui. «Sostanzialmente essa ci è stata donata per sempre nel Sacramento». In
specie per il sacerdote – a maggior ragione quando celebra – «L’unirsi a
Cristo suppone la rinuncia. Comporta che non vogliamo imporre la nostra
strada e la nostra volontà: che non desideriamo diventare questo o quest’altro,
ma ci abbandoniamo a lui, ovunque e in qualunque modo Egli voglia servirsi
di noi… Nel “sì” dell’Ordinazione sacerdotale abbiamo fatto questa rinuncia
fondamentale al voler essere autonomi, alla “autorealizzazione”». Solo così
la liturgia diventa servizio di Dio, anzi preghiera! Pregare «è un semplice
presentare noi stessi davanti a Lui». Essere ammessi alla Sua presenza,
cioè, a compiere il servizio sacerdotale.
Ed ecco il passaggio dalla preghiera personale a quella pubblica: «Ma
affinché questo non diventi un autocontemplarsi – quanta liturgia è così (cf.
meditazione alla IX stazione della Via Crucis 2005) – è importante che
impariamo continuamente a pregare pregando con la Chiesa. Celebrare
l’Eucaristia vuol dire pregare. Celebriamo l’Eucaristia in modo giusto, se
col nostro pensiero e col nostro essere entriamo nelle parole che la Chiesa
ci propone»: qui c’è tutto il giudizio sulla cosiddetta creatività che è
invece un uscire dalle parole della liturgia per preferire le nostre parole.
«In essa è presente la preghiera di tutte le generazioni, le quali ci
prendono con sé sulla via verso il Signore»: la liturgia appartiene alla
Tradizione con la T maiuscola. «E come sacerdoti siamo nella Celebrazione
eucaristica coloro che, con la loro preghiera, fanno strada alla preghiera
dei fedeli di oggi».
Ed ecco il tocco ascetico: «Se noi siamo interiormente uniti alle parole
della preghiera, se da esse ci lasciamo guidare e trasformare, allora anche
i fedeli trovano l’accesso a quelle parole. Allora tutti diventiamo
veramente “un corpo solo e un’anima sola” con Cristo». E si realizzerà
l’unità dei cristiani. Qui la liturgia del Sacrificio diventa Comunione
santa al Corpo e al Sangue. Non è finita: l’immersione nella verità e
santità di Dio vuol dire «anche accettare il carattere esigente della
verità; contrapporsi nelle cose grandi come in quelle piccole alla menzogna
che in modo così svariato è presente nel mondo… neppure dimenticare che in
Gesù Cristo verità e amore sono una cosa sola. Essere immersi in Lui
significa essere immersi nella sua bontà, nell’amore vero».
E ritorniamo alla caratteristica che fa del culto cristiano un culto logico:
essere offerta razionale di se stessi: «Cristo chiede per i discepoli la
vera santificazione, che trasforma il loro essere, loro stessi; che non
rimanga una forma rituale, ma sia un vero divenire proprietà di Dio stesso.
Potremmo anche dire: Cristo ha chiesto per noi il sacramento che ci tocca
nella profondità del nostro essere». Questo ogni giorno deve diventare vita.
Perciò «la rivelazione diventa liturgia» (Gesù di Nazaret, p. 356). Nella
liturgia il Signore ci immerge in se stesso e ci fa diventare «uomini di
verità, uomini di amore, uomini di Dio».
[Fonte Zenit 29 aprile 2009]
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