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Mons. Brunero Gherardini, Concilio Vaticano II. Un discorso da fare

[Supplica di Mons. Gherardini al Santo Padre]
[Recensione di P. Serafino Lanzetta]
 

Prefazione di S. Ecc. Rev.ma Mons. Mario Oliveri
Vescovo di Albenga-Imperia

"Vi rendo noto, fratelli,
l’Evangelo che vi ho annunziato
e che voi avete ricevuto,
nel quale restate ben saldi
e dal quale ricevete la salvezza
purché lo manteniate in quella forma
in cui ve l'ho trasmesso"
(1Cr 15,1-2)

Rev.mo e Caro Professore,
Con atto di grande cortesia, Lei ha voluto che io potessi leggere prima della sua pubblicazione il contenuto di una Sua elaborata meditazione teologica, che sarà edita da "Casa Mariana Editrice", con il titolo "Un Discorso da fare", ed il discorso riguarda il Concilio Ecumenico Vaticano II.
Ho letto il tutto con lo stesso animo assetato, con cui ho recepito sinora molte Sue pubblicazioni, diversi suoi libri, tanti Suoi articoli. Il filo conduttore di tutti i Suoi scritti è sempre quello che mette in logico e - direi - ferreo collegamento Verità rivelata e verità meditata dall'umano intelletto illuminato dalla fede, sostenuto dalla Teologia dei Padri della Chiesa, sistematizzata dalla grande Teologia scolastica, tramandatasi per secoli; sorretto dall'Insegnamento del Magistero della Chiesa, che mai può essere in contraddizione con se stesso, che solo può avere uno sviluppo così omogeneo da non dire mai "nova", ma tutt’al più "nove" (secondo la terminologia del "Commonitorium" di San Vincenzo di Lerino).

Mi accorgo che con queste espressioni mi riferisco ad una concezione filosofica, e quindi anche teologica (nella misura in cui si dà attenzione alla Verità rivelata) che riconosce all'umano intelletto il suo vero valore e la sua vera natura, così da considerarlo capace di raggiungere e di aderire ad una verità che è immutabile, come immutabile è l'essere di tutte le cose, perché dall'Essere Assoluto, da Colui che è, trae per creazione la sua natura. Ma l'intelletto non crea la verità, poiché non crea l'essere: l'intelletto conosce la verità, quando conosce il ciò che è delle cose.

Al di fuori di una tale visione, al di fuori di una tale Filosofia, qualsiasi discorso sulla immutabilità della verità e sulla continuità di adesione dell'intelletto alla stessa identica verità non terrebbe più, non avrebbe più alcuna sostenibilità. Non resterebbe che accettare una mutabilità continua di ciò che l'intelletto elabora, esprime e crea.

Anche un discorso sullo sviluppo omogeneo del dogma, o dell'Insegnamento della Chiesa attraverso i secoli, nel fluire del tempo e della storia, non potrebbe più farsi con la possibilità che sia compreso, proposto ed accolto. Ci si dovrebbe arrendere ad un "continuum fieri" sul piano di una "verità" non più conosciuta e riconosciuta dall'intelletto, ma da questo elaborata in base a ciò che appare e non a ciò che è.

Non è certo a Lei che questo discorso va fatto, ma leggendo la Sua meditazione teologica, dalla quale emerge la necessità di una vera "ermeneutica della continuità" a proposito dell'insegnamento del Vaticano II, non ho potuto fare a meno di esprimere qualche mio pensiero e di condividerlo con Lei.

La Sua pubblicazione mostra con grande chiarezza, con quella chiarezza di pensiero che Le è abituale, in forza della Sua acutezza di intelligenza ed altresì della Sua lunghissima esperienza di Docente, che nella Chiesa non vi può essere se non continuità. Il solo immaginare che vi possa essere "rivoluzione, cambiamento radicale, sostanziale mutazione" sul piano della verità e sul piano della vita soprannaturale della Chiesa, devia già dal sano ragionamento teologico, poiché come ho detto prima, devia dal sano ragionamento anche filosofico. Non disturba soltanto la fede, ma anche la ragione.

Si parla necessariamente di continuità "in substantialibus", non "in accidentalibus"; si parla di continuità con tutto ciò che "in sua materia" la Chiesa ha sempre creduto, professato, insegnato e vissuto nella sua vera realtà attraverso i secoli, a partire da quell'inizio che non è umano ma divino, che può essere colto soltanto da un intelletto illuminato dalla fede, sostenuto da una volontà mossa dalla Grazia divina.

Il Suo discorso, Chiarissimo Professore, permette di affrontare una profonda analisi del Vaticano II e del suo insegnamento, formulato nei suoi Documenti, tale da condurre a comprendere che anche là dove il linguaggio potrebbe far pensare ad una discontinuità con il contenuto teologico che si ritrova in "tutto il bagaglio dottrinale della Chiesa" non può che essere un dire "nove" non un dire "nova". E quindi non si può piegare il "bagaglio dottrinale della Chiesa" a quel linguaggio, ma esso va interpretato in modo che davvero non dica "nova" rispetto alla Tradizione della Chiesa.

Ma, attesa la natura del Concilio e la natura diversificata dei suoi Documenti, penso si possa sostenere che se da una ermeneutica teologica cattolica emergesse che taluni passi, o taluni passaggi e affermazioni del Concilio, non dicono soltanto "nove" ma anche "nova", rispetto alla perenne Tradizione della Chiesa, non si sarebbe più di fronte ad uno sviluppo omogeneo del Magistero: lì si avrebbe un insegnamento non irreformabile, certamente non infallibile.
Mi conforta moltissimo aver potuto proprio in questi giorni leggere il discorso del Santo Padre alla Plenaria della Congregazione per il Clero. Parlando della formazione dei Sacerdoti, Egli afferma: "La missione ha le sue radici in special modo in una buona formazione, sviluppata in comunione con l'ininterrotta Tradizione ecclesiale, senza cesure né tentazioni di discontinuità. In tal senso, è importante favorire nei Sacerdoti, soprattutto nelle giovani generazioni, una corretta ricezione dei testi del Concilio Ecumenico Vaticano II, interpretati alla luce di tutto il bagaglio dottrinale della Chiesa".

Di fronte a questa Mente del Santo Padre è agevole pensare che Egli vorrà dare buona considerazione alla Supplica, che a conclusione della Sua meditazione teologica sul Vaticano II, il Suo animo di devotissimo figlio della Chiesa ha voluto formulare al Successore di Pietro, chiedendo che al più alto livello del Magistero vi sia "una grandiosa e possibilmente definitiva mess'a punto sul Vaticano II in ognuno dei suoi aspetti e contenuti", che tocchi la sua vera natura, che indichi che cosa significhi che esso ha voluto proporsi come un Concilio pastorale.
Qual è, dunque, il suo valore dogmatico? Tutti i suoi documenti hanno lo stesso valore, oppure no? Tutte le espressioni presenti in essi hanno lo stesso valore oppure no? Il suo insegnamento è tutto irreformabile? E vero che alcune risposte a detti quesiti possono già dedursi dal Suo lavoro e dovrebbero potersi enucleare in base ai costanti criteri di giudizio teologico sempre seguiti nella Chiesa; ma nessuno può negare che in molta produzione "teologica" post-conciliare la confusione al riguardo sia molta e densa, e molto densa è l'incertezza dottrinale e pastorale.

Mi permetta perciò, caro Professore, e mi permetta soprattutto il Santo Padre, di unirmi "toto corde" alla Sua Supplica, mentre formulo l'auspicio che la Sua pubblicazione susciti molta attenzione e molta riflessione all'interno della Chiesa, ovunque si voglia fare vera teologia, e sia accolta con il rispetto che merita un lavoro condotto con rigore e certamente con grande amore alla Chiesa, alla sua perenne Tradizione, al suo Magistero, per la fedele conoscenza e trasmissione del quale Lei ha operato in tutta la Sua lunga attività di Docente della Sacra Teologia.
+ Mario Oliveri,
Vescovo

Albenga, 19 Marzo 2009
Solennità di San Giuseppe Patrono della Chiesa Universale


Supplica al Santo Padre

Beatissimo Padre,

so bene che questa comunicazione diretta è anomala e gliene chiedo scusa.
Il ricorrervi dipende anzitutto dalla fiducia che ispira la sua Persona e, in pari tempo, dall'aver Ella stessa raccomandato a tutta la Chiesa, come principio interpretativo del Vaticano II, l'ermeneutica della continuità, sulla quale, se me lo consente, vorrei brevemente parlarLe.
Fin ad oggi mi son sempre scrupolosamente guardato dall’interloquire con chi ha la responsabilità della Chiesa; ho, sì, richiesto qualche raro telegramma in particolari circostanze, ma nulla di più.
Anche il nostro personale rapporto all'interno del dibattito teologico è stato solo episodico; è mancata, per mia scelta, una reciproca frequentazione. Raramente infatti m'espongo, mai mi propongo.
Raccogliendo però il suo invito sull'ermeneutica della continuità, faccio oggi un'eccezione e sottopongo alla Santità Vostra alcune mie riflessioni a tale riguardo.

Per il bene della Chiesa - e più specificamente per l'attuazione della "salus animarum" che ne è la prima e "suprema lex" - dopo decenni di libera creatività esegetica, teologica, liturgica, storiografica e "pastorale" in nome del Concilio Ecumenico Vaticano II, a me pare urgente che si faccia un po' di chiarezza, rispondendo autorevolmente alla domanda sulla continuità di esso - non declamata, bensì dimostrata - con gli altri Concili e sulla sua fedeltà alla Tradizione da sempre in vigore nella Chiesa.

Non so se questo scritto perverrà nelle mani della Santità Vostra, né se vi perverrà così com'è stato concepito e come il benemerito Editore l’ha tipograficamente realizzato, anziché in qualche sintesi d'ufficio che non ne metta in risalto le connessioni logiche.
Da parte mia, proprio queste connessioni ho collocato a supporto della presente supplica, dettata dalla mia profonda convinzione circa l'improrogabile necessità che il dettato conciliare venga preso in esame in tutta la sua complessità ed estensione.
Sembra, infatti, difficile, se non addirittura impossibile, metter mano all'auspicata ermeneutica della continuità, se prima non si sia proceduto ad un'attenta e scientifica analisi dei singoli documenti, del loro insieme e d'ogni loro argomento, delle loro fonti immediate e remote, e si continui invece a parlarne solo ripetendone il contenuto o presentandolo come una novità assoluta.
Ho detto che un esame di tale e tanta portata trascende di gran lunga le possibilità operative d'una singola persona, non solo perché un medesimo argomento esige trattazioni su piani diversi - storico, patristico, giuridico, filosofico, liturgico, teologico, esegetico, sociologico, scientifico - ma anche perché ogni documento conciliare tocca decine e decine d'argomenti che solo i rispettivi specialisti son in grado di signoreggiare.
A ciò ripensando, da tempo era nata in me l’idea - che oso ora sottoporre alla Santità Vostra - d'una grandiosa e possibilmente definitiva mess’a punto sull'ultimo Concilio in ognuno dei suoi aspetti e contenuti.
Pare, infatti, logico e doveroso che ogni suo aspetto e contenuto venga studiato in sé e contestualmente a tutti gli altri, con l'occhio fisso a tutte le fonti, e sotto la specifica angolatura del precedente Magistero ecclesiastico, solenne ed ordinario. Da un così ampio ed ineccepibile lavoro scientifico, comparato con i risultati sicuri dell'attenzione critica al secolare Magistero della Chiesa, sarà poi possibile trarre argomento per una sicura ed obiettiva valutazione del Vaticano II in risposta alle seguenti - tra molte altre - domande:
1. Qual è la sua vera natura?
2. La sua pastoralità - di cui si dovrà autorevolmente precisare la nozione - in quale rapporto sta con il suo eventuale carattere dogmatico? Si concilia con esso? Lo presuppone? Lo contraddice? Lo ignora?
3. È proprio possibile definire dogmatico il Vaticano II? E quindi riferirsi ad esso come dogmatico? Fondare su di esso nuovi asserti teologici? In che senso? Con quali limiti?
4. È un "evento" nel senso dei professori bolognesi, che cioè rompe i collegamenti col passalo ed instaura un'era sotto ogni aspetto nuova? Oppure tutto il passato rivive in esso "eodem sensu eademque sententia"?
È evidente che l'ermeneutica della rottura e quella della continuità dipendono dalle risposte che si daranno a tali domande. Ma se la conclusione scientifica dell'esame porterà all'ermeneutica della continuità come l'unica doverosa e possibile, sarà allora necessario dimostrare - al di là d'ogni declamatoria asseverazione - che la continuità è reale, e tale si manifesta, solo nell’identità dogmatica di fondo.
Qualora questa, o in tutto o in parte, non risultasse scientificamente provata, sarebbe necessario dirlo con serenità e franchezza, in risposta all'esigenza di chiarezza sentita ed attesa da quasi mezzo secolo.
La Santità Vostra mi chiederà perché mai dica a Lei ciò che Ella già conosce meglio di me, avendone chiaramente e coraggiosamente già parlato. In fondo, me lo chiedo anch'io, un po' meravigliato per il mio ardire e dispiaciuto per il tempo che Le sottraggo. Vedo, però, nel mio ardire un atto insieme di "parresìa" e di coerenza, in linea con l'ecclesiologia che i miei grandi Maestri avevan appreso dalla Parola rivelata, dalla patristica e dal Magistero e che - "quasi in insipientia loquor" (2Cr 11,17) - anch'io ho avuto l'onore e la gioia di ritrasmetter a migliaia d'alunni.
È l'ecclesiologia che nella Chiesa una-santa-cattolica-apostolica riconosce la presenza misterica del Signore Nostro Gesù Cristo e secondo la quale il Papa, anche "seorsim", è sempre in grado - per dirla con S. Bonaventura - di "reparare universa" perfino nel caso che "omnia destructa fuissent". Basta una sua parola, Beatissimo Padre, perché tutto, essendo essa stessa la Parola, ritorni nell'alveo della pacifica e luminosa e gioiosa professione dell'unica Fede nell'unica Chiesa.
Ho detto, strada facendo, che lo strumento per "reparare omnia" potrebb'esser un grande documento papale, destinato a rimanere nei secoli come il segno e la testimonianza del Suo vigile e responsabile esercizio del ministero petrino.
Qualora, però, non volesse agire da solo, Ella potrebbe disporre che o qualche suo dicastero, o l'insieme delle Pontificie Università dell'Urbe, o un organismo unitario e di vastissima rappresentatività, assicurandosi la collaborazione di tutti i più prestigiosi, sicuri e riconosciuti specialisti in ognuno dei settori in cui s'articola il Vaticano II, organizzi una serie di congressi d'altissima qualità a Roma o altrove; o una serie di pubblicazioni su ognuno dei documenti conciliari e sulle singole tematiche di essi.
Si potrà in tal modo sapere se, in che senso e fin a che punto il Vaticano II, e soprattutto il postconcilio, possan interpretarsi nella linea d'un'indiscutibile continuità sia pur evolutiva, o se invece le sian estranei se non anche d'ostacolo.
Ringraziando in anticipo la Santità Vostra e rinnovandoLe sinceramente le mie scuse, Le auguro che la pienezza della grazia divina, la verità divinamente rivelata e la Tradizione dalla quale la rivelazione stessa è veicolata nell'alternarsi dei periodi e delle epoche della storia ecclesiastica, sian sempre la luce del Suo ministero. Mi benedica.

Sac. Brunero Gherardini


Come reperire il libro
Concilio Ecumenico Vaticano II UN DISCORSO DA FARE
di Monsignor Brunero Gherardini

può essere richiesto:

  • scrivendo a CASA MARIANA EDITRICE,
    Via dell'Immacolata, 83040 Frigento (Av).
  • telefonando o inviando un fax allo
    0825.444015 – 444391.
  • rivolgendosi alla Chiesa Maria SS. Annunziata,
    Via Lungo Tevere Vaticano, 1 - 000193 Roma.
    Tel. 06.6892614 (apertura: 9.00 – 12.00; 16.00-20.00)

Tutti i libri di "Casa Mariana Editrice" non hanno un prezzo commerciale ma vengono ripagati con un'offerta a secondo della Vostra disponibilità e bontà.
 

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