"Vi rendo noto, fratelli,
l’Evangelo che vi ho annunziato
e che voi avete ricevuto,
nel quale restate ben saldi
e dal quale ricevete la salvezza
purché lo manteniate in quella forma
in cui ve l'ho trasmesso"
(1Cr 15,1-2)
Rev.mo e Caro Professore,
Con atto di grande cortesia, Lei ha voluto che io potessi leggere prima
della sua pubblicazione il contenuto di una Sua elaborata meditazione
teologica, che sarà edita da "Casa Mariana Editrice", con il titolo "Un
Discorso da fare", ed il discorso riguarda il Concilio Ecumenico Vaticano II.
Ho letto il tutto con lo stesso animo assetato, con cui ho recepito sinora
molte Sue pubblicazioni, diversi suoi libri, tanti Suoi articoli. Il filo
conduttore di tutti i Suoi scritti è sempre quello che mette in logico e -
direi - ferreo collegamento Verità rivelata e verità meditata dall'umano
intelletto illuminato dalla fede, sostenuto dalla Teologia dei Padri della
Chiesa, sistematizzata dalla grande Teologia scolastica, tramandatasi per
secoli; sorretto dall'Insegnamento del Magistero della Chiesa, che mai può
essere in contraddizione con se stesso, che solo può avere uno sviluppo così
omogeneo da non dire mai "nova", ma tutt’al più "nove" (secondo la
terminologia del "Commonitorium" di San Vincenzo di Lerino).
Mi accorgo che con queste espressioni mi riferisco ad una concezione
filosofica, e quindi anche teologica (nella misura in cui si dà attenzione
alla Verità rivelata) che riconosce all'umano intelletto il suo vero valore
e la sua vera natura, così da considerarlo capace di raggiungere e di
aderire ad una verità che è immutabile, come immutabile è l'essere di tutte
le cose, perché dall'Essere Assoluto, da Colui che è, trae per creazione la
sua natura. Ma l'intelletto non crea la verità, poiché non crea l'essere:
l'intelletto conosce la verità, quando conosce il ciò che è delle cose.
Al di fuori di una tale visione, al di fuori di una tale Filosofia,
qualsiasi discorso sulla immutabilità della verità e sulla continuità di
adesione dell'intelletto alla stessa identica verità non terrebbe più, non
avrebbe più alcuna sostenibilità. Non resterebbe che accettare una
mutabilità continua di ciò che l'intelletto elabora, esprime e crea.
Anche un discorso sullo sviluppo omogeneo del dogma, o dell'Insegnamento
della Chiesa attraverso i secoli, nel fluire del tempo e della storia, non
potrebbe più farsi con la possibilità che sia compreso, proposto ed accolto.
Ci si dovrebbe arrendere ad un "continuum fieri" sul piano di una "verità"
non più conosciuta e riconosciuta dall'intelletto, ma da questo elaborata in
base a ciò che appare e non a ciò che è.
Non è certo a Lei che questo discorso va fatto, ma leggendo la Sua
meditazione teologica, dalla quale emerge la necessità di una vera
"ermeneutica della continuità" a proposito dell'insegnamento del Vaticano II,
non ho potuto fare a meno di esprimere qualche mio pensiero e di
condividerlo con Lei.
La Sua pubblicazione mostra con grande chiarezza, con quella chiarezza di
pensiero che Le è abituale, in forza della Sua acutezza di intelligenza ed
altresì della Sua lunghissima esperienza di Docente, che nella Chiesa non vi
può essere se non continuità. Il solo immaginare che vi possa essere
"rivoluzione, cambiamento radicale, sostanziale mutazione" sul piano della
verità e sul piano della vita soprannaturale della Chiesa, devia già dal
sano ragionamento teologico, poiché come ho detto prima, devia dal sano
ragionamento anche filosofico. Non disturba soltanto la fede, ma anche la
ragione.
Si parla necessariamente di continuità "in substantialibus", non "in
accidentalibus"; si parla di continuità con tutto ciò che "in sua materia"
la Chiesa ha sempre creduto, professato, insegnato e vissuto nella sua vera
realtà attraverso i secoli, a partire da quell'inizio che non è umano ma
divino, che può essere colto soltanto da un intelletto illuminato dalla
fede, sostenuto da una volontà mossa dalla Grazia divina.
Il Suo discorso, Chiarissimo Professore, permette di affrontare una profonda
analisi del Vaticano II e del suo insegnamento, formulato nei suoi
Documenti, tale da condurre a comprendere che anche là dove il linguaggio
potrebbe far pensare ad una discontinuità con il contenuto teologico che si
ritrova in "tutto il bagaglio dottrinale della Chiesa" non può che essere un
dire "nove" non un dire "nova". E quindi non si può piegare il "bagaglio
dottrinale della Chiesa" a quel linguaggio, ma esso va interpretato in modo
che davvero non dica "nova" rispetto alla Tradizione della Chiesa.
Ma, attesa la natura del Concilio e la natura diversificata dei suoi
Documenti, penso si possa sostenere che se da una ermeneutica teologica
cattolica emergesse che taluni passi, o taluni passaggi e affermazioni del
Concilio, non dicono soltanto "nove" ma anche "nova", rispetto alla perenne
Tradizione della Chiesa, non si sarebbe più di fronte ad uno sviluppo
omogeneo del Magistero: lì si avrebbe un insegnamento non irreformabile,
certamente non infallibile.
Mi conforta moltissimo aver potuto proprio in questi giorni leggere il
discorso del Santo Padre alla Plenaria della Congregazione per il Clero.
Parlando della formazione dei Sacerdoti, Egli afferma: "La missione ha le
sue radici in special modo in una buona formazione, sviluppata in comunione
con l'ininterrotta Tradizione ecclesiale, senza cesure né tentazioni di
discontinuità. In tal senso, è importante favorire nei Sacerdoti,
soprattutto nelle giovani generazioni, una corretta ricezione dei testi del
Concilio Ecumenico Vaticano II, interpretati alla luce di tutto il bagaglio
dottrinale della Chiesa".
Di fronte a questa Mente del Santo Padre è agevole pensare che Egli vorrà
dare buona considerazione alla Supplica, che a conclusione della Sua
meditazione teologica sul Vaticano II, il Suo animo di devotissimo figlio
della Chiesa ha voluto formulare al Successore di Pietro, chiedendo che al
più alto livello del Magistero vi sia "una grandiosa e possibilmente
definitiva mess'a punto sul Vaticano II in ognuno dei suoi aspetti e
contenuti", che tocchi la sua vera natura, che indichi che cosa significhi
che esso ha voluto proporsi come un Concilio pastorale.
Qual è, dunque, il suo valore dogmatico? Tutti i suoi documenti hanno lo
stesso valore, oppure no? Tutte le espressioni presenti in essi hanno lo
stesso valore oppure no? Il suo insegnamento è tutto irreformabile? E vero
che alcune risposte a detti quesiti possono già dedursi dal Suo lavoro e
dovrebbero potersi enucleare in base ai costanti criteri di giudizio
teologico sempre seguiti nella Chiesa; ma nessuno può negare che in molta
produzione "teologica" post-conciliare la confusione al riguardo sia molta e
densa, e molto densa è l'incertezza dottrinale e pastorale.
Mi permetta perciò, caro Professore, e mi permetta soprattutto il Santo
Padre, di unirmi "toto corde" alla Sua Supplica, mentre formulo l'auspicio
che la Sua pubblicazione susciti molta attenzione e molta riflessione
all'interno della Chiesa, ovunque si voglia fare vera teologia, e sia
accolta con il rispetto che merita un lavoro condotto con rigore e
certamente con grande amore alla Chiesa, alla sua perenne Tradizione, al suo
Magistero, per la fedele conoscenza e trasmissione del quale Lei ha operato
in tutta la Sua lunga attività di Docente della Sacra Teologia.
+ Mario Oliveri,
Vescovo
Albenga, 19 Marzo 2009
Solennità di San Giuseppe Patrono della Chiesa Universale
Supplica al Santo Padre
Beatissimo Padre,
so bene che questa comunicazione diretta è anomala e gliene chiedo scusa.
Il ricorrervi dipende anzitutto dalla fiducia che ispira la sua Persona e,
in pari tempo, dall'aver Ella stessa raccomandato a tutta la Chiesa, come
principio interpretativo del Vaticano II, l'ermeneutica della continuità,
sulla quale, se me lo consente, vorrei brevemente parlarLe.
Fin ad oggi mi son sempre scrupolosamente guardato dall’interloquire con chi
ha la responsabilità della Chiesa; ho, sì, richiesto qualche raro telegramma
in particolari circostanze, ma nulla di più.
Anche il nostro personale rapporto all'interno del dibattito teologico è
stato solo episodico; è mancata, per mia scelta, una reciproca
frequentazione. Raramente infatti m'espongo, mai mi propongo.
Raccogliendo però il suo invito sull'ermeneutica della continuità, faccio
oggi un'eccezione e sottopongo alla Santità Vostra alcune mie riflessioni a
tale riguardo.
Per il bene della Chiesa - e più specificamente per l'attuazione della "salus
animarum" che ne è la prima e "suprema lex" - dopo decenni di libera
creatività esegetica, teologica, liturgica, storiografica e "pastorale" in
nome del Concilio Ecumenico Vaticano II, a me pare urgente che si faccia un
po' di chiarezza, rispondendo autorevolmente alla domanda sulla continuità
di esso - non declamata, bensì dimostrata - con gli altri Concili e sulla
sua fedeltà alla Tradizione da sempre in vigore nella Chiesa.
Non so se questo scritto perverrà nelle mani della Santità Vostra, né se vi
perverrà così com'è stato concepito e come il benemerito Editore l’ha
tipograficamente realizzato, anziché in qualche sintesi d'ufficio che non ne
metta in risalto le connessioni logiche.
Da parte mia, proprio queste connessioni ho collocato a supporto della
presente supplica, dettata dalla mia profonda convinzione circa
l'improrogabile necessità che il dettato conciliare venga preso in esame in
tutta la sua complessità ed estensione.
Sembra, infatti, difficile, se non addirittura impossibile, metter mano
all'auspicata ermeneutica della continuità, se prima non si sia proceduto ad
un'attenta e scientifica analisi dei singoli documenti, del loro insieme e
d'ogni loro argomento, delle loro fonti immediate e remote, e si continui
invece a parlarne solo ripetendone il contenuto o presentandolo come una
novità assoluta.
Ho detto che un esame di tale e tanta portata trascende di gran lunga le
possibilità operative d'una singola persona, non solo perché un medesimo
argomento esige trattazioni su piani diversi - storico, patristico,
giuridico, filosofico, liturgico, teologico, esegetico, sociologico,
scientifico - ma anche perché ogni documento conciliare tocca decine e
decine d'argomenti che solo i rispettivi specialisti son in grado di
signoreggiare.
A ciò ripensando, da tempo era nata in me l’idea - che oso ora sottoporre
alla Santità Vostra - d'una grandiosa e possibilmente definitiva mess’a
punto sull'ultimo Concilio in ognuno dei suoi aspetti e contenuti.
Pare, infatti, logico e doveroso che ogni suo aspetto e contenuto venga
studiato in sé e contestualmente a tutti gli altri, con l'occhio fisso a
tutte le fonti, e sotto la specifica angolatura del precedente Magistero
ecclesiastico, solenne ed ordinario. Da un così ampio ed ineccepibile lavoro
scientifico, comparato con i risultati sicuri dell'attenzione critica al
secolare Magistero della Chiesa, sarà poi possibile trarre argomento per una
sicura ed obiettiva valutazione del Vaticano II in risposta alle seguenti -
tra molte altre - domande:
1. Qual è la sua vera natura?
2. La sua pastoralità - di cui si dovrà autorevolmente precisare la nozione
- in quale rapporto sta con il suo eventuale carattere dogmatico? Si
concilia con esso? Lo presuppone? Lo contraddice? Lo ignora?
3. È proprio possibile definire dogmatico il Vaticano II? E quindi riferirsi
ad esso come dogmatico? Fondare su di esso nuovi asserti teologici? In che
senso? Con quali limiti?
4. È un "evento" nel senso dei professori bolognesi, che cioè rompe i
collegamenti col passalo ed instaura un'era sotto ogni aspetto nuova? Oppure
tutto il passato rivive in esso "eodem sensu eademque sententia"?
È evidente che l'ermeneutica della rottura e quella della continuità
dipendono dalle risposte che si daranno a tali domande. Ma se la conclusione
scientifica dell'esame porterà all'ermeneutica della continuità come l'unica
doverosa e possibile, sarà allora necessario dimostrare - al di là d'ogni
declamatoria asseverazione - che la continuità è reale, e tale si manifesta,
solo nell’identità dogmatica di fondo.
Qualora questa, o in tutto o in parte, non risultasse scientificamente
provata, sarebbe necessario dirlo con serenità e franchezza, in risposta
all'esigenza di chiarezza sentita ed attesa da quasi mezzo secolo.
La Santità Vostra mi chiederà perché mai dica a Lei ciò che Ella già conosce
meglio di me, avendone chiaramente e coraggiosamente già parlato. In fondo,
me lo chiedo anch'io, un po' meravigliato per il mio ardire e dispiaciuto
per il tempo che Le sottraggo. Vedo, però, nel mio ardire un atto insieme di
"parresìa" e di coerenza, in linea con l'ecclesiologia che i miei grandi
Maestri avevan appreso dalla Parola rivelata, dalla patristica e dal
Magistero e che - "quasi in insipientia loquor" (2Cr 11,17) - anch'io ho
avuto l'onore e la gioia di ritrasmetter a migliaia d'alunni.
È l'ecclesiologia che nella Chiesa una-santa-cattolica-apostolica riconosce
la presenza misterica del Signore Nostro Gesù Cristo e secondo la quale il
Papa, anche "seorsim", è sempre in grado - per dirla con S. Bonaventura - di
"reparare universa" perfino nel caso che "omnia destructa fuissent". Basta
una sua parola, Beatissimo Padre, perché tutto, essendo essa stessa la
Parola, ritorni nell'alveo della pacifica e luminosa e gioiosa professione
dell'unica Fede nell'unica Chiesa.
Ho detto, strada facendo, che lo strumento per "reparare omnia" potrebb'esser
un grande documento papale, destinato a rimanere nei secoli come il segno e
la testimonianza del Suo vigile e responsabile esercizio del ministero
petrino.
Qualora, però, non volesse agire da solo, Ella potrebbe disporre che o
qualche suo dicastero, o l'insieme delle Pontificie Università dell'Urbe, o
un organismo unitario e di vastissima rappresentatività, assicurandosi la
collaborazione di tutti i più prestigiosi, sicuri e riconosciuti specialisti
in ognuno dei settori in cui s'articola il Vaticano II, organizzi una serie
di congressi d'altissima qualità a Roma o altrove; o una serie di
pubblicazioni su ognuno dei documenti conciliari e sulle singole tematiche
di essi.
Si potrà in tal modo sapere se, in che senso e fin a che punto il Vaticano
II, e soprattutto il postconcilio, possan interpretarsi nella linea
d'un'indiscutibile continuità sia pur evolutiva, o se invece le sian
estranei se non anche d'ostacolo.
Ringraziando in anticipo la Santità Vostra e rinnovandoLe sinceramente le
mie scuse, Le auguro che la pienezza della grazia divina, la verità
divinamente rivelata e la Tradizione dalla quale la rivelazione stessa è
veicolata nell'alternarsi dei periodi e delle epoche della storia
ecclesiastica, sian sempre la luce del Suo ministero. Mi benedica.
Sac. Brunero Gherardini
Come reperire il libro
Concilio Ecumenico Vaticano II UN DISCORSO DA FARE
di Monsignor Brunero Gherardini
può essere richiesto:
- scrivendo a CASA MARIANA EDITRICE,
Via dell'Immacolata, 83040 Frigento (Av).
- telefonando o inviando un fax allo
0825.444015 – 444391.
- rivolgendosi alla Chiesa Maria SS. Annunziata,
Via Lungo Tevere Vaticano, 1 - 000193 Roma.
Tel. 06.6892614 (apertura: 9.00 – 12.00; 16.00-20.00)
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ma vengono ripagati con un'offerta a secondo della Vostra disponibilità e
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