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Cammino Neocatecumenale: non sono bastonate, però…
Stefano Caredda, su Korazym.org
28/02/2007
ROMA – Rispetto delle regole: quelle dettate del
papa, quelle suggerite dai vescovi, quelle volute dai parroci. Rispetto delle
regole e rispetto delle persone, nelle realtà parrocchiali del nostro paese e
in quelle dei territori di missione. Ruotano ancora una volta intorno al
principio dell’unità della Chiesa le notizie sul Cammino Neocatecumenale,
protagonista - suo malgrado – di due episodi che rendono evidente come ancora
lungo sia il percorso da compiere per instaurare a pieno titolo e senza alcuna
riserva questo itinerario di formazione nella realtà della Chiesa universale.
Un percorso che intanto si avvicina ad una data importante, quella del
prossimo giugno, quando il Pontificio Consiglio per i Laici dovrà decidere se
approvare in via definitiva gli Statuti del Cammino, in vigore dal giugno 2002
per un periodo di prova limitato a cinque anni: una scelta niente affatto
scontata se perfino il papa – appena una settimana fa – si è domandato in
pubblico, di fronte ai sacerdoti della sua diocesi, se dopo cinque anni
di sperimentazione si debbano confermare in modo definitivo gli Statuti
del Cammino, o se non sia invece necessario un ulteriore tempo di
sperimentazione, o - ancora - se si debbano perfino "ritoccare" alcuni
elementi della struttura del Cammino.
Se, cioè, a quarant’anni esatti dalla nascita della prima comunità
neocatecumenale, è il successore di Pietro a porsi questa domanda e a parlare
apertamente di “molte complicazioni”, e se sono ancora tanti i vescovi
scettici sulla completa bontà del percorso ideato dagli iniziatori del
Cammino, e se ancora a distanza di anni le congregazioni vaticane competenti
non hanno espresso un giudizio definitivo sul Direttorio Catechetico
(l’insieme degli insegnamenti di Kiko Argüello e Carmen Hernández, cuore
pulsante di questo percorso di riscoperta del Battesimo), è evidente che c’è
qualcosa che non va. Che ancora non va. E questo sia dal punto di vista
liturgico (con le direttive impartite dalla Congregazione per il Culto Divino
nel dicembre 2005, e poi ribadite da Benedetto XVI nel gennaio 2006, che
ancora non trovano completa applicazione nella realtà concreta) sia dal punto
di vista dottrinale. Ad essere in gioco è la piena aderenza del Cammino agli
insegnamenti della Chiesa, nonché le modalità con cui questi insegnamenti
trovano concreta attuazione nelle parrocchie di tutto il mondo.
Nell’ultima settimana due “rilievi” sono arrivati ai responsabili del Cammino
Neocatecumenale: una lettera dai toni fermi e severi scritta dai vescovi
cattolici della Terra Santa alle comunità neocatecumenali stanziate nella
regione e un discorso pronunciato a braccio niente meno che da papa Benedetto
XVI. Due episodi che si inseriscono così nel complesso quadro del percorso
verso il pieno e completo riconoscimento vaticano della realtà ecclesiale
sorta quattro decenni fa.
È
il dodici gennaio 2006, Udienza del papa al Cammino Neocatecumenale. In primo
piano Kiko Argüello
che, al microfono, presenta a Benedetto XVI duecento famiglie che si accingono
a partire in missione. Il papa osserva e risponde al saluto delle famiglie.
(Foto di Daniele Colarieti - Catholic Press Photo)
IL PAPA - Le parole del papa sono risuonate giovedì
scorso, 22 febbraio, nell’aula delle Benedizioni in Vaticano, dove il
pontefice ha incontrato i parroci e il clero della diocesi di Roma in un
appuntamento divenuto ormai una tradizione di inizio Quaresima. In quell’occasione Benedetto
XVI ha ascoltato nove domande da parte di parroci e sacerdoti, rispondendo
loro immediatamente dopo. Nessun testo scritto preparato in precedenza,
dunque, ma semplici considerazioni, a braccio, sui temi esposti dai
rappresentanti del clero romano. Quando ad essere evocato è stato il tema dei
movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, e della necessità che tali realtà
si muovano in un contesto di “unità nella Chiesa universale”, papa Ratzinger
ha formulato una risposta articolata in cui ha ricordato le due regole fondamentali,
quella per la quale occorre “non spegnere i carismi” (i movimenti sono doni
dello Spirito, per i quali bisogna “essere grati anche se a volte sono
scomodi) e quella per la quale “la Chiesa è una”, per cui “se i Movimenti sono
realmente doni dello Spirito Santo” essi devono inserirsi nella Chiesa e
servirla, con sullo sfondo un “dialogo paziente e fecondo” con i Pastori (cioè
con il papa e i vescovi).
Se dunque
Benedetto XVI ha ricordato che molte nuove forme di vita nella Chiesa sono
nate dal basso, che anche benedettini e francescani sono nati come “movimento”
per poi inserirsi “non senza sofferenze e non senza difficoltà nella vita
della Chiesa”, quando ha dovuto affrontare in modo esplicito il tema
dell’unità all’interno della Chiesa l’esempio concreto portato dal papa è
stato uno solo: quello del Cammino Neocatecumenale. “Il
dialogo fra pastori e movimenti è a tutti i livelli. Cominciando dal parroco,
dal vescovo e dal successore di Pietro è in corso la ricerca delle opportune
strutture: in molti casi la ricerca ha già dato i suoi frutti. In altri si sta
ancora studiando. Ad esempio, ci si domanda se dopo cinque anni di
esperimento, si debbano confermare in modo definitivo gli Statuti per il
Cammino Neocatecumenale o se ancora ci voglia un tempo di esperimento o se si
debbano forse un po' ritoccare alcuni elementi di questa struttura. In ogni
caso, io ho conosciuto i Neocatecumenali dall'inizio. E’ stato un cammino
lungo, con molte complicazioni che esistono anche oggi, ma abbiamo trovato una
forma ecclesiale che ha già molto migliorato il rapporto tra il Pastore e il
Cammino. E andiamo avanti così! Lo stesso vale per gli altri Movimenti”.
Di un testo
parlato è sempre bene non fare una “esegesi” biblica, ma certamente nella
spontaneità e nella maggiore libertà di un colloquio orale non possono passare
inosservati gli accenni ai punti critici della struttura neocatecumenale, che
il papa ipotizza possa anche essere “ritoccata”: accanto alla possibilità di
una conferma definitiva degli Statuti, infatti, restano plausibili nelle sue
parole gli altri due sbocchi giuridici, quello di una proroga al periodo di
sperimentazione degli Statuti e quello di un vero e proprio ritocco ad alcuni
elementi della struttura. Qualcosa che non va, insomma, e che va cambiato. Pur
con tutta la cautela del caso, il messaggio che arriva dal discorso papale non
è un segnale di poco conto, a quattro mesi dalla scadenza del primo
quinquennio “ad experimentum”. “Molte complicazioni” – dice il papa – ci sono
state in passato e molte “esistono anche oggi”, nonostante il lungo cammino (qui
evidentemente inteso con la c minuscola, nel senso di percorso, e non con la
maiuscola, così come invece si legge nel testo diffuso dalla sala stampa della
Santa Sede, ndr)
e per quanto il rapporto fra vescovi e Cammino sia “già molto migliorato”
appare evidente che molto resta ancora da fare. “Andiamo avanti così”, cioè
continuiamo su questa strada di confronto e dialogo, conclude Benedetto XVI.
L'iniziatore del Cammino Neocatecumenale Kiko Argüello con il cardinale Joseph
Ratzinger. Una delle foto che testimonia gli incontri del futuro papa
Benedetto XVI con il Cammino.
I VESCOVI DI
TERRA SANTA
– Ancora più ferma e significativa è la presa di posizione degli ordinari
cattolici della Terra Santa, che ai membri delle comunità neocatecumenali
presenti nelle loro diocesi hanno inviato una lettera tanto educata nei toni
quanto severa, rigorosa e drastica nella sostanza (qui
il testo integrale). Nella missiva, primo firmatario il patriarca latino
di Gerusalemme Michel Sabbah, i vescovi formulano alcune richieste che vanno
evidentemente a toccare le modalità concrete della presenza neocatecumenale
nelle parrocchie di Palestina, Israele e Giordania: le abitudini, i rapporti
con i parroci e i vescovi, la prassi liturgica seguita, i modi di rapportarsi
con i fedeli cristiani non facenti parte delle comunità del Cammino, e così
via. Al di là dei riassunti piuttosto soft circolati in questi giorni, ce n’è davvero per
tutti i gusti.
Dopo i dovuti
ringraziamenti per la presenza e l’aiuto offerti dalle comunità
neocatecumenali ai fedeli, il primo riferimento è subito alla
lettera della Congregazione del Culto Divino
del 1° dicembre 2005 e al
discorso di Benedetto XVI del 12 gennaio 2006, cioè ai due interventi più
duri ed esigenti che siano piovuti sulla realtà neocatecumenale negli ultimi
tempi, senza trovare peraltro – almeno finora – accoglimento pieno e totale
(ma è opportuno ricordare che le direttive più importanti concedevano due anni
di tempo per un completo adeguamento). “Vi domandiamo” – scrivono i vescovi –
“di prendere posto nel cuore della parrocchia nella quale annunciate la Parola
di Dio evitando di fare un gruppo a parte”. No dunque alla separazione della
comunità neocatecumenale rispetto al resto dei fedeli cristiani: “Il vostro
primo dovere, se volete aiutare i fedeli a crescere nella fede, è di radicarli
nelle parrocchie e nelle proprie tradizioni liturgiche nelle quali sono
cresciuti da generazioni”.
Dunque, vivere la
parrocchia, non dividerla o separarla (accusa questa tra le più gettonate, fra
quelle che colpiscono il Cammino) e un riferimento di non poco conto alla
liturgia: “In Oriente, noi teniamo molto alla nostra liturgia e alle nostre
tradizioni. E’ la liturgia che ha molto contributo a conservare la fede
cristiana nei nostri paesi lungo la storia. Il rito è come una carta
d’identità e non solo un modo tra altri di pregare. Vi preghiamo di aver la
carità di capire e rispettare l’attaccamento dei nostri fedeli alle proprie
liturgie”. Il capire e rispettare l’attaccamento dei fedeli alle liturgie è
qui la chiara trascrizione della contrarietà a pratiche liturgiche lontane
dalla tradizione orientale e che invece rappresentano un punto focale
dell’esperienza neocatecumenale: “Celebrate l’Eucaristia con la parrocchia e
secondo il modo della Chiesa locale”, scrivono - utilizzando il modo
imperativo - i vescovi, per i quali l’Eucaristia è il sacramento di “unità”
della parrocchia, e non di “frazionamento”, e le celebrazioni devono essere
presiedute sempre dal parroco nel caso di riti orientali e comunque “in pieno
accordo con lui” nel rito latino. No alle parrocchie sfaldate, no ad una
eccessiva indipendenza di giudizio e ad una esagerata libertà di azione, no a
quelle liturgie che agli occhi degli orientali (e forse non solo ai loro…)
potrebbero facilmente apparire eccentriche, bizzarre, stravaganti, o comunque
lontane dalla tradizione.
“Ogni predicazione” – continuano i vescovi – “dovrebbe guidare i nostri fedeli
negli atteggiamenti concreti da assumere nel diversi contesti della vita: vi
chiediamo di predicare un Vangelo incarnato nella vita”, e dunque "nella
ricerca della pace e della giustizia", "nell’atteggiamento di perdono e di
amore per il nemico", nell’esigenza dei propri diritti ad iniziare dalla
"dignità, dalla libertà e dalla giustizia". Ma non finisce qui, perché gli
ordinari cattolici scrivono: “Vi chiediamo inoltre di mettervi seriamente allo
studio della lingua e della cultura della gente, in segno di rispetto per loro
e quale strumento di comprensione della loro anima e della loro storia, nel
contesto della Terra Santa”. Una sottolineatura che sorprende, sia nello stile
(il rafforzativo “seriamente” la dice lunga sul tono della missiva) sia nel
merito, giacché da persone serie e umili - quali certamente i responsabili
delle comunità del Cammino neocatecumenale in Terra Santa sono - ci si sarebbe
attesi uno spontaneo orientamento verso lo studio delle caratteristiche
essenziali di un popolo (lingua e cultura), in un atteggiamento di fondo
improntato al massimo rispetto. Atteggiamento che evidentemente, se viene così
invocato dai vescovi, è finora stato latitante.
È plausibile che
– confermando una tendenza già manifestatasi a suo tempo con la missiva del
cardinale Arinze, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la
Disciplina dei Sacramenti – la lettera degli ordinari cattolici della Terra
Santa venga presentata da alcuni rappresentanti del Cammino non come una
"bastonata" (secondo il gergo caro ai mass media e così tanto criticato allora
dai responsabili del Cammino), ma come un riconoscimento al grande servizio
reso dai neocatecumenali alla Chiesa cattolica. “Siete benvenuti nelle nostre
diocesi”, scrivono infatti i vescovi, e “ringraziamo Dio per la grazia che il
Signore vi ha data e per il carisma che il Santo Spirito ha effuso nella
Chiesa tramite il vostro ministero della formazione post-battesimale”. “Siamo
riconoscenti” – continuano – “per la vostra presenza in alcune delle nostre
parrocchie, per la predicazione della Parola di Dio, per l'aiuto offerto ai
nostri fedeli nell'approfondimento della loro fede e nel radicarsi nella loro
propria chiesa locale, in ‘una sintesi di predicazione kerygmatica,
cambiamento di vita e liturgia’”. Considerazioni, queste, certamente scritte
per amore di onestà (oltre che per la comune regola della buona educazione,
che in ambito ecclesiastico si concretizza spesso nella forma dell’elogio) ma
che altrettanto innegabilmente non rappresentano il “cuore” della missiva:
lettere come queste servono infatti per puntualizzare, per correggere, per
dare direttive, e non per lodare o per dispensare impropri riconoscimenti.
Fosse solo per quelli, non sarebbero mai state scritte. Quando dei vescovi
arrivano a scrivere le cose nero su bianco, dando rilevanza pubblica alle
questioni sollevate, è perché le stesse cose sono già state dette a voce,
senza aver portato ad alcun risultato, o avendo ottenuto pochi apprezzabili
risultati.
Con la lettera dei vescovi di Palestina, Israele e Giordania, siamo certamente ancora lontani dai
toni di duro rimprovero che in alcune occasioni, prima dell’approvazione ad
experimentum degli statuti, erano stati mossi al Cammino da alcuni vescovi
italiani (da una piccola minoranza di essi, s’intende). Ciò nonostante, essa
rappresenta – insieme alle parole pronunciate da papa Ratzinger – un chiaro
segnale del fatto che le modalità di applicazione concreta del Cammino
continuano ancora a seminare dubbi e contrarietà, tanto da mettere a
repentaglio perfino il doveroso rispetto delle persone e il dovuto rispetto
delle regole.
In questi giorni,
la vita del Cammino Neocatecumenale è andata avanti normalmente, e se Kiko
Argüello è stato in Spagna, nella sua città natale, Léon, per una visita alla
prima comunità neocatecumenale del mondo, formata quarant’anni fa, nel 1967,
in Italia le comunità hanno ricevuto l’Annuncio della Quaresima, corredato in
alcune diocesi da vere e proprie “missioni cittadine” per le strade e le
piazze. Niente di nuovo sotto il sole, almeno all’apparenza. Ma il perché -
alla vigilia di una decisione importante come quella del giugno 2007 - non si
faccia tutto il possibile, davvero tutto il possibile, per rispondere alle
legittime e doverose richieste di vescovi e papa, evitando così di alimentare
critiche e rimproveri, rimane un quesito senza risposta.
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