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Arbitrarietà post-conciliari in
materia liturgica
La fonte è
MessaInLatino, un sito a cui è legato un Blog davvero
interessante! Tra l'altro vi sono delle questioni legate ai "gruppi stabili"
relativamente al rito Antico che vengono risolte con grande intelligenza e
su cui torneremo. Ringraziamo per questo prezioso servizio!
Citiamo un brano tratto dalla sezione relativa al Concilio. Leggete e
meditate, poi ne trarremo considerazioni.
"In questo senso, troviamo la chiave di interpretazione dell’intera
Sacra
Costituzione al n. 23: “non vi deve essere alcuna innovazione a meno che non
lo richieda il vero e accertato bene della Chiesa”. Non solo: il medesimo
articolo continua dicendo che “occorre aver cura che ogni nuova forma
[liturgica] adottata cresca in qualche modo organicamente dalle forme già
esistenti”. Ecco quindi sancito (vanamente, purtroppo) un duplice vincolo ad
ogni innovazione: essa dev’essere veramente utile e opportuna, perché la
regola è la conservazione dell’esistente, e in ogni caso quell’innovazione
di cui sia accertata la sicura utilità dev’essere tale che si inserisca in
un’evoluzione organica (quindi senza cesure, invenzioni, ritorni a forme
arcaicizzanti) della liturgia come la vivevano i Padri conciliari (siamo nel
1963!).
Il Concilio Vaticano II non si è limitato a enunciare questi
condivisibilissimi orientamenti generali di cauta riforma nel solco di
un’evoluzione organica, ma ha anche normativamente stabilito quali fossero
tali opportune riforme, elencandole in nove punti. Eccoli (SC 50 ss.):
- Semplificare i riti, “conservando fedelmente la sostanza”, togliendo
le duplicazioni e aggiunte superflue accumulate nel corso dei secoli e
ripristinando elementi perduti.
- Aprire maggiormente il tesoro della Bibbia ai fedeli
- Considerare l’omelia come parte della liturgia specie domenicale
- Reintrodurre la preghiera dei fedeli.
- Nelle messe celebrate col popolo, una parte della liturgia può
essere svolta nella lingua vernacolare. Quale parte? Precisa la
Sacrosanctum Concilium: le letture e la preghiera dei fedeli; ma anche,
se lo richiedessero le condizioni locali, quelle parti che pertengono al
popolo. “Tuttavia” precisa subito il documento “occorre fare in modo che
i fedeli siano in grado di rispondere o cantare le parti dell’ordinario
della Messa che pertengono a loro”, ovviamente in latino. Poiché almeno
tutto l’ordinario, nelle intenzioni dei Padri, doveva restare in latino,
salvo casi affatto speciali (ad es. in terra di missione)! Anche al n.
36 leggiamo: “L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia
conservato nei riti latini. Dato però che, sia nella messa che
nell'amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti della liturgia,
non di rado l'uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità
per il popolo, si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia,
specialmente nelle letture e nelle ammonizioni, in alcune preghiere e
canti, secondo le norme esposte nei capitoli seguenti per i singoli
casi”. Maggiore spazio alla lingua volgare è concesso (ma non concerne
la Messa) per sacramenti e sacramentali; mentre per l’ufficio divino è
disposto (SC101) “Secondo la secolare tradizione del rito latino, per i
chierici sia conservata nell'ufficio divino la lingua latina.
L'ordinario tuttavia potrà concedere l'uso della versione in lingua
nazionale [..] in casi singoli, a quei chierici per i quali l'uso della
lingua latina costituisce un grave impedimento alla recita dell'ufficio
nel modo dovuto”. Come si vede, per i Padri conciliari il latino è
sempre e deve restare la regola, la lingua nazionale l’eccezione.
- Se possibile, per la comunione ai fedeli siano adoperate ostie
consacrate nella messa cui hanno partecipato. È anche introdotta la
possibilità di comunione sotto le due specie, ma per casi ben
delimitati, come al neo presbitero nella messa di ordinazione, al neo
professo nella messa in cui prende i voti, al catecumeno nella messa che
segue il suo battesimo.
- Si precisa che la Messa si compone di una Liturgia della Parola e di
una Liturgia eucaristica e che anche la prima è importante e va seguita
(visto l’andazzo di molti che all’epoca entravano in chiesa solo
dall’offertorio).
- Si permette la concelebrazione in casi particolari e precisamente
indicati ed elencati, dichiarando comunque lecito il rifiuto di
concelebrare.
- Si stabilisce che dev’essere fissato un nuovo rito per la
concelebrazione.
Queste, e soltanto queste, le riforme volute dal Concilio.
[...]
Ma altrettanto importanti sono anche le cose che il Concilio NON ha detto.
Ne facciamo un rapido (e non esaustivo) elenco:
- Non ha detto che la celebrazione debba o possa effettuarsi rivolti al
popolo anziché rivolti verso il Signore, come è sempre stato dai tempi
apostolici, e non dal medioevo come spesso si ripete (cfr. Lang, Rivolti al
Signore. L’orientamento nella preghiera liturgica, Cantagalli, 2006, passim,
citato favorevolmente da S.S. Benedetto XVI nella prefazione al vol. XI
della sua Opera omnia, Herder, 2009). E aggiungiamo: non solo non si dice
nulla dell’orientamento del celebrante nella
Sacrosanctum Concilium; non se
ne parla nemmeno nei documenti preparatori: ‘girare gli altari’ è proprio
questione aliena del tutto dal pensiero dei Padri conciliari.
- Non ha detto che il Tabernacolo dovesse o potesse spostarsi dalla sua
posizione centrale nel presbiterio; e men che meno che al suo posto dovesse
intronizzarsi il celebrante ponendovi il suo seggio.
- Non ha detto che la comunione possa riceversi in piedi, e ancor meno
sulle mani anziché, come è sempre stato almeno dal VI secolo in poi, in
ginocchio e sulla lingua
- Non ha detto che si debbano, o anche solo che si possano rimuovere le
balaustre del presbiterio, o che si debba o possa spostare l’altare in mezzo
ai fedeli.
- Non ha detto che si debbano o possano comporre nuovi canoni di
consacrazione eucaristica o anche solo modificare il canone romano (attuale
canone I). Di fatto, invece, dopo il Concilio fu modificato in parte il
canone romano (e nella traduzione in italiano e in altre lingue, in modo
molto evidente, traducendo infedelmente “pro multis”, riferito al sangue
versato da Gesù, con “per tutti”); furono aggiunte altre preci eucaristiche:
la II, la più breve e quindi la più usata, detta di S. Ippolito ma in realtà
solo molto liberamente ispirata all’anafora di quest’ultimo, risalente al
terzo secolo; la III, interamente di nuova fabbricazione; il canone IV,
basato su un’anafora copta; nonché vari canoni locali, o per fanciulli, e
così via.
- Non ha detto che si dovessero limitare o eliminare devozioni tradizionali
come processioni, adorazioni eucaristiche, rosario (in Italia, per fortuna,
non abbiamo avuto su questo punto la furia iconoclasta di altri paesi, in
particolare Francia, Olanda e Germania).
- Non ha detto che vanno rimossi dalle chiese gli inginocchiatoi.
Anzi a ben vedere tutte queste cose sono state condannate genericamente e in
via preventiva dal Concilio stesso, quando ha disposto che ogni riforma sia
non solo cauta e risponda ad esigenze vere e accertate, ma soprattutto
rappresenti uno sviluppo organico dall’esistente (SC 23). Cosa che,
all’evidenza, non può dirsi di tali innovazioni.
E ancora, ha condannato in partenza (ma con ben poca efficacia) ogni
creatività di celebranti e liturgisti, riservando alla gerarchia della
Chiesa la regolazione della liturgia: “assolutamente nessun altro, anche se
sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in
materia liturgica” (SC 22 §. 3).
Un' altra citazione:
"In altri termini, e non è una battuta: sappiate che siete molto più
“conciliari” voi che chiedete una Messa tridentina, che questi progressisti
che la vedono come il fumo negli occhi e spacciano per un prodotto del
Concilio quello che ben pochi dei Padri conciliari avrebbero non solo
voluto, ma anche solo immaginato.
E poi: che cosa c’è di più conforme al Concilio, che ha promosso il ruolo
dei laici, il pluralismo, la tolleranza, che un gruppo di persone che si
danno da fare per aggiungere, tra le molte celebrazioni esistenti (in tutte
le lingue e, spesso, con modalità diverse l’una dall’altra, pur se
formalmente in base allo stesso Messale), la voce ulteriore di una Messa in
latino per chi la vuole?"
C'è un riferimento molto interessante, anche a Paolo VI ed alle sue
MEDIAZIONI. Leggete:
"Questo non significa che il successore, Paolo VI, sia stato un cattivo
pontefice. Egli però si trovò a gestire una situazione ecclesiale impazzita,
poiché le attese millenaristiche suscitate dal Concilio (certo oltre la
volontà di Giovanni XXIII), congiunte con la contestazione del Sessantotto,
resero la Chiesa ingovernabile ed i suoi membri agitati dall’insana smania
di gettare a mare tutto quel che li aveva preceduti, per creare l’uomo nuovo
e la Chiesa nuova, e portare “l’immaginazione al potere”, secondo gli slogan
allora in voga. Paolo VI ritenne prioritario di salvare da quel diluvio
universale la sostanza dottrinale (ad esempio imponendo la revisione
dell’eretico catechismo olandese pubblicato dalla Conferenza episcopale di
quel paese, o pubblicando documenti come la Humanae Vitae in campo morale, o
il Credo del Popolo di Dio in campo dogmatico); ma in contropartita a
tutto ciò e per placare i novatori, e in parte anche perché convintone,
accettò gravi concessioni in ambito liturgico (pur sforzandosi di ridurle:
ad es. reintroducendo nella messa l’Orate fratres ed il concetto stesso di
sacrificio accanto a quello, prettamente protestante, di ‘cena del
Signore’).
In tal modo però Paolo VI, credendo di salvare la dottrina sacrificando la
liturgia, finì col sottostimare l’antico adagio per cui v’è diretta
corrispondenza tra la lex orandi e la lex credendi; sicché, "demolito
l’antico edificio liturgico per costruirne uno totalmente nuovo"
(l’espressione è di Ratzinger, La mia vita, citato nella nostra pagina
dedicata ai suoi scritti), era inevitabile che, a lungo andare, la
percezione della millenaria fede cristiana venisse gravemente intaccata
(oggi, ad es., 67% dei – pochi – praticanti francesi non credono più alla
presenza reale, e un quarto nemmeno alla resurrezione: sondaggi de La Croix,
quotidiano legato alla Conf. Episcop. franc.)"
Il reale problema della Chiesa e dei Fedeli, non sta tanto in ciò che un
Concilio non ha MAI detto, ma nella IDEOLOGIA che dopo questo concilio si è
letteralmente IMPADRONITA della Chiesa a dispetto di ciò che essa stessa È
e INSEGNA nei secoli!
Questo è il vero punto di "rottura".
Il Concilio, certo, ha in alcune sue parti usato termini GENERICI.
Ma tale genericità (ci viene in mente la materia dell'Ecumenismo, della
"Libertà religiosa", del "dialogo religioso", soprattutto con gli ebrei, a
cui tiene di più la San Pio X) è assolutamente risolvibile ed è RISOLTA
rimanendo nel solco della Tradizione.
Il problema si è creato, però, a causa della IDEOLOGIA "post-conciliare" che
ha letteralmente ASSOGGETTATO la Chiesa fino ad oggi!
La domanda è: COME È POSSIBILE? È a questa domanda che si deve rispondere! Non ad altre!
Ed è questo il contributo che aspettiamo dalla San Pio X! Non la "chiusura"
aprioristica a causa del disastro che abbiamo sotto gli occhi!
I buoni servi del Signore non si limitano ad osservare il disastro e a
dissociarsene... A condannarlo e a dire che bisogna rimanere a ciò che era
prima, perché quello che viene dopo è un male!
Io credo che i buoni servi del Signore, vedendo la distruzione si METTONO A
RICOSTRUIRE ANDANDO AVANTI E NON RIMANENDO INDIETRO!
I buoni servi del signore, subendo sofferenze come quelle che hanno subito
finora i fratelli della San Pio X, accettando il martirio nel nome di Gesù e
Maria, soccorrono i Fedeli e si mettono a Servizio della Santa Chiesa e di
Pietro.
Oggi si inizia a vedere lo spiraglio. È il risultato di tante sofferenze,
che ancora non finiscono! Ma è dal chicco di grano che viene il frutto!
Non è lamentandosi che ciò che viene fatto ancora non è "abbastanza", che si
può uscire dal baratro!
È impegnandosi perché da questo "Poco", si possa arrivare al "molto" di
Evangelica memoria!
Ma per farlo occorre una sinergia di forze, e l'accondiscendenza al METODO
che ad oggi sembra l'unico scelto e possibile..
Ecco che cosa disse sulla liturgia Paolo VI nel suo discorso di chiusura
della seconda sessione del Concilio:
...
13 Se ora abbiamo semplificato qualche forma del culto perché sia meglio
compresa dai fedeli e sia più consona alla mentalità contemporanea, non è
certo Nostra intenzione dare meno importanza al pregare, né posporlo agli
altri impegni del sacro ministero e dell’azione pastorale, né sottrarre
qualcosa alla sua forza espressiva e all’eleganza dell’arte antica; bensì
ricuperare la sacra Liturgia primitiva, affinché sia più aderente alle
caratteristiche proprie della sua natura, sia più vicina alle sue fonti di
verità e di grazia, e si traduca più facilmente in spirituale tesoro del
popolo.
14. Perché ciò avvenga felicemente, non vogliamo che nessuno vada contro
le regole delle preghiere pubbliche della Chiesa, introducendo modifiche
private o riti personali; non vogliamo che nessuno si arroghi il potere di
applicare a suo arbitrio la Costituzione sulla Sacra Liturgia che oggi
promulghiamo, prima che in merito siano divulgate norme opportune e
fisse e siano legittimamente approvati i mutamenti che avranno predisposto
le Commissioni da istituire appositamente dopo il Concilio. Questa nobile
preghiera della Chiesa risuoni con voce concorde in tutto il mondo: nessuno
la turbi, nessuno la violi.
Ci sembra che la frase :
"bensì ricuperare la sacra Liturgia primitiva,"
sia purtroppo una di quelle formulazioni ambigue=breccie che hanno permesso
a chi sappiamo di inventarsi il suo rito e probabilmente è così... Ma per "Sacra Liturgia Primitiva" si è sempre intesa quella
Gregoriana. Almeno prima della dittatura dell'ideologia del post-concilio
che, attraverso un falso ritorno alle origini, ha in realtà praticato quell'
"insano archeologismo" già condannato da Pio XII nella
Mediator Dei !
La Liturgia Gregoriana, usata da San Pio V e resa universale (con i dovuti
"aggiustamenti" organici ad essa stessa), è fatta risalire nelle sue basi
(la parte più importante, ovvero il Canone) a San Pietro Apostolo!
Più antica di così!
Ma, certamente l'uso di queste genericità è quantomeno poco "prudente"! Noi
che andiamo continuamente appellandoci alla prudenza in modo
sconsiderato (anche troppo...quando da "prudenza" si sconfina in "silenzio
inopportuno"!)!
Lo è se, come poi è successo, si sta INERMI davanti alla temperie ideologica
che ha iniziato la sua DITTATURA nella Chiesa di Roma!
Il problema è nella grande "paura"... La paura della fermezza. La paura
della certezza! Paura della certezza della Verità!
Paura di dissociarsi dall'errore e condannarlo a tutto beneficio degli
erranti! Che invece così restano sbattuti da una parte all'altra, da una
dottrina ad un'altra...
Ma, ad oggi, il rimedio ha preso una direzione precisa. E Pietro ha deciso
di continuare a percorrere la strada della riforma e della proclamazione
della Verità... Senza ancora procedere con la condanna... E noi dobbiamo
servirlo secondo quanto ha deciso, proclamando e difendendo (nel nostro
ambito) la Verità che ci è stata consegnata...
"MessaInLatino" ribadisce con forza questo concetto:
"Non dimentichiamo che i Padri del Concilio celebravano ogni giorno con la
Messa tradizionale e che, se è vero (come appare dal testo della
Sacrosanctum Concilium) che il Concilio voleva una (moderata) riforma, la
vera Messa riformata secondo il Concilio è quella del 1965, che è
molto simile a quella del 1962 cui si riferisce il
motu proprio, ma con
alcune semplificazioni e con la possibilità di usare in molte parti le
lingue nazionali."
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