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Giornata di studio in Vaticano
Liturgisti e artisti. Dai monologhi al dialogo
Maurizio Fontana

[Testo integrale intervento Mons. Mauro Piacenza]

Alla giornata di studio su arte e liturgia organizzata dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti sono stati richiamati i principi teologici che devono guidare la realizzazione dei luoghi destinati alla celebrazione liturgica La corretta interpretazione delle indicazioni del Vaticano II e del magistero è alla base di un corretto dialogo con gli artisti chiamati a lasciar trasparire dalle loro opere l'inaccessibile mistero divino 

"A questo punto sarebbe importante organizzare un tavolo di confronto, di discussione e soprattutto di ascolto reciproco fra liturgisti e artisti. La congregazione non ha ancora previsto a breve termine un incontro del genere, ma sicuramente sarebbe utile, qualcuno anzi direbbe necessario". Così ha commentato il cardinale Francis Arinze - prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti - a margine della giornata di studio che si è svolta sabato 1° dicembre nell'Aula nuova del Sinodo dei Vescovi in Vaticano.

Un appuntamento, ormai annuale, che la congregazione organizza dal 2003 in occasione dell'anniversario della promulgazione della Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963). "Maestà e bellezza nel suo santuario. L'arte a servizio della liturgia": questo era il tema sul quale sono stati chiamati a confrontarsi quest'anno i relatori, moderati nei loro interventi dall'arcivescovo Albert Malcolm Ranjith, segretario del dicastero vaticano.

Dal concilio Vaticano II in poi, quello dell'arte espressa nell'"edificio chiesa", nella sua architettura e nel suo impianto iconografico è un argomento al centro di numerose discussioni: "Ancora oggi - ha detto monsignor Ranjith - è questa una grande sfida, sempre da raccogliere e da mettere a fuoco, per non distrarsi in soluzioni che anziché favorire nelle opere dell'uomo la percezione dell'infinita bellezza di Dio e l'esaltazione della sua lode e della sua gloria, la offuschino o l'impediscano".

Non si tratta, cioè, solo di rispondere a semplici esigenze utilitaristiche e funzionali degli spazi destinati alla liturgia, ma di realizzare dei luoghi che esprimano in tutto e per tutto, in un riconoscibile e corretto contesto di segni e di simboli, la loro natura di dimora per la celebrazione dei santi misteri.

Sull'argomento si sono, negli anni, pronunciati i padri conciliari e, dopo di loro, la Santa Sede non ha mancato di dare indicazioni e orientamenti, così come le conferenze episcopali e le commissioni nazionali e diocesane di arte sacra hanno espresso diverse istanze. Nonostante ciò il dibattito è ancora aperto giacché ancora - se stiamo ai risultati conseguiti complessivamente nella costruzione delle nuove chiese - non sembra si sia riusciti a trovare un linguaggio comune e condiviso fra le necessarie indicazioni normative - teologiche e liturgiche - e le interpretazioni date dagli artisti chiamati a metterle in pratica. Perciò monsignor Ranjith - nell'introdurre i lavori del convegno - ha invitato innanzitutto i relatori a proporre argomenti di riflessione "sui principi teologici che devono sostenere gli spazi e i luoghi destinati al culto divino e sulle implicazioni che facilitano o pregiudicano invece la spirituale fruizione di essi".

A sostegno del suo invito l'arcivescovo ha richiamato il pensiero di Benedetto XVI che a più riprese - anche nei suoi scritti precedenti l'elezione al Soglio Pontificio - ha sostenuto l'importanza del fatto che "l'inaccessibile Mysterium Dei, reso presente nella celebrazione liturgica, trovi leggibile trasparenza anche attraverso le forme, i luoghi e gli spazi liturgici". E, citando la Sacramentum caritatis, ha detto: "
Si deve tenere presente che lo scopo dell'architettura sacra è di offrire alla Chiesa che celebra i misteri della fede, in particolare l'Eucaristia, lo spazio più adatto all'adeguato svolgimento della sua azione liturgica".

Cosa è emerso dunque da questa giornata? Innanzitutto un travaglio in atto, uno sforzo intenso ma nutrito di speranza. Un travaglio simile, forse, a quello - richiamato da monsignor Crispino
Valenziano, ordinario emerito del Pontificio Istituto Liturgico - che fu di Carlo Borromeo nel compilare il suo Instrumentum fabricae dopo le decisioni di riforma del concilio di Trento: anch'egli era in cerca e in attesa di progetti seri. Ma gli strumenti a disposizione oggi sono di ben altra natura: "Nella nostra epoca - ha ricordato il relatore - il livello della cognizione documentaria circa la scienza liturgica con i suoi monumenti letterari architettonici e d'arte è di quantità e di qualità esaustiva". Vi è quindi un tesoro prezioso dal quale attingere.

Dagli anni immediatamente postconciliari a oggi si è però verificato uno strano paradosso: le indicazioni dei padri conciliari su questi temi - parte notevole del tesoro cui si accennava - sono state spesso disattese in virtù di una presunta e malintesa forma di "tutela dello spirito conciliare". Lo ha sottolineato con amara ironia l'arcivescovo Mauro Piacenza, segretario della Congregazione per il Clero, il quale nel suo intervento ha ricordato che lo stile ecclesiale è fatto di equilibrio e non di fanatismi o di polemiche. Occorre quindi innanzitutto recuperare e chiarire in maniera netta i principi stabiliti dalla Chiesa e su questi - non sugli interessi di parte - impegnare la riflessione e il confronto.

Monsignor Julián López Martín, vescovo di León e presidente della commissione episcopale di liturgia, ha in questo senso tracciato un quadro di riferimento dei principi teologici e delle norme esecutive per la costruzione delle chiese. Fondamentale ci è sembrata la sottolineatura del fatto che lo spazio liturgico non può essere concepito come un ambiente religioso confuso o astratto, valido per ogni utilizzo. "Lo spazio liturgico - ha affermato il vescovo - è determinato dalla sua specificità celebrativa. Tutti gli elementi di una chiesa devono essere al servizio della celebrazione del mistero, devono esprimere la Pasqua del Signore. Il nobile servizio reso dagli architetti e dagli artisti non deve ridursi a una mera catechesi simbolica e iconografica, ma proporsi realmente come parte della mistagogia del mistero".

All'interno di questa specificità vi sono una serie di indicazioni chiare fornite dai documenti conciliari, a partire da quella che nell'edificio liturgico tutto contribuisca affinché l'assemblea nei suoi ministeri possa esercitare la propria funzione: tutti devono sentirsi integrati nell'azione liturgica e, al contempo, vedere facilitati il raccoglimento e l'interiorizzazione del mistero celebrato. Da ciò, monsignor López Martín ha provato a sintetizzare alcuni principi operativi applicati all'arte sacra: innanzitutto la realizzazione di strutture che esprimano la comunione di tutti nell'unico corpo di Cristo: "Occorre sforzarsi di mostrare un'immagine unitaria dell'assemblea".

Ciò non toglie che vada comunque evidenziata - sia pure senza eccessi - la distinzione della zona del presbiterio e ancor di più la centralità dell'altare: "Non è il sacerdote il centro della celebrazione, ma Cristo, di cui l'altare è segno permanente".

Sul significato e sul giusto utilizzo degli elementi architettonici - ad esempio la navata, la sede, l'ambone, e così via - si è soffermato il vescovo di León che, spiegando la costellazione di segni e di simboli della celebrazione liturgica, ha offerto tutta una serie di richiami scritturistici e documentali. In maniera ancor più concreta e diretta, a riguardo, si è espresso monsignor Piacenza durante uno scambio di battute al di fuori del convegno: "C'è bisogno di chiarezza anche nelle committenze.

Vi sono una serie di paletti dai quali non possiamo prescindere.

A partire dalla struttura esterna di una chiesa: non possiamo, per star dietro a posizioni "intellettualoidi" di certi architetti, nascondere la chiesa, il campanile, la croce o la porta. All'interno della chiesa, poi, il centro deve essere l'altare e il presbiterio deve essere in qualche modo - l'artista troverà come - differenziato dal resto dell'aula; non si può poi prescindere dalla centralità del crocifisso, su di esso si deve posare lo sguardo; il tabernacolo si deve poter individuare immediatamente; le panche devono avere gli inginocchiatoi per facilitare la dimensione dell'adorazione. Questi, come altri, non sono optional ma elementi essenziali".

L'impressione è che nel campo architettonico le idee siano più chiare. Per quanto riguarda le arti visive, invece, al di là dei principi teologici di fondo, le forme attuative, gli argomenti concreti, appaiono meno delineati. Emergono in maniera più decisa in questo campo le difficoltà evidenziate nella relazione di padre Heinrich Pfeiffer, della Pontificia Università Gregoriana. Il gesuita, commentando il passo biblico della scala di Giacobbe (Genesi, 28, 10-22), si è soffermato sugli "elementi strutturali del sacro" e in particolare ha fatto emergere un problema che coinvolge l'interpretazione del sacro da parte degli artisti contemporanei: nella sensibilità artistica contemporanea c'è una compenetrazione tra mondo sacro e profano che non si allinea con la sensibilità dei teologi. "In questa lotta tra sacro e profano - ha spiegato Pfeiffer - è da inserire il problema del bello nelle chiese.

L'arte della Chiesa deve prendere le mosse dalla liturgia e irradiare in tutto il mondo. Ma l'artista, pur formandosi sulle opere del passato, deve riuscire a trovare nuove forme espressive". Tale ricerca secondo Pfeiffer ha visto negli ultimi decenni pochi protagonisti all'altezza - il relatore ha citato ad esempio gli architetti Rudolf Schwarz e Fray Gabriel Chavez de la Mora, o il mosaicista Marko Rupnik - ma è in questo tentativo di esprimere la compenetrazione tra forma sacra, bellezza e vita, che a suo parere si trova il giusto sentiero per una nuova arte ecclesiastica.

È evidente che uno dei primi passi che appaiono necessari è quello di progettare investimenti nella formazione di specialisti per l'arte sacra. Monsignor Piacenza a questo riguardo non ha usato giri di parole: "Ogni cosa bella e buona ha un costo. Sebbene sia molto importante la buona volontà, a volte questa non basta. Per ottenere buoni risultati è necessario investire delle risorse, soprattutto nella formazione, a cominciare dalla formazione iniziale e permanente del clero.

Dobbiamo avere sacerdoti in grado di essere promotori delle arti sacre. E se fondamentale è il dialogo con gli artisti dobbiamo avere anche persone in grado di riconoscere chi è un grande artista e chi non lo è. Dobbiamo poi anche poter dare agli artisti, al di là della loro perizia tecnica, strumenti di conoscenza fondamentali nel campo della liturgia e della teologia. Forse utili potrebbero essere delle vere e proprie scuole di arte sacra".


(©L'Osservatore Romano - 3-4 dicembre 2007)

   
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