Omelia pronunciata da Benedetto XVI il
pomeriggio del 25 gennaio nella Basilica di San Paolo Fuori le Mura
presiedendo la celebrazione dei Secondi Vespri della solennità della
Conversione di San Paolo, a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità
dei Cristiani sul tema: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io
sono in mezzo a loro”.
Cari fratelli e sorelle!
In questo giorno, nel quale si celebra la conversione dell’apostolo
Paolo, concludiamo, riuniti in fraterna assemblea liturgica, l’annuale
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. E’ significativo
che la memoria della conversione dell’Apostolo delle genti coincida con
la giornata finale di questa importante Settimana, in cui con particolare
intensità domandiamo a Dio il dono prezioso dell’unità tra tutti i
cristiani, facendo nostra l’invocazione che Gesù stesso elevò al Padre
per i suoi discepoli: "perché tutti siano una sola cosa. Come tu,
Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola,
perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17,21). L’aspirazione
di ogni Comunità cristiana e di ogni singolo fedele all’unità e la
forza per realizzarla sono un dono dello Spirito Santo e vanno di pari
passo con una sempre più profonda e radicale fedeltà al Vangelo (cfr Enc.
Ut unum sint, 15). Ci rendiamo conto che alla base dell’impegno
ecumenico c’è la conversione del cuore, come afferma chiaramente il
Concilio Vaticano II: "Ecumenismo vero non c’è senza interiore
conversione; poiché il desiderio dell’unità nasce e matura dal
rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stessi e dalla
liberissima effusione della carità" (Decr. Unitatis redintegratio,
7).
Deus caritas est (1 Gv 4,8.16), Dio è amore. Su questa
solida roccia poggia tutta intera la fede della Chiesa. In particolare, si
basa su di essa la paziente ricerca della piena comunione tra tutti i
discepoli di Cristo: fissando lo sguardo su questa verità, culmine della
divina rivelazione, le divisioni, pur mantenendo la loro dolorosa
gravità, appaiono superabili e non ci scoraggiano. Il Signore Gesù, che
con il sangue della sua Passione ha abbattuto "il muro di
separazione" dell’"inimicizia" (Ef 2,14), non
mancherà di concedere a quanti lo invocano con fede la forza per
rimarginare ogni lacerazione. Ma occorre sempre ripartire da qui: Deus
caritas est. Al tema dell’amore ho voluto dedicare la mia prima
Enciclica, che proprio oggi è stata pubblicata e questa felice
coincidenza con la conclusione della Settimana di preghiera per l’unità
dei cristiani ci invita a considerare questo nostro incontro, ma, ben più
in là, tutto il cammino ecumenico nella luce dell’amore di Dio, dell’Amore
che è Dio. Se già sotto il profilo umano l’amore si manifesta come una
forza invincibile, che cosa dobbiamo dire noi, che "abbiamo
riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi" (1 Gv
4,16)? L’amore vero non annulla le legittime differenze, ma le armonizza
in una superiore unità, che non viene imposta dall’esterno, ma
che dall’interno dà forma, per così dire, all’insieme. E’
il mistero della comunione, che come unisce l’uomo e la donna in quella
comunità d’amore e di vita che è il matrimonio, così forma la Chiesa
quale comunità d’amore, componendo in unità una multiforme ricchezza
di doni, di tradizioni. Al servizio di tale unità d’amore è posta la
Chiesa di Roma che, secondo l’espressione di sant’Ignazio di Antiochia,
"presiede alla carità" (Ad Rom 1,1). Davanti a voi, cari
fratelli e sorelle, desidero oggi rinnovare l’affidamento a Dio del mio
peculiare ministero petrino, invocando su di esso la luce e la forza dello
Spirito Santo, affinché favorisca sempre la fraterna comunione tra tutti
i cristiani.
Il tema dell’amore lega in profondità le due brevi letture bibliche
dell’odierna liturgia vespertina. Nella prima, la carità divina è la
forza che trasforma la vita di Saulo di Tarso e ne fa l’Apostolo delle
genti. Scrivendo ai cristiani di Corinto, san Paolo confessa che la grazia
di Dio ha operato in lui l’evento straordinario della conversione:
"Per grazia di Dio sono quello che sono, e la sua grazia in me non è
stata vana" (1 Cor 15,10). Da una parte sente il peso di
essere stato di ostacolo alla diffusione del messaggio di Cristo, ma nel
contempo vive nella gioia di avere incontrato il Signore risorto e di
essere stato illuminato e trasformato dalla sua luce. Egli conserva una
costante memoria di quell’evento che ha cambiato la sua esistenza,
evento talmente importante per la Chiesa intera che negli Atti degli
Apostoli vi si fa riferimento ben tre volte (cfr At 9,3-9; 22,6-11;
26,12-18). Sulla via di Damasco, Saulo sentì lo sconvolgente
interrogativo: "Perché mi perseguiti?". Caduto a terra e
interiormente turbato, domandò: "Chi sei, o Signore?",
ottenendo quella risposta che è alla base della sua conversione: "Io
sono Gesù, che tu perseguiti" (At 9,4-5). Paolo comprese in
un istante ciò che avrebbe espresso poi nei suoi scritti, che la Chiesa
forma un corpo unico di cui Cristo è il Capo. Così, da persecutore dei
cristiani diventò l’Apostolo delle genti.
Nel brano evangelico di Matteo, che poc’anzi abbiamo ascoltato, l’amore
opera come principio che unisce i cristiani e fa sì che la loro preghiera
unanime venga esaudita dal Padre celeste. Dice Gesù: "Se due di voi
sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio
che è nei cieli ve la concederà" (Mt 18,19). Il verbo che l’evangelista
usa per "si accorderanno" è synphōnēsōsin:
c’è il riferimento ad una "sinfonia" dei cuori. E’ questo
che ha presa sul cuore di Dio. L’accordo nella preghiera risulta dunque
importante ai fini del suo accoglimento da parte del Padre celeste. Il
chiedere insieme segna già un passo verso l’unità tra coloro che
chiedono. Ciò non significa certamente che la risposta di Dio venga in
qualche modo determinata dalla nostra domanda. Lo sappiamo bene: l’auspicato
compimento dell’unità dipende in primo luogo dalla volontà di Dio, il
cui disegno e la cui generosità superano la comprensione dell’uomo e le
sue stesse richieste ed attese. Contando proprio sulla bontà divina,
intensifichiamo la nostra preghiera comune per l’unità, che è un mezzo
necessario e quanto mai efficace, come ha ricordato Giovanni Paolo II nell’Enciclica
Ut unum sint: "Sulla via ecumenica verso l’unità, il
primato spetta senz’altro alla preghiera comune, all’unione orante di
coloro che si stringono insieme attorno a Cristo stesso" (n. 22).
Analizzando poi più profondamente questi versetti evangelici,
comprendiamo meglio la ragione per cui il Padre risponderà positivamente
alla domanda della comunità cristiana: "Perché – dice Gesù –
dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro". E’
la presenza di Cristo che rende efficace la preghiera comune di coloro che
sono riuniti nel suo nome. Quando i cristiani si raccolgono per pregare,
Gesù stesso è in mezzo a loro. Essi sono uno con Colui che è l’unico
mediatore tra Dio e gli uomini. La Costituzione sulla Sacra Liturgia del
Concilio Vaticano II si riferisce proprio a questo passo del Vangelo per
indicare uno dei modi della presenza di Cristo: "Quando la Chiesa
prega e canta i Salmi, è presente Lui che ha promesso: «Dove sono due o
tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt
18,20)" (Sacrosanctum Concilium, 7).
Commentando questo testo dell’evangelista Matteo, san Giovanni
Crisostomo si chiede: "Ebbene, non ci sono due o tre che si
riuniscono nel suo nome? Ci sono – egli risponde – ma raramente"
(Omelie sul Vangelo di Matteo, 60, 3). Questa sera provo un’immensa
gioia nel vedere una così nutrita ed orante assemblea, che implora in
modo "sinfonico" il dono dell’unità. A tutti e a ciascuno
rivolgo il mio cordiale saluto. Saluto con particolare affetto i fratelli
delle altre Chiese e Comunità ecclesiali di questa Città, uniti nell’unico
battesimo, che ci fa membra dell’unico Corpo mistico di Cristo. Sono
appena trascorsi 40 anni da quando, proprio in questa Basilica, il 5
dicembre del 1965, il Servo di Dio Paolo VI, di felice memoria, celebrò
la prima preghiera comune, a conclusione del Concilio Vaticano II, con la
solenne presenza dei Padri conciliari e la partecipazione attiva degli
Osservatori delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. In seguito, l’amato
Giovanni Paolo II ha continuato con perseveranza la tradizione di
concludere qui la Settimana di preghiera. Sono certo che questa sera
entrambi ci guardano dal Cielo e si uniscono alla nostra preghiera.
Fra coloro che prendono parte a questa nostra assemblea vorrei
specialmente salutare e ringraziare il gruppo dei delegati di Chiese, di
Conferenze Episcopali, di Comunità cristiane e di organismi ecumenici che
avviano la preparazione della Terza Assemblea Ecumenica Europea, in
programma a Sìbiu, in Romania, nel settembre del
2007, sul tema: "La
luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnovamento e unità in Europa".
Sì, cari fratelli e sorelle, noi cristiani abbiamo il compito di essere,
in Europa e tra tutti i popoli, "luce del mondo" (Mt
5,14). Voglia Iddio concederci di raggiungere presto l’auspicata piena
comunione. La ricomposizione della nostra unità darà maggiore efficacia
all’evangelizzazione. L’unità è la nostra comune missione; è la
condizione perché la luce di Cristo si diffonda più efficacemente in
ogni angolo del mondo e gli uomini si convertano e siano salvati. Quanta
strada sta dinanzi a noi! Eppure non perdiamo la fiducia, anzi con più
lena riprendiamo il cammino insieme. Cristo ci precede e ci accompagna.
Noi contiamo sulla sua indefettibile presenza; da Lui umilmente e
instancabilmente imploriamo il prezioso dono dell’unità e della pace.