Sulla strada per
l'unità: nei rapporti con l'Ortodossia, una svolta
Luigi Geninazzi su Avvenire 16 novembre 2007
«Mille anni sono come il giorno
di ieri che è appena passato», dice il salmo. Divisi dallo scisma del 1054,
cattolici e ortodossi riflettono insieme sulla tradizione canonica del primo
millennio. Un salto all’indietro che rappresenta un grande balzo in avanti, un
volgersi al passato per guardare con più speranza al futuro. Per la prima volta
un documento ufficiale sottoscritto da molti esponenti ortodossi riconosce un
primato al vescovo di Roma, definito «protos tra i Patriarchi» della Chiesa
antica e sottolinea il fatto che «Roma, in quanto Chiesa che presiede nella
carità, occupava il primo posto nell’ordine canonico». Il testo riassume le
conclusioni della riunione della Commissione per il dialogo teologico tra
cattolici e ortodossi che si è tenuta lo scorso ottobre a Ravenna.
Non è la fine dello scisma d’Oriente, la strada verso la piena unità è ancora
lunga. C’è accordo sulla supremazia del vescovo di Roma, ma restano le
divergenze sulle sue prerogative. Eppure la svolta c’è, eccome. Per la prima
volta il mondo ortodosso accetta di discutere dell’ostacolo principale alla
riunificazione (o forse l’unico vero motivo di dissenso teologico,
dopo che la diatriba sul
Filioque è stata praticamente accantonata). Il documento di Ravenna infatti
costituisce «una solida base per la discussione futura sulla questione del
primato nella Chiesa a livello universale». La prossima riunione, prevista nel
2009, metterà a tema «il ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa
nel primo millennio».
Si realizza così il sogno di Giovanni Paolo II che
nell’enciclica 'Ut unum sint' del
1995, la prima dedicata all’ecumenismo, si era detto disponibile a mettere in
discussione «la forma d’esercizio» del primato del Romano Pontefice. Papa
Wojtyla non rinunciava in alcun modo all’autorità che è garanzia della
comunione ecclesiale ma avvertiva che «dopo secoli di aspre polemiche le altre
Chiese ci scrutano con uno sguardo nuovo» ed invitava pastori e teologi a un
«dialogo fraterno sulle modalità del ministero del vescovo di Roma».
Un’eredità,
quella wojtyliana, che è stata fatta propria da Papa Ratzinger, a cominciare
dall’impegno ecumenico. C’è un filo che lega «la struggente ansia d’unità»
manifestata da Giovanni Paolo II nella
sua lettera agli ortodossi del 1988 alla rivendicazione fatta da Benedetto
XVI nel giugno del 2006 quando definì le sedi di Roma e di Costantinopoli
«Chiese veramente sorelle». E non a caso, nella
Dichiarazione
congiunta siglata un anno fa ad Istanbul da Papa Ratzinger e da Bartolomeo I,
si fa riferimento al lavoro portato avanti dalla Commissione per il dialogo
teologico tra cattolici ed ortodossi come a uno strumento essenziale per
costruire insieme l’unità. Certo, non mancano le difficoltà.
Nel momento in cui
Roma e Costantinopoli s’avvicinano ecco che Mosca, 'la terza Roma', fa un passo
indietro, in polemica non tanto con il Vaticano ma con El Fanar, sede storica
del Patriarca ecumenico. Sul documento di Ravenna manca la firma dei russi,
avendo abbandonato i lavori per protestare contro la presenza dei delegati della
Chiesa ortodossa d’Estonia, non riconosciuta da Mosca. «Gli ortodossi possiedono
un tesoro – ha scritto Olivier Clément –. Peccato che a volte preferiscano
starci seduti sopra e litigare in modo accanito». Ma è un tesoro che può
arricchire tutti, non solo le Chiese d’Oriente.
v. anche:
Storia della controversia
sul «Filioque»
«Credo nello Spirito Santo che
procede...» La tradizione orientale e occidentale
Perché la fede cattolica sullo
Spirito Santo non si oppone a quella ortodossa
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